#Artsakh. Il regime azero sottomette i prigionieri politici Armeni a processi farsa con accuse inventate

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 14.10.2023 – Vik van Brantegem] – Dopo la pulizia etnica dell’Artsakh da parte del regime autocratico terrorista genocida dell’Azerbajgian il mese scorso, centinaia – se non migliaia – di Cristiani Armeni dell’Artsakh risultano dispersi. Almeno 10, di cui conosciamo i nomi, sono tenuti in ostaggio dall’Azerbajgian. Vagif Khachatryan (foto di copertina), 68 anni, un semplice cittadino Armeno dell’Artsakh, è uno di questi, insieme a 9 esponenti della leadership politico-militare precedente e attuale della Repubblica di Artsakh [QUI].

Ieri è iniziato al Tribunale militare di Baku, presieduto dal giudice Jamal Jumal Ramazanov, lo spettacolo del processo farsa al quale è sottoposto Vagif Khachatryan, accusato di due crimini inventati che potrebbero portare a una condanna a 20 anni o all’ergastolo, per «aver compiuto un genocidio nel villaggio di Meshali nella regione di Khojaly come parte delle forze armate armene».

Il giudice Jamal Jumal Ramazanov.

Jamal Jumal Ramazanov è stato giudice dei processi farsa presso il Tribunale militare di Baku, che il 2 agosto 2021 ha condannato i prigionieri di guerra armeni Ludvig Mkrtchyan e Alesha Hosrovyan a 20 anni di reclusione, e il 14 giugno 2021 ha condannato il prigioniero di guerra armeno Vigen Euljekian a 20 anni di reclusione.

Vagif Khachatryan fu rapito il 29 luglio 2023 [QUI] dalle forze armate azere al posto di blocco illegale presso il ponte Hakari all’uscita dall’Artsakh per l’Armenia nel Corridoio di Berdzor (Lachin), mentre si stava recando in Armenia sotto protezione del Comitato Internazionale della Croce Rossa, per un intervento chirurgico d’urgenza al cuore, durante il blocco illegale dell’Artsakh da parte dell’Azerbajgian durato 10 mesi.

Il Difensore dei Diritti Umani della Repubblica di Armenia ha riferito in precedenza, che Vagif Khachatryan è entrato nel servizio militare il 1° settembre 1992, partecipando alle operazioni di combattimento nella Prima Guerra del Karabakh. Prima di allora ha lavorato a Stepanakert come autista civile. Pertanto, la dichiarazione della Procura Generale dell’Azerbajgian, secondo cui Khachatryan ha commesso crimini di guerra nel villaggio di Meshali il 22 dicembre 1991, facendo parte di “un gruppo di organizzazioni armate armene” non corrisponde alla realtà. Questa circostanza è confermata dalle informazioni raccolte e analizzate dall’Ufficio del Difensore dei Diritti Umani armeno, comprovate da documenti d’archivio, ordini di comandanti, riferimenti che documentano il percorso di combattimento di Khachatryan, e testimonianze di familiari.

Il Difensore dei Diritti Umani armeno ha sottolineato che Vagif Khachatryan è stato rapito mentre veniva trasportato in Armenia sotto protezione del Comitato Internazionale della Croce Rossa per ricevere cure mediche. Pertanto, privarlo della libertà costituisce una grave violazione da parte dell’Azerbajgian del diritto umanitario internazionale.

Immediatamente dopo il rapimento di Vagif Khachatryan, gli appelli alla violenza contro gli Armeni, la propaganda dell’odio e dell’inimicizia contro Vagif Khachatryan e i suoi parenti hanno guadagnato nuovo slancio nei media statali azeri. Questo fenomeno è un’altra prova della politica di armenofobia e di odio etnico condotta dall’Azerbajgian. Inoltre, la società azera, compresi personaggi pubblici, media e funzionari, ha etichettato Vagif Khachatryan come un criminale.

Il Difensore dei Diritti Umani ha osservato che nelle condizioni di propaganda dell’odio etnico e di violazione della presunzione di innocenza, i diritti fondamentali di Vagif Khachatryan non possono essere garantiti, né la corretta indagine del caso in conformità con i requisiti di un giusto processo può essere garantita davanti ad un tribunale giusto e imparziale.

Quanto sopra ha fornito al Difensore dei Diritti Umani armeno motivi per concludere, che l’interferenza illegale dell’Azerbajgian con i diritti fondamentali di Vagif Khachatryan costituiva e costituisce una grave violazione del diritto umanitario internazionale e dei diritti umani, tenendo presente che le garanzie legali internazionali e i criteri universalmente riconosciuti nel moderno mondo civilizzato non vengono osservato.

Le informazioni complete raccolte dallo staff del Difensore dei Diritti Umani della Repubblica di Armenia sono state inviate alle autorità competenti e ai partner internazionali.

Ovviamente, Vagif Khachatryan non ha nulla a che fare con i crimini di cui è falsamente accusato nel procedimento penale illegale a Baku. Viene punito semplicemente per essere un Armeno, nato e vissuto nella terra ancestrale in Artsakh, oggi ingoiata dall’Azerbajgian. È un’allarmante dimostrazione di ingiustizia. Il suo rapimento con la forza e il processo farsa che è iniziato, sottolineano il fallimento del sistema giudiziario mondiale.

Deve essere chiaro che in Azerbajgian – dove il governo da padre (generale della KGB) in figlio della dinastia Aliyev non è cambiato da 30 anni, mentre in quel periodo in Artsakh sono stati eletti 5 Presidenti, che Freedom House ha valutato come parzialmente libero con un punteggio di 37 su tutti gli indicatori, e l’Azerbajgian non libero, con 9 punteggi – non può esserci un processo equo, con una corte e una difesa equa. Tutti i procedimenti giudiziari che si svolgono in Azerbajgian sono una farsa, una presa in giro della Convenzione Europea e una violazione di tutte le norme internazionali universalmente accettate nel contesto di tutti gli obblighi assunti dall’Azerbajgian. L’Azerbajgian deve essere obbligato – e non solo con appelli senza conseguenze – a porre fine ai trattamenti dei prigionieri politici che degradano le libertà fondamentali delle persone e la dignità umana e di liberarli immediatamente.

Al rapimento illegale, in flagrante violazione del diritto umanitario internazionale, presso il posto di blocco azero illegale sul Corridoio umanitario di Berdzor (Lachin), mentre sotto la protezione del Comitato Internazionale della Croce Rossa veniva trasportato dall’Artsakh in Armenia per un intervento urgento al cuore, fa ora seguito la pubblicazione da parte dei media statali dell’Azerbajgian di video e foto che mostrano la sofferenza di un cittadino civile armeno dell’Artsakh di 68 anni, che piange durante l’udienza farsa in tribunale. Come richiesto da numerose organizzazioni e istituzioni internazionali per i diritti umani, i prigionieri di guerra e i civili ancora tenuti in ostaggio a Baku devono essere rilasciati, ha osservato in un post su Twitter Ani Badalyan, Portavoce del Ministero degli Esteri dell’Armenia.

L’elenco dei prigionieri politici compilato dall’Unione per la libertà per i prigionieri politici dell’Azerbajgian, pubblicato dall’L’Istituto per la Pace e la Democrazia [QUI], aggiornato al 4 ottobre 2023 contiene i dati di 235 prigionieri politici Azeri (esclusi quindi gli Armeni) in Azerbajgian: «Dopo l’ex generale della KGB Heydar Aliyev assunse il potere nel 1993, iniziò la repressione nel Paese. Nel 2003 venne sostituito dal figlio Ilham Aliyev e la repressione contro i dissidenti divenne sistematica. I difensori dei diritti umani azerbajgiani aggiornano regolarmente l’elenco dei “prigionieri di coscienza” e dei prigionieri politici. L’attuale elenco, aggiornato al 4 ottobre 2023, comprende tutti gli arrestati e condannati per motivi politici, sui quali è stato possibile raccogliere informazioni dettagliate».

L’Istituto per la Pace e la Democrazia ha iniziato le sue attività nel 1995 in Azerbajgian e nel corso degli anni è diventato uno dei più autorevoli centri di difesa e ricerca sui diritti umani nel Caucaso meridionale. Nell’estate 2014, Leyla Yunus, Direttore dell’Istituto, e Arif Yunus, Capo del Dipartimento di conflitto e migrazione, sono stati arrestati con accuse inventate di tradimento e spionaggio a favore dell’Armenia. In seguito alla pressione dell’opinione pubblica internazionale, il Tribunale dell’Azerbajgian ha deciso di modificare la pena detentiva agli arresti domiciliari per Leyla e Arif Yunus, riconosciuti da Amnesty International come “prigionieri di coscienza”. Nel 2015 l’Istituto per la Pace e la Democrazia è stato registrato nei Paesi Bassi come ONG. Nell’aprile 2016, Leyla e Arif Yunus sono emigrati dall’Azerbajgian e hanno ricevuto asilo politico nei Paesi Bassi. L’Istituto continua il suo lavoro.

Di processi farsa è piena la storia umana e «chi non ricorda la storia, è destinato a riviverla». È la frase incisa in trenta lingue, sul monumento all’ingresso del campo di concentramento di Dachau, presa dalla monumentale opera La vita della ragione o la fase del progresso umano del filosofo e scrittore spagnolo George Santayana.

Il “martirio del Beato Simonino” di Francesco Oradini del XVIII secolo, medaglione apposto sulla facciata di Palazzo Salvadori a Trento dove sorgeva la sinagoga della comunità ebraica locale (Foto di Federico Duca).

Come esempio storico per capire come vince la menzogna e che la verità e lenta ma arriva a destinazione – tutti conosciamo il processo che subì Gesù davanti a Ponzio Pilato, che si lavò le mani dopo aver decretato quod scripsi, scripsi (quello che ho scritto, ho scritto”, come riferisce il Vangelo secondo Giovanni 19,22) – può servire il triste evento accaduto nella Trento medievale del Principe Vescovo Giovanni Hinderbach, che ci mostra quanto l’odio e il fanatismo siano da sempre stati subdoli compagni di viaggio della storia umana. Il “caso di Simonino da Trento”, raccontato da Aldo Gottardi per Trentino History qualche anno fa, è una drammatica storia di “invenzione del colpevole”, di propaganda e di fake news.

Nel marzo del 1475, sparì e fu poi ritrovato cadavere in una roggia il piccolo Simone Lomferdorm, figlio di un conciapelli della città. La locale comunità ebraica fu considerata il principale accusato. Nell’Europa medievale era infatti diffusa la diceria secondo la quale le comunità ebraiche, per i loro rituali pasquali, rapissero dei bambini Cristiani e li torturassero, per poi dissanguarli ed usarne il sangue nell’impasto del pane azzimo per festeggiare la Pesach, la Pasqua ebraica. Per molto tempo gli Ebrei erano spesso accusati di qualsiasi cosa, dalle carestie alle pestilenze e anche di questi cosiddetti “omicidi rituali” (o “accuse di sangue”) ai quali quasi sempre seguivano arresti, processi farsa, torture ed esecuzioni.

Accadde anche agli Ebrei Trentini, che furono subito arrestati e sottoposti a spaventose torture per estorcere quello che i giudici volevano sentirsi dire, ovvero che erano stati loro a torturare il piccolo Simone nel corso di questi loro presunti riti pasquali per poi strangolarlo con un panno e poi gettare il cadavere in una delle rogge che un tempo attraversavano la città. A nulla valsero le proteste dello stesso Papa Sisto IV, che da Roma non solo vietò il culto del piccolo Simone (già santificato e, sull’onda di un vero e proprio fanatismo popolare, ritenuto dotato di poteri miracolosi), ma avviò subito un’inchiesta sulla legittimità di questo processo inviando un proprio emissario a Trento, il domenicano Battista de Giudici. Egli tuttavia dovette lasciare presto la città per via di continue minacce alla sua incolumità e dell’aperta ostilità dello stesso Principe Vescovo Giovanni Hinderbach. Nel giro di qualche settimana quasi tutti gli Ebrei trentini furono uccisi in piazza del Duomo e il piccolo Simone fu elevato a uno dei santi protettori della città tridentina. Il suo culto si diffuse velocemente.

Solo nella seconda metà del Novecento, grazie a nuovi studi storici sulla vicenda eseguiti in primis da Mons. Iginio Rogger, fu possibile togliere il velo di ipocrisia che la ammantava e mostrare uno dei più agghiaccianti casi di antisemitismo nel Trentino: questo porterà nel 1965 all’abolizione del culto del Simonino da parte dell’allora Arcivescovo di Trento, Mons. Alessandro Maria Gottardi.

Seguono alcuni fatti, in riferimento a quanto dicevamo ieri, che «la verità è la prima vittima della guerra» [QUI].

«La strada per Naxçıvan [*] era una condizione per fermare la guerra dei 44 giorni e la nostra unica compensazione per decenni di occupazione [**]. Adesso l’Armenia sconfitta non riesce a risolvere i problemi con la Russia riguardo alla strada. C’è la tentazione di riprendere la guerra, incolpare Baku a livello internazionale e sfuggire all’obbligo» (Ilgar Mammadov, Presidente del Partito Repubblicano Alternativa-REAL dell’Azerbajgian).
[*] Il “Corridoio di Zangezur”, ovvero la regione Syunik dell’Armenia.
[**] Anche se la provvisione era prevista nella bozza dell’accordo trilaterale di cessate il fuoco del 9 novembre 2020 proposta da Putin, Pasinyan l’ha rifiutato e non è inclusa nel documento firmato anche da Aliev e Putin. Quindi, quanto affermato da Mammadov è un falso.

«Israele ha fatto questo. Israele ha bruciato questi bambini. Lo hanno fatto con il fosforo bianco, un’arma vietata. Il Ministro della Difesa israeliano si è vantato di questo atto in diretta televisiva perché ha affermato che questi bambini erano “creature subumane” secondo Yahidis» (Erem Şentürk).

Guillaume Perrier, il giornalista internazionale di Le Point con un fact check ha denunciato questa disinformazione di un comunicatore dei social media, un turco filo-Erdoğan con 400.000 iscritti, che ha trasmesso la foto di Mohammed Hamid, un bambino curdo siriano, mutilato da una bomba al fosforo lanciata dalla Turchia nel 2019, affermando falsamente che si tratta di un bambino Palestinese bruciato da Israele.

«Human Rights Watch conferma che Israele ha utilizzato il fosforo bianco in aree densamente popolate della Striscia di Gaza in violazione del diritto umanitario internazionale. Precedentemente l’Azerbajgian ha utilizzato il fosforo bianco nel Nagorno-Karabakh e la Russia in Ucraina» (Andranik Shirinyan).

«Triste, ma ancora più triste è che Azerbajgian abbia utilizzato munizioni al fosforo bianco nel 2020 su migliaia di civili nell’Artsakh e anche per bruciare villaggi e foreste, mentre Human Rights Watch non ha emesso alcun suono. Indignazione selettiva» (Vic Gerami).

«Rimane ancora un mistero quale Stato abbia fornito il fosforo bianco all’Azerbajgian. C’era una voce non confermata da parte di un propagandista filo-russo secondo cui si trattava dell’Ucraina, smentita da Zelenskyj e ritenuta disinformazione tra gli esperti liberali Armeni» (Sossi Tatikyan).

«Gli Stati Uniti restano saldi al fianco di Israele e continueranno a garantire che Israele abbia ciò di cui ha bisogno per mantenere se stesso e i suoi cittadini al sicuro» (Lloyd J. Austin III, Segretario alla Difesa statunitense).

Israele è il principale fornitore di armi dell’Azerbajgian e solo quest’anno ha inviato una dozzina di voli cargo a Baku. L’Azerbajgian ha utilizzato le armi forniti da Israel per pulire etnicamente gli Armeni dall’Artsakh. E adesso chiede armi agli USA.

«Il mio popolo armeno ha subito le stesse atrocità di ciò che sta accadendo attualmente in Palestina o in Israele. I media e il governo sono rimasti in silenzio e hanno chiuso un occhio sulla sofferenza del popolo armeno. Il silenzio uccide e il silenzio ha ucciso il mio popolo» (Nanou Likjan).

«Per 3 anni abbiamo implorato il mondo di fermare l’Azerbajgian, mentre Israele, Turchia e Russia hanno contribuito a massacrare gli Armeni. Nessun leader musulmano ha condannato le loro barbarie per porre fine al genocidio dell’Artsakh. Non parlarmi di crimini contro l’umanità. Diventiamo schietti» (Vic Gerami).

«C’è qualcuno che pensa che il diritto internazionale sia un fatto? No, nessuno può imporre il diritto internazionale. E, per definizione, un diritto che non può essere applicato non è un diritto» (Lucio Caracciolo a Otto e mezzo sull’inutilità delle organizzazioni internazionali).

«La solidarietà, negli ambienti di sinistra in cui sono cresciuto e che frequento ancora, si attiva solo ricorrendo a modelli ideologici del XX secolo. Al di fuori di questi, è l’oscurità. Silenzio su Yazidi e Armeni perché non sono politicamente utilizzabili. Silenzio sulle vittime Ebree, quando non giustificazione della violenza. Come se il presente scorresse verso il passato e non verso il futuro. Ciò senza, ovviamente, nulla togliere alla giusta solidarietà con i Palestinesi. Ma possono bastare le vecchie bandiere per porre limiti alla nostra empatia?» (Simone Zoppellaro).

«Non posso fare a meno di pensare che ci sia stato un consenso internazionale che ha aiutato l’Azerbajgian a prendere il Nagorno-Karabakh con la forza, sfollando gli Armeni. Le informazioni sui colloqui segreti tra gli attori chiave prima della tragedia nel Nagorno-Karabakh lo rafforzano. Vorrei sbagliarmi» (Tatevik Hayrapetyan).

«La popolazione dell’Artsakh ha dovuto affrontare il genocidio da parte del regime dittatoriale di Aliyev, con oltre il 99,96% sfollati forzati. Attualmente, solo al massimo 40 cittadini dell’Artsakh rimangono sotto l’occupazione azera, e alcuni di loro non sono di etnia armena ma hanno origini russe» (Artak Beglaryan).

«Ogni rifugiato vuole tornare nell’Artsakh, in attesa di forti garanzie per la sua sicurezza e i suoi diritti lì. La comunità internazionale continuerà a sostenere il genocidio dell’Artsakh con l’inazione criminale o garantirà una vita sicura e dignitosa a queste popolazioni autoctoni nella loro terra natale?» (Artak Beglaryan).

Il Rappresentante dell’Armenia, Yeghishe Kirakoyan, ha detto che la Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite ha ancora l’opportunità di rendere reversibile il processo di sfollamento sforzato degli Armeni dall’Artsakh. La comunità internazionale non ha impedito la pulizia etnica in Artsakh, a causa della situazione geopolitica. Tuttavia, il Tribunale può ancora cambiare significativamente la situazione “sul campo”. C’è ancora tempo per garantire che la deportazione degli Armeni dall’Artsakh non diventi irreversibile, al fine di preservare il piccolo numero di Armeni che ancora rimangono in Artsakh, nonché per liberare coloro che sono stati rapiti e trattenuti illegalmente in prigioni dell’Azerbajgian. Ha invitato il Tribunale a proteggere i rappresentanti della leadership politico-militare del Nagorno-Karabakh da accuse inventate.

L’Armenia chiede alla Corte di indicare 10 misure precauzionali all’Azerbajgian:
1. L’Azerbajgian non deve intraprendere alcuna azione che contravvenga ai suoi obblighi ai sensi della Convenzione sull’eliminazione delle discriminazioni.
2. L’Azerbajgian deve astenersi da qualsiasi azione volta a sfollare gli Armeni rimasti nel Nagorno-Karabakh o ad impedirne il ritorno.
3. L’Azerbajgian deve ritirare le sue truppe fuori dai villaggi occupati il 19 e 20 settembre.
4. L’Azerbajgian non deve interferire con il lavoro dei rappresentanti delle Nazioni Unite.
5. L’Azerbajgian non deve interferire con le attività del Comitato Internazionale della Croce Rossa e con le consegne umanitarie.
6. L’Azerbajgian deve garantire i servizi pubblici nel Nagorno-Karabakh, principalmente le forniture di gas, e astenersi da interruzioni deliberate.
7. L’Azerbajgian deve astenersi dall’adottare misure punitive contro i rappresentanti (attuali e passati) delle autorità del Nagorno-Karabakh.
8. L’Azerbajgian è tenuto ad astenersi dallo smantellare o deturpare i monumenti al genocidio armeno del 1915 o altri monumenti del patrimonio religioso o culturale degli Armeni [*].
9. L’Azerbajgian deve riconoscere i documenti di stato civile e i certificati di proprietà adottati dalle autorità del Nagorno-Karabakh.
10. L’Azerbajgian deve riferire alla Corte sull’attuazione della decisione entro un mese, poi ogni 3 mesi fino al raggiungimento di una decisione.
[*] «È importante comprendere la posta in gioco di questo tipo di cancellazione culturale: questi monumenti e pietre testimoniano le generazioni di Armeni che li veneravano e si prendevano cura di loro. Distruggerli significa cancellare non solo una cultura, ma un popolo» (Cristina Maranci – Time, 12 ottobre 2023 [QUI]).

Si è svolto a Bishkek l’incontro tra Vladimir Putin e Ilham Aliyev a margine del vertice della Comunità degli Stati Indipendenti. Non sono disponibile molti dettagli ma è stata sottolineato come priorità per i due “la situazione in Nagorno-Karabakh” e “la cooperazione bilaterale”.

«È un segreto di Pulcinella che gli interessi strategici di Azerbajgian e Russia si sono costantemente allineati, come abbiamo visto dalla guerra dei 44 giorni del Nagorno-Karabakh del 2020, quindi adattano direttamente o indirettamente le loro attività. Gli Azeri hanno effettuato la pulizia etnica nel Nagorno-Karabakh mentre erano presenti le forze di mantenimento della pace russe. Quando nel maggio 2021 e nel settembre 2022 l’Azebajgian occupò territori sovrani dell’Armenia vera e propria, Mosca giustificò l’incursione Azera facendo riferimento ai confini statali poco chiari, tentando contemporaneamente di schierare le cosiddette forze dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva [*] nelle aree di confine. Quando l’Unione Europea ha inviato una missione civile in Armenia su richiesta del governo armeno, l’Azerbaigian e la Russia hanno accusato i quattro membri dell’Unione Europea di essere distruttivi, ecc. Quindi non è stata una sorpresa quando Aliyev ha dichiarato ieri a Bishkek che Mosca è la migliore mediatore nella normalizzazione Armenia-Azerbajgian» (Armine Margaryan, esperto politico-militare residente in Armenia. Ex consigliere del Segretario del Consiglio di Sicurezza dell’Armenia).
[*] Un’alleanza militare fondata il 15 maggio 1992 da sei Stati dell’ex Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, appartenenti alla Comunità degli Stati Indipendenti, ambedue dominate dalla Russia.

«Non mi è chiaro il motivo per cui i nostri vicini Azeri si infastidiscono quando presento prove concrete che indicano un allineamento strategico tra Azerbajgian e Russia. Ragazzi, avete firmato la dichiarazione di Mosca il 24 febbraio 2022, prima dell’invasione russa dell’Ucraina, ricevendo anche gratitudine da Zelenskyj per il vostro sostegno nel settore energetico. La reputazione dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva guidata dalla Russia è influenzata negativamente dalla vostra invasione dell’Armenia, membro dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, ma la Russia giustifica la vostra offensiva militare. Il Piano Khovaev della Russia è stato respinto da voi, mentre Mosca ha accusato Yerevan di aver ucciso la questione dello status del Nagorno-Karabakh. Infine, hai violato ogni singola disposizione della dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020 mediata dalla Russia, ma Mosca afferma che la colpa dei fallimenti della Russia è dell’Armenia, non di te. Quindi ragazzi, non siate timidi. Finora hai avuto successo (Armine Margaryan, esperto politico-militare residente in Armenia. Ex consigliere del Segretario del Consiglio di Sicurezza dell’Armenia).

«L’Armenia vuole la pace?», si chiede a Bishkek l’autocrate dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, che ha appena compiuto la pulizia etnica di 100.000 dall’Artsakh. C’è bisogno di commentare?

«L’Azerbajgian tratterrà il petrolio russo», ha annunciato il Vice Primo Ministro russo, Alexander Novak, il 13 ottobre 2023, data che coincide con l’incontro Putin-Aliyev a Bishkek. Secondo lui, dopo l’ampliamento dell’oleodotto Tikhoretsk-Baku, il volume delle forniture di petrolio russo potrebbe raggiungere i 4 milioni di tonnellate all’anno, e questo petrolio potrebbe essere lavorato sul territorio dell’Azerbajgian, che è il “partner affidabile” per le forniture energetiche all’Unione Europea.

In questo contesto va notato che una nave da guerra russa ha attraccato a Baku il 10 ottobre 2023, come riportato dal Ministero della Difesa dell’Azerbajgian, sempre “partner affidabile” dell’Unione Europea.

«Mentre l’Armenia si avvicina all’Unione Europea, l’Azerbajgian va nella direzione opposta, ma di questo non scrive quasi nessuno. Le relazioni dell’Azerbajgian con la Russia sembrano essere fiorenti negli ultimi mesi. Scrivo di una situazione geopolitica in cambiamento nel Caucaso meridionale: “Ilham Aliyev e Vladimir Putin sembrano capirsi l’un l’altro in un modo che il Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan non ha ancora capito. Sia i leader azeri che quelli russi credono nei metodi totalitari per imporre la propria volontà, ed entrambi sono insoddisfatti di come ha funzionato l’ordine mondiale dopo la caduta dell’Unione Sovietica”» (Rasmus Canbäck).

«Non è possibile tollerare il finto giornalismo. Ci sono serie dinamiche che dovrebbero essere discusse. Come conversazioni amene che lasciano i problemi intatti e i morti e gli orrori» (Elena Basile).

Mentre la maggior parte delle analisi dei media stranieri si concentrano su come le relazioni russo-armene siano state influenzate dagli sviluppi nel Nagorno-Karabakh, si è detto poco sulle relazioni russo-azerbaigiane. Il giornalista svedese Rasmus Canbäck spiega per Blankspot come l’Azerbajgian si sta avvicinando alla Russia.

Dopo la guerra, le relazioni russo-azerbajgiani sono fiorenti
di Rasmus Canbäck
Blankspot, 12 ottobre 2023

(Nostra traduzione italiana dallo svedese)

Dopo la guerra del 19-20 settembre 2023, seguita dalla pulizia etnica degli Armeni del Nagorno-Karabakh, i media e gli analisti internazionali hanno rivolto la loro attenzione alle relazioni russo-armene. Ciò non sorprende.
Nel 1992, l’Armenia ha aderito all’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, la controparte della Russia alla NATO, e nel 2015 ha aderito all’Unione Economica Eurasiatica.

Ciò ha fatto seguito ai negoziati avanzati dell’Armenia con l’Unione Europea per l’adesione all’Unione doganale europea, che sono stati interrotti all’ultimo minuto.

Ciò è avvenuto nello stesso momento in cui altri Paesi come la Moldavia e l’Ucraina hanno scelto la strada europea, che, nel caso dell’Ucraina, è stato uno dei fattori che hanno portato alla rivoluzione Euromaidan e, infine, all’invasione russa del Paese nel 2014.

Negli ultimi mesi, le relazioni russo-armene si sono rapidamente deteriorate poiché l’Armenia ha espresso disappunto per il mancato rispetto da parte della Russia dei propri impegni in materia di sicurezza. Nelle settimane precedenti l’offensiva azera nel Nagorno-Karabakh, l’Armenia aveva dichiarato che il suo Parlamento intendeva votare sulla ratifica dello Statuto di Roma, che implica l’adesione alla Corte Penale Internazionale.

In teoria, ciò potrebbe significare che l’Armenia sarà obbligata ad arrestare Vladimir Putin durante una visita di Stato. In pratica, potrebbe esserci una storia diversa in cui si possono fare eccezioni, come discute l’esperta di diritto internazionale Sheila Paylan nel rapporto EVN Media con sede in Armenia.

Per aumentare ulteriormente le tensioni con la Russia, l’Armenia ha anche inviato la sua prima spedizione di aiuti all’Ucraina a settembre, ha tenuto esercitazioni militari congiunte con gli Stati Uniti nell’ambito della NATO (non la prima volta) e ha dichiarato apertamente che non ci si può fidare della Russia dal punto di vista della sicurezza.

Tutto ciò è stato ben documentato per coloro che hanno seguito il conflitto, così come la forte reazione della Russia nei confronti dell’Armenia. Quando l’Azerbajgian iniziò l’offensiva, la Russia era ben lungi dall’essere attiva nei suoi rapporti con gli Armeni nel Nagorno-Karabakh.

Il Ministero degli Esteri russo ha sostenuto che i passi falsi diplomatici dell’Armenia, come il riconoscimento del Nagorno-Karabakh come parte dell’Azerbajgian, hanno posto le basi per la pulizia etnica. Anche i media russi sono stati incaricati dal Cremlino di incolpare l’Armenia per gli eventi.
Da allora, l’Armenia ha congelato la propria adesione all’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva per rivalutare la propria politica di sicurezza.

Il rapporto russo-azerbaigiano

Mentre si è detto molto sul cambiamento nelle relazioni tra Armenia e Russia, si è detto meno sull’approccio dell’Azerbaigian alla Russia.

Dopo la guerra del 2020, 2.000 forze di mantenimento della pace russe furono schierati nel Nagorno-Karabakh per garantire il rispetto del cessate il fuoco e la sicurezza degli Armeni. Sono stati criticati dall’Armenia per aver fallito nella loro missione, incluso il permesso del blocco illegale della regione da parte dell’Azerbajgian.

Tuttavia, hanno anche causato un malcontento generale in Azerbajgian, che ritiene che abbiano ostacolato il ripristino dell’integrità territoriale del Paese. Infatti, in un sondaggio tra i giovani del paese condotto dal think tank azerbajgiano Agora Analytical Collective all’inizio del 2023, una percentuale maggiore riteneva che la Russia (77%) fosse la più grande minaccia alla sicurezza del Paese, non l’Armenia (73%). Questa è stata la prima volta che l’Armenia non è stata considerata la più grande minaccia alla sicurezza.

Mentre le relazioni armeno-russe sono state messe in discussione e si sono deteriorate, il Presidente dell’Azerbaigian, nonostante l’insoddisfazione interna nei confronti della Russia, ha compiuto passi significativi per avvicinarsi a Mosca.

Il 22 febbraio 2022 – due giorni prima che la Russia ha lanciato la grande invasione dell’Ucraina – Ilham Aliyev e Vladimir Putin hanno firmato un nuovo accordo di alleanza. Contiene 43 punti che coprono tutto, dalla sicurezza alla politica energetica.

Alcuni punti regolano la priorità della Russia negli investimenti nel settore energetico in Azerbajgian. Queste disposizioni potrebbero essere state aggiunte perché la Russia prevedeva che l’Unione Europea, in seguito all’invasione dell’Ucraina, avrebbe cercato rapidamente di diversificare le proprie importazioni di gas fuori dalla Russia.

Accordi controversi sul gas

L’idea di diversificare fuori dalla Russia è emersa per la prima volta nel 2008, quando la Commissione Europea ha deciso di esplorare la possibilità di investire in un nuovo gasdotto dall’Azerbajgian all’Europa. Il lavoro si è intensificato dopo l’invasione dell’Ucraina nel 2014 e nel 2015 sono stati cercati i finanziatori per il progetto. Per la Russia, il nuovo gasdotto rappresentava più un’opportunità che una minaccia alla diversificazione. La russa Lukoil possiede attualmente il 20% del più grande giacimento di gas dell’Azerbajgian, Shah Deniz, e quote del gasdotto. L’Iran è anche uno dei principali stakeholder nei giacimenti di gas.

Ironicamente, il progetto di prestigio dell’Unione Europea è diventato un modo per le due potenze autoritarie, Russia e Iran, di eludere le sanzioni contro di loro. In particolare, i nuovi accordi sul gas dell’Unione Europea con l’Azerbajgian, a partire dall’estate del 2022, hanno anche aperto la porta alla Russia per esportare gas russo attraverso l’Azerbajgian verso l’Europa.

Il 6 ottobre Lukoil ha anche annunciato di aver firmato un nuovo accordo petrolifero con la compagnia energetica statale azera Socar, del valore di 1,5 miliardi di dollari.

Tuttavia, con la pulizia etnica nel Nagorno-Karabakh, la Russia ha dovuto riorientare la propria posizione nel Caucaso meridionale. Le truppe di mantenimento della pace russe, che in precedenza costituivano una leva nella la dipendenza dell’Armenia dalla Russia, hanno perso la loro funzione. Mentre per Armenia e Russia ciò potrebbe significare la fine dolorosa di un’alleanza formale, sembra probabile che apra la porta a relazioni sempre migliori tra Azerbajgian e Russia.

Una visione comune dell’ordine mondiale

Ilham Aliyev e Vladimir Putin sembrano capirsi l’un l’altro in un modo che il primo ministro armeno Nikol Pashinyan non ha ancora capito. Sia i leader azeri che quelli russi credono nei metodi totalitari per imporre la propria volontà, ed entrambi sono insoddisfatti di come ha funzionato l’ordine mondiale dopo la caduta dell’Unione Sovietica.

Vladimir Putin, con la guerra in Ucraina, ha ripetutamente affermato che le leggi internazionali non si applicano alla Russia e che il Paese sta costruendo un nuovo ordine. Allo stesso modo, Ilham Aliyev ha deviato dai negoziati di pace nel Nagorno-Karabakh per risolvere il conflitto con la forza, una strategia che sembra funzionare poiché la comunità internazionale oltre che condannare le azioni dell’Azerbajgian non ha fatto altro.

Nel 2022, Freedom House ha evidenziato la soluzione militare dell’Azerbajgian nel Nagorno-Karabakh come precursore della guerra della Russia contro l’Ucraina: ”L’evidente successo di Aliyev nell’uso dell’aggressione militare per rafforzare il suo regime potrebbe aver contribuito alla decisione di Vladimir Putin di invadere l’Ucraina. Lo stesso Putin ha utilizzato tali strumenti più volte in passato, e ora c’era motivo di credere che avrebbero funzionato di nuovo”.

All’inizio di ottobre, dopo l’offensiva che ha portato alla pulizia etnica del Nagorno-Karabakh, la Russia intendeva inviare una delegazione in Armenia per discutere del futuro. Ma già prima la Russia aveva dichiarato che la decisione sul futuro delle forze di mantenimento della pace russe non riguardava più l’Armenia, nonostante l’accordo della fine della guerra del 2020 prevedesse il coinvolgimento di tutte e tre le parti (compreso l’Azerbajgian). Secondo la Russia, ora è solo una questione tra loro e l’Azerbajgian.

La pace parla come un buffet

Forse non è sorprendente. Dal punto di vista del mantenimento di buoni rapporti con la Russia, a differenza di Nikol Pashinyan, Ilham Aliyev ha giocato bene le sue carte. Nel maggio 2023, Aliyev ha sottolineato che la relazione con la Russia non è “solo un’alleanza de facto ma anche de jure”. Ciò è stato ribadito l’11 ottobre, quando Aliyev ha criticato l’Armenia per non aver voluto partecipare a nuovi colloqui di pace con la Russia a Bishkek, la capitale del Kirghizistan. Come nel maggio 2023, ha sottolineato ancora una volta l’alleanza del Paese con la Russia.

Ilham Aliyev ha cancellato la sua partecipazione al vertice guidato dall’Unione Europea a Granada il 5 ottobre, che doveva essere il primo colloquio di pace dopo l’offensiva del 19-20 settembre.

I colloqui di pace più avanzati dalla guerra del 2020 si sono svolti in quello che viene chiamato il “formato di Brussel”. Questa volta, oltre al Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, erano presenti sia la Francia che la Germania.

L’Azerbajgian riteneva che senza la presenza della Turchia il formato sarebbe stato “anti-azerbajgiano” e da allora ha presentato due formati alternativi. Uno in Georgia, che è generalmente considerata favorevole all’Azerbajgian per quanto riguarda il Nagorno-Karabakh, e uno che continua con la presenza della Russia.

Da quando l’Azerbajgian ha abbandonato i negoziati di pace riconosciuti a livello internazionale nel 2020, sembra che l’Azerbajgian consideri il dialogo con l’Armenia come una classica tavola svedese [in russo “tavola svedese” significa “buffet”]. Quando un formato non soddisfa i desideri dell’Azerbaijan al momento, Ilham Aliyev lo abbandona per portare avanti un cambiamento secondo la propria agenda. Finora, questo approccio ha funzionato per lui.

Mancanza di una strategia europea

Già nell’agosto 2022, dopo che l’Unione Europea aveva firmato nuovi accordi sul gas con l’Azerbajgian, l’analista Maximilian Hess del Centro di Ricerca sulla Politica Estera ha criticato la Commissione Europea per la mancanza di una chiara direzione su come gestire l’Azerbajgian.

La stessa critica è stata ripresa in una risoluzione insolitamente ampia del Parlamento Europeo del 5 ottobre, che criticava la Commissione Europea per il fallimento nei rapporti con l’Azerbajgian. La risoluzione evidenzia come punti critici le relazioni diplomatiche dell’Azerbajgian e i legami commerciali con la Russia.

In effetti, questa è stata la seconda risoluzione che propone sanzioni contro l’Azerbajgian in appena un mese. Il primo riguarda la detenzione del prigioniero politico Gubad Ibadoghlu, che si trova in carcere in Azerbajgian dalla fine di luglio.

Analogamente alla Russia, l’Azerbajgian, dopo aver pianificato di risolvere il conflitto del Nagorno-Karabakh con la forza, ha arrestato un numero significativo di attivisti pacifisti.

L’Azerbajgian si trova in una situazione geopolitica in cui la sua amicizia con la Russia gli consente di bloccare potenzialmente le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Allo stesso tempo, la situazione nel Nagorno-Karabakh è stata risolta in modo da non lasciarli più nessun Armeno, e gli accordi sul gas con l’Unione Europea continuano ad espandersi. L’assenza di un accordo di pace significa che Ilham Aliyev può ancora sostenere che c’è un nemico esterno che minaccia il popolo.

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