Andando indietro nel tempo del “giallo Orlandi”. Gli appelli di Papa Wojtyła del 1983 e la Nota Lombardi del 2012

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 18.04.2023 – Vik van Brantegem] – La settimana appena trascorsa, con le polemiche relative alle insinuazioni su un collegamento tra la scomparsa di Emanuela Orlandi e Giovanni Paolo II, ci ha riportato indietro nel tempo. L’hanno ricordato ieri 17 aprile 2023, Nico Spuntoni per Il Giornale (La sofferenza di Giovanni Paolo II per la sorte di Emanuela Orlandi. Il Papa polacco fece ben otto appelli per il ritorno della ragazza scomparsa nel 1983 e rimase sempre vicino alla famiglia) e Enzo Quaratino per ANSA (L’ansia e le preghiere di Wojtyła per Emanuela Orlandi. Gli appelli per la ragazza scomparsa. A Natale 1983 la visita alla famiglia). Riportiamo ambedue i contributi, seguiti dalla Nota del Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Padre Federico Lombardi, S.I., a proposito di recenti affermazioni nella stampa italiana sul Vaticano e il sequestro Orlandi, pubblicata sul Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede N. 214 del 14 aprile 2012. Questa nota offre molte risposte ai dubbi e alle illazioni che vengono riproposte in questi giorni sulla sparizione di Emanuela Orlandi di 40 anni fa. ricostruendo le prime indagini nel caso Orlandi, con la collaborazione tra l’Italia e il Vaticano.

La famiglia Orlandi al completo con Papa Giovanni Paolo II, uno scatto custodito gelosamente in cornice, nel salotto dell’appartamento di via Sant’Egidio, dentro le Mura leonine. Da sinistra: Federica, Natalina, la zia Anna (che abitava nella stessa casa), Emanuela (con gli occhiali), Cristina, mamma Maria, papà Ercole e Pietro (Foto di Corriere della Sera).

La sofferenza di Giovanni Paolo II per la sorte di Emanuela Orlandi
Il Papa polacco fece ben otto appelli per il ritorno della ragazza scomparsa nel 1983 e rimase sempre vicino alla famiglia
di Nico Spuntoni
Il Giornale, 17 aprile 2023


Era un mercoledì, quel 22 giugno 1983 in cui della ragazza residente in Vaticano, dopo un ultimo avvistamento di alcune compagne di scuola di musica in Corso Rinascimento, a Roma, non si seppe più nulla. Sarebbe dovuta tornare a casa con la sorella Cristina con cui aveva appuntamento e che oltrepassò porta sant’Anna da sola quella sera. L’angoscia di quei primi minuti non se n’è andata nei familiari che hanno continuato a cercarla e a sperare in un suo ritorno. Il padre Ercole, impiegato della prefettura della Casa Pontificia, è morto nel 2004 e fino ad allora aveva continuato a tenere la chiave di casa nella serratura in attesa del ritorno della figlia.

All’inizio delle ricerche, la residenza nello Stato più piccolo del mondo non sembrò un fattore determinante. Lo dimostra la reazione di uno dei primi telefonisti che chiamarono a casa Orlandi dicendo di aver visto una ragazza somigliante ad Emanuela a Campo de Fiori: all’invito dello zio Mario Meneguzzi, incaricato dalla famiglia di raccogliere le segnalazioni, di vedersi in Vaticano, rispose con sorpresa “in Vaticano? ma lei è un prete?”.

Le cose cambiano, quindi, con l’appello fatto da Giovanni Paolo II al termine dell’Angelus di domenica 3 luglio 1983 nel quale espresse la sua vicinanza per “le ansie e l’angosciosa trepidazione dei genitori, non perdendo la speranza nel senso di umanità di chi abbia responsabilità di questo caso”. Il Papa, che nei giorni della scomparsa si trovava in Polonia per una storica apostolica con una delegazione formata anche dal Segretario di Stato, il Cardinale Agostino Casaroli e da Padre Romeo Panciroli, Direttore della Sala stampa della Santa Sede, fece sapere al mondo il suo interessamento per la sorte della figlia di un dipendente dello Stato di cui era sovrano.

Dopo il primo appello del Papa, arrivò in Sala Stampa della Santa Sede una telefonata di un anonimo che parlava con un accento forzatamente anglosassone – e per questo giornalisticamente ribattezzato “l’amerikano” dopo un commento descrittivo di Meneguzzi – e che si presentò come appartenente ad un’organizzazione che aveva rapito la ragazza, chiedendo in cambio della sua liberazione il rilascio di Alì Agca, l’attentatore di Wojtyła. La stessa persona, poi, chiamò anche a casa Orlandi facendo ascoltare la registrazione di una voce presentata come quella di Emanuela. Queste telefonate, successive al primo appello all’Angelus di Giovanni Paolo II, segnarono l’inizio della pista legata all’intrigo internazionale che poi non trovò ulteriori conferme.

Dopo quel primo appello, Giovanni Paolo II fece altri sette appelli pubblici. La Santa Sede, come ammesso nella nota del 2012 sul caso redatta dall’allora direttore della Sala Stampa padre Federico Lombardi, credette alla pista del terrorismo internazionale. Nel documento, che rappresenta l’epilogo di una sorta di consultazione fatta durante il pontificato di Benedetto XVI di tutti gli elementi e le testimonianze sul caso in mani vaticane, “le autorità vaticane condivisero l’opinione prevalente che il sequestro fosse utilizzato da una oscura organizzazione criminale per inviare messaggi od operare pressioni in rapporto alla carcerazione e agli interrogatori dell’attentatore del Papa”. Il tempo, però, svuotò d’efficacia quest’ipotesi e nessuno dei telefonisti dimostrò mai con prove certe che Emanuela fosse viva.

Giovanni Paolo II è sempre rimasto vicino alla famiglia Orlandi. Il giorno della vigilia di Natale del 1983, il primo senza Emanuela, si recò nella loro casa di via sant’Egidio dove ancora oggi vive la madre, la Signora Maria Pezzano. Una vicinanza che quest’ultima non aveva dimenticato, come dimostra la sua partecipazione sul sagrato della Basilica di San Pietro alla cerimonia di beatificazione del Papa polacco, nel 2011. “Non potevo mancare”, spiegò la signora al Corriere della Sera rivelando il “legame speciale” con la figura di Wojtyła. “Ci è stato vicino quando era in vita e adesso da lassù, da beato, spero possa fare il miracolo, regalarmi la gioia di riabbracciare mia figlia”, osservò Maria Pezzano. Purtroppo però quel miracolo non c’è ancora stato e la sorte di Emanuela continua, quaranta anni dopo, a rimanere ignota.

L’ansia e le preghiere di Wojtyła per Emanuela Orlandi. Gli appelli per la ragazza scomparsa. A Natale 1983 la visita alla famiglia
di Enzo Quaratino
ANSA, 17 aprile 2023


«Desidero esprimere solidarietà alla famiglia Orlandi, la quale è nell’afflizione per la figlia Emanuela, di 15 anni, che da mercoledì 22 giugno non ha fatto ritorno a casa. Condivido le ansie e l’angosciosa trepidazione dei genitori, non perdendo la speranza nel senso di umanità di chi abbia responsabilità in questo caso. Elevo al Signore la mia preghiera perché Emanuela possa presto ritornare incolume ad abbracciare i suoi cari che l’attendono con strazio indicibile». Fu questa, all’Angelus del 3 luglio 1983, la prima volta che l’allora Papa Giovanni Paolo II, santo dal 27 aprile 2014, intervenne pubblicamente sulla vicenda della scomparsa, tuttora avvolta nel mistero, di Emanuela Orlandi, cittadina vaticana, figlia di un dipendente della Prefettura della Casa Pontificia che prestava servizio in qualità di messo all’anticamera papale, nel Palazzo Apostolico.

Dopo il primo intervento, altre otto volte Giovanni Paolo II fece pubblicamente riferimento alla vicenda: un nuovo accenno fu all’Angelus della domenica successiva (10 luglio 1983): «Stiamo facendo tutto il possibile», disse; poi un terzo (17 luglio 1983), con un appello dopo la consegna all’ANSA di un messaggio registrato da presunti “rapitori” che avevano detto di tenere prigioniera la ragazza e ne avevano legato il destino alla liberazione di Alì Agca, il terrorista turco che il 13 maggio 1981, in piazza San Pietro, aveva attentato alla vita di Giovanni Paolo II. Il 20 luglio 1983 il Papa chiese ai fedeli riuniti in piazza San Pietro per l’udienza generale di recitare con lui un’Ave Maria in latino e di pregare per la ragazza scomparsa. Il giorno dopo (21 luglio 1983) il Papa rivolse un altro appello ai “rapitori” chiedendo la liberazione della ragazza, senza contropartita: era il giorno indicato nel messaggio dei presunti sequestratori come scadenza dell’ultimatum per la liberazione di Agca.

Un ulteriore accenno del Papa a Emanuela Orlandi fu fatto il 24 luglio 1983, dal Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo: un invito ai fedeli a pregare per lei; un altro ancora, tre giorni dopo (27 luglio), con un nuovo invito alla preghiera. E, ancora, il 28 agosto 1983, sempre dalla residenza pontificia estiva. La vigilia di Natale di quel 1983, poi, Giovanni Paolo II si recò in casa Orlandi, in Vaticano, per far visita alla famiglia.

Infine, il 25 aprile 1984 il Papa lanciò un nuovo appello, l’ultimo pubblico, per avere notizie della ragazza scomparsa: «Il mio pensiero – disse – va a persone vicine e lontane: va innanzitutto alla famiglia Orlandi, che ho ricordato particolarmente nella preghiera insieme con la loro cara Emanuela, della quale non si è più saputo nulla. I genitori di Emanuela non perdono la speranza di poter riabbracciare la loro figlia. Attendono con ansia di avere almeno qualche sicura notizia che allevi la loro terribile angoscia».

Papa Giovanni Paolo II parla con Pietro Orlandi, indicandolo con l’indice della mano sinistra. In primo piano la sorella Natalina, prima nata dei cinque figli di casa Orlandi, e sullo sfondo Federica, tre anni più giovane di Pietro. Fu in una circostanza del genere, quando si recò a casa Orlandi per gli auguri di Natale, il 24 dicembre 1983 (Emanuela era scomparsa sei mesi prima), che Giovanni Paolo II indicò Pietro e gli chiese: «Questo giovane vuole diventare banchiere?» Alla risposta imbarazzata e riconoscente di Pietro Orlandi, seguì, pochi mesi dopo, l’assunzione allo IOR (Foto di Corriere della Sera).

La Nota del Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Padre Federico Lombardi, S.I., a proposito di recenti affermazioni nella stampa italiana sul Vaticano e il sequestro Orlandi
Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede N. 214 del 14 aprile 2012


La vicenda del tragico sequestro della giovane Emanuela Orlandi è stata nuovamente richiamata all’attenzione pubblica nel corso degli ultimi mesi da alcune iniziative e interventi che hanno avuto eco sulla stampa, e in cui è stato avanzato il dubbio se da parte di istituzioni o personalità vaticane si sia fatto veramente tutto il possibile per contribuire alla ricerca della verità su quanto avvenuto.

Poiché è passato ormai un tempo considerevole dai fatti in questione (il sequestro avvenne il 22 giugno 1983, quasi trent’anni fa) e buona parte delle persone allora in posizioni di responsabilità sono scomparse, non è naturalmente possibile pensare a un riesame dettagliato degli eventi. Ciononostante è possibile – grazie ad alcune testimonianze particolarmente attendibili e ad una rilettura della documentazione disponibile – verificare nella sostanza con quali criteri e atteggiamenti i responsabili vaticani procedettero ad affrontare quella situazione.

Le domande principali a cui rispondere sono le seguenti:

  • Le Autorità vaticane del tempo si impegnarono veramente per affrontare la situazione e collaborarono con le autorità italiane in tal senso?
  • Ci sono ancora elementi nuovi, non rivelati ma conosciuti da qualcuno in Vaticano, che potrebbero essere utili per conoscere la verità?
  • È giusto ricordare anzitutto che il Papa Giovanni Paolo II in persona si dimostrò particolarmente coinvolto dal tragico sequestro, tanto che intervenne diverse volte (ben otto in meno di un anno!) pubblicamente con appelli per la liberazione di Emanuela, si recò personalmente a visitare la famiglia, si interessò perché fosse garantito un posto di lavoro per il fratello Pietro. A questo impegno personale del Papa è naturale che corrispondesse l’impegno dei suoi collaboratori.

Il Cardinale Agostino Casaroli, Segretario di Stato e quindi primo collaboratore del Papa, seguì personalmente la vicenda, tanto che, com’è noto, si mise a disposizione per i contatti con i rapitori con una linea telefonica particolare.

Come ha attestato già in passato e attesta tuttora il Cardinale Giovanni Battista Re – allora Assessore della Segreteria di Stato e oggi principale e più autorevole testimone di quel tempo -, non solo la Segreteria di Stato stessa, ma anche il Governatorato furono impegnati nel fare tutto il possibile per contribuire ad affrontare la dolorosa situazione con la necessaria collaborazione con le Autorità italiane inquirenti, a cui spettava evidentemente la competenza e la responsabilità delle indagini, essendo il sequestro avvenuto in Italia.

La piena disponibilità alla collaborazione da parte delle personalità vaticane che a quel tempo occupavano posizioni di responsabilità, risulta da fatti e circostanze. Solo per fare un esempio, gli inquirenti (e soprattutto il SISDE) avevano avuto accesso al centralino vaticano per possibile ascolto di chiamate dei rapitori, e anche in seguito in alcune occasioni Autorità vaticane ricorsero alla collaborazione con Autorità italiane per smascherare ignobili forme di truffa da parte di presunti informatori.

Risponde perciò a pura verità quanto affermato con Nota Verbale della Segreteria di Stato N. 187.168, del 4 marzo 1987, in risposta vaticana alla prima richiesta formale di informazioni presentata dalla magistratura italiana inquirente in data 13 novembre 1986, quando dice che “le notizie relative al caso… erano state trasmesse a suo tempo al PM dottor Sica”. Atteso che tutte le lettere e le segnalazioni pervenute in Vaticano furono prontamente girate al Dott. Domenico Sica e all’Ispettorato di P.S. presso il Vaticano, si presume che siano custodite presso i competenti uffici giudiziari italiani.

Anche nella seconda fase dell’inchiesta – anni dopo – le tre rogatorie indirizzate alle Autorità vaticane dagli inquirenti italiani (una nel 1994 e due nel 1995) trovarono risposta (Note Verbali della Segreteria di Stato N. 346.491, del 3 maggio 1994; N. 369.354, del 27 aprile 1995; N. 372.117, del 21 giugno 1995). Come domandato dagli inquirenti, il Sig. Ercole Orlandi (papà di Emanuela), il Comm. Camillo Cibin (allora Comandante della Vigilanza vaticana), il Card. Agostino Casaroli (già Segretario di Stato), S.E. Mons. Eduardo Martinez Somalo (già Sostituto della Segreteria di Stato), Mons. Giovanni Battista Re (allora Assessore della Segreteria di Stato), S.E. Mons. Dino Monduzzi (allora Prefetto della Casa Pontificia), Mons. Claudio Maria Celli (già Sotto-Segretario della Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato), resero ai giudici del Tribunale Vaticano le loro deposizioni sulle questioni poste dagli inquirenti e la documentazione venne inviata, per il tramite dell’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, alle Autorità richiedenti. I relativi fascicoli esistono tuttora e continuano a essere a disposizione degli inquirenti. È anche da rilevare che all’epoca del sequestro di Emanuela, le Autorità vaticane, in spirito di vera collaborazione, concessero agli inquirenti italiani ed al SISDE l’autorizzazione a tenere sotto controllo il telefono vaticano della famiglia Orlandi e ad accedere liberamente in Vaticano per recarsi presso l’abitazione degli stessi Orlandi, senza alcuna mediazione di funzionari vaticani.

Non è quindi fondato accusare il Vaticano di aver ricusato la collaborazione alle Autorità italiane preposte alle indagini.

Ciò dà occasione di ribadire che è prassi costante della Santa Sede di rispondere alle rogatorie internazionali, ed è ingiusto affermare il contrario (come si è fatto ancora recentemente a proposito di una rogatoria sullo IOR, che in realtà non è mai stata trasmessa alla Segreteria di Stato, come confermato ufficialmente dalle competenti Autorità diplomatiche italiane).

Il fatto che alle deposizioni in questione non fosse presente un magistrato italiano, ma che si fosse richiesto alla parte italiana di formulare con precisione le questioni da porre, fa parte della prassi ordinaria internazionale nella cooperazione giudiziaria e non deve quindi stupire, né tantomeno insospettire (si veda anche l’Art. 4 della Convenzione Europea di assistenza giudiziaria in materia penale, del 20 aprile 1959).

La sostanza della questione è che purtroppo non si ebbe in Vaticano alcun elemento concreto utile per la soluzione del caso da fornire agli inquirenti. A quel tempo le Autorità vaticane, in base ai messaggi ricevuti che facevano riferimento ad Ali Agca – che, come periodo, coincisero praticamente con l’istruttoria sull’attentato al Papa – condivisero l’opinione prevalente che il sequestro fosse utilizzato da una oscura organizzazione criminale per inviare messaggi od operare pressioni in rapporto alla carcerazione e agli interrogatori dell’attentatore del Papa.

Non si ebbe alcun motivo per pensare ad altri possibili moventi del sequestro. L’attribuzione di conoscenza di segreti attinenti al sequestro stesso da parte di persone appartenenti alle istituzioni vaticane, senza indicare alcun nominativo, non corrisponde quindi ad alcuna informazione attendibile o fondata; a volte sembra quasi un alibi di fronte allo sconforto e alla frustrazione per il non riuscire a trovare la verità.

In conclusione, alla luce delle testimonianze e degli elementi raccolti, desidero affermare con decisione i punti seguenti:

  • Tutte le Autorità vaticane hanno collaborato con impegno e trasparenza con le Autorità italiane per affrontare la situazione del sequestro nella prima fase e, poi, anche nelle indagini successive.
  • Non risulta che sia stato nascosto nulla, né che vi siano in Vaticano “segreti” da rivelare sul tema. Continuare ad affermarlo è del tutto ingiustificato, anche perché, lo si ribadisce ancora una volta, tutto il materiale pervenuto in Vaticano è stato consegnato, a suo tempo, al P.M. inquirente e alle Autorità di Polizia; inoltre, il SISDE, la Questura di Roma ed i Carabinieri ebbero accesso diretto alla famiglia Orlandi e alla documentazione utile alle indagini.
  • Se le Autorità inquirenti italiane – nel quadro dell’inchiesta tuttora in corso – crederanno utile o necessario presentare nuove rogatorie alle Autorità vaticane, possono farlo, in qualunque momento, secondo la prassi abituale e troveranno, come sempre, la collaborazione appropriata.
  • Infine, poiché la collocazione della tomba di Enrico De Pedis presso la Basilica dell’Apollinare ha continuato e continua ad essere motivo di interrogativi e discussioni – anche a prescindere dal suo eventuale rapporto con la vicenda del sequestro Orlandi – si ribadisce che da parte ecclesiastica non si frappone nessun ostacolo a che la tomba sia ispezionata e che la salma sia tumulata altrove, perché si ristabilisca la giusta serenità, rispondente alla natura di un ambiente sacro.

Per terminare, vorremmo riprendere spunto e ispirazione dall’intensa partecipazione personale di Giovanni Paolo II alla tragica vicenda della giovane e alla sofferenza della sua famiglia, rimasta finora nell’oscurità sulla sorte di Emanuela. Ancor più perché questa sofferenza purtroppo si ravviva al sorgere di ogni nuova pista di spiegazione, finora senza esito. Se le persone che scompaiono ogni anno in Italia e di cui non si sa più nulla nonostante le inchieste e le ricerche sono purtroppo numerose, la vicenda di questa giovane cittadina vaticana innocente scomparsa continua a tornare sotto i riflettori. Non sia questo un motivo per scaricare sul Vaticano colpe che non ha, ma sia piuttosto occasione per rendersi conto della realtà terribile e spesso dimenticata che è costituita dalla scomparsa delle persone – in particolare di quelle più giovani – e opporsi, da parte di tutti e con tutte le forze, ad ogni attività criminosa che ne sia causa.

Indice – Il “giallo Orlandi” anno 2023 [QUI]

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