“I coccodrilli di Ratzinger”. Un libro per aiutare a riflettere sul modo di fare giornalismo

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 13.09.2022 – Vik van Brantegem] –  Riportiamo di seguito tre recensioni del libro I coccodrilli di Ratzinger (All Around 2022, 224 pagine) di Giovanna Chirri, che si confronta con il non ancora superato trauma, inferto con la rinuncia di Papa Benedetto XVI al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro al termine del Concistoro Ordinario Pubblico dell’11 febbraio 2013 [Declaratio]. Un Papa sottovalutato e non amato dai media, tutt’ora sotto attacco, che – nato il 16 aprile 1927 a Marktl, nel circondario di Altötting in Baviera – ha superato il traguardo dei 95 anni da Papa emerito.

Le tre recensioni che seguono sono rispettivamente a firma di M. Michela Nicolais per l’agenzia SIR, al momento dell’uscita del libro in formato e-book il 1° luglio 2019; di Mario Nanni per il sito Beemagazine, in occasione dell’uscita del libro nelle librerie il 14 aprile 2022; e di Andrea Muratore per Il Giornale di oggi, 13 settembre 2022. Letture da cui traspare un’ammirevole lezione di metodo giornalistico e di ricerca della verità, attraverso la lettura del libro di una collega di lunga corsa, d’antan. Del tempo che fu. Andato questo tempo, durante il quale ho visto arrivare Giovanni Chirri nel palazzo dei Propilei in via della Conciliazione 54 nel 1994 (ero da quasi 10 anni Assistente della Sala Stampa della Santa Sede). Sono andata in pensione al termine dell’anno della rinuncia di Papa Benedetto XVI e dell’elezione di Papa Francesco, quattro anni prima di Chirri.

11 febbraio 2013. Papa Benedetto XVI rinuncia al governo della Chiesa Cattolica Romana -11 febbraio 2021.

Giornalismo: i “coccodrilli” di Ratzinger e la “regola del pomodoro”
di M. Michela Nicolais
SIR, 14 settembre 2019


Dai “coccodrilli” di Ratzinger all’avvento dei social

Giovanna Chirri, giornalista di lungo corso, autrice dello scoop mondiale delle dimissioni di Benedetto XVI, ci spiega in un e-book come sia cambiato il nostro mestiere, in un panorama mediatico spesso in preda ad un “delirio” di stampo narcisistico, dove alla “qualità” viene preferita la “quantità” e alla “competenza” il sensazionalismo effimero delle “fake news”.

Giornalismo, in italiano, troppo spesso fa rima con narcisismo

A testimoniare l’esatto contrario è Giovanna Chirri, giornalista di lungo corso, vaticanista all’ANSA dal 1994 al 2017, ora autrice del blog Vaticanista sul filo http://www.giovannachirri.it/. Nel suo e-book I coccodrilli di Ratzinger, parte da una vicenda autobiografica – lo scoop delle dimissioni di Benedetto XVI – per riflettere e far riflettere su come sia cambiato il modo di fare informazione a partire dall’irruzione dei social sulla scena mediatica. La sua, così, da vicenda personale diventa vicenda emblematica di un panorama mediatico in cui alla “qualità” dell’informazione si preferisce di gran lunga la “quantità”, e alla “competenza” il sensazionalismo effimero delle “fake news”.

La regola del pomodoro

L’obiettivo di Giovanna Chirri, in queste pagine, è dare un contributo per cercare di contrastare la deriva attuale dell’informazione, sotto gli occhi di tutti senza che però nessuno si ponga seriamente il problema di arginarla. L’autrice sceglie di farlo mettendo in collegamento passato e presente, le regole auree del mestiere e la “deregulation” dominante in quello che una volta era – e dovrebbe restare – un lavoro artigianale. Attraverso alcuni aneddoti vissuti tra scuola di giornalismo, redazioni, servizi esterni, in diverse testate e in un arco di circa 30 anni, Chirri cita esperienze che l’hanno formata. Come la “regola del pomodoro”, appresa appena approdata in Sala Stampa della Santa Sede: “Se c’è il papa in giro ci devi essere pure tu, perché se gli tirano un pomodoro sulla tonaca, il rosso sul bianco si vede, lo devi vedere e devi poterlo raccontare”. “Scoop mondiale vuol dire che anche io, povera giornalista di agenzia, sono arrivata prima su una notizia storica”, la sua lettura dell’11 febbraio 2013: “E lo scoop mondiale non lo avrei mai fatto se non avessi applicato quotidianamente alcune piccole regole del giornalismo”. Prima di tutte, appunto, la “regola del pomodoro”.

Le cinque “w” nell’era del digitale

Per le vecchie e le nuove generazioni di giornalisti, le cinque “W” (who, what, when, where, why) restano comunque l’abc del mestiere. L’agilità, il linguaggio, le misure dell’agenzia di stampa – il paradosso attuale – da un lato sembrano più congeniali al web, dall’altro però quella che è la forza della cronaca, eterno “canovaccio” per qualunque altro tipo di giornalismo, viene sacrificata in nome del “dio aggiornamento”, che riduce sempre di più la durata di un dispaccio, superato ormai in velocità dai tweet e dai vari siti pirata di notizie. “In parte l’enfasi e la bassa letteratura prestate alla cronaca e, credo in misura maggiore, interessi editoriali che poco hanno a che fare con l’informazione – la tesi di Giovanna – si sono saldati nello snaturare questa forza delle agenzie, trasferendole sul web insieme allo scimmiottamento del sensazionalismo e della chiacchiera confusa, annullando l’importanza della gerarchia delle notizie a vantaggio della novità”. Il “copia-incolla”, così, regna sovrano, il gusto dell’andare a cercare le notizie è ormai merce rara. Tutto ciò, a scapito del giornalismo come lavoro artigiano, che “richiede non solo velocità e foto e video, ma anche tempo, competenze, pazienza, destrezza, amore per quello che si fa, attenzione al dettaglio”. Oggi, invece, “vediamo come tutta l’informazione sia gridata, esasperata, tifosa, e ogni avvenimento raccontato come un derby cittadino. È ancora informazione?”.

La misura del degrado

“La misura del degrado nel mondo dei media emerge anche da due fattori collegati alla rinuncia al pontificato da parte di Benedetto XVI”, sostiene Chirri sulla base del clima vissuto in quei giorni, a cui nessun vaticanista, neanche quello più esperto, era preparato: “Alcuni colleghi hanno commentato che non si trattava di uno scoop perché sarebbe bastato aspettare due ore e il portavoce Padre Lombardi ci avrebbe avvertito. Qualcuno in agenzia è giunto a mormorare perché né Papa Ratzinger né nessuno in Vaticano mi aveva preavvertito che il pontefice si sarebbe dimesso: diventava una colpa aver saputo fare il proprio mestiere e aver capito da sola quello che stava accadendo”.

“È sempre più l’immagine, l’apparenza, l’esteriorità, e l’appartenenza a qualche lobby a farla da padrona sulle competenze e la capacità di fare un loro che però resta complicato e dove spesso più che l’apparire o le apparenze, conta la sostanza e la schiena dritta”, il bilancio finale dell’autrice in un panorama informativo dominato dal “delirio” e minato da una crisi di credibilità e autorevolezza.

Solo la cassetta degli attrezzi di un buon giornalista, oggi come ieri, è l’antidoto al cinismo: “Ho raccontato diverse volte come la rinuncia di Benedetto XVI non sia stata la prima volta che ricavavo le notizie del latino, e come quel giorno storico la notizia sia stata compresa e poi diffusa grazie a un mix di mestiere, esperienza, cultura e fortuna di cui il latino era certo parte, ma non in maniera esclusiva. È certo comunque che quel giorno sono stata agevolata dall’essere una italiana che ha frequentato il liceo classico negli anni Settanta, e che senza i tanto vituperati e tacciati di inutilità studi classici, lo scoop sicuramente non lo avrei fatto”. E ancora: “Non solo il latino, ma la cultura umanistica in particolare, sono uno dei regali più belli che la vita, grazie ai miei genitori, mi abbia fatto. Per questo l’11 febbraio 2013 sono stata orgogliosa di poter così visibilmente restituire al mio Paese qualcosa, e di poterlo fare solo grazie a una vita passata a fare il mio mestiere, con il cuore, con intelligenza, il rispetto per gli altri e l’onestà. Tutt’oggi ne sono orgogliosa e lo vivo come un’iniezione di felicità”.

“I coccodrilli di Ratzinger” uscito in formato e-book il 1° luglio 2019.

“I coccodrilli di Ratzinger”, una lezione anche di verità e di giornalismo
di Mario Nanni
Beemagazine, 13 aprile 2022


Il nuovo libro di Giovanna Chirri, la giornalista vaticanista che diede al mondo nel 2013 la notizia che Benedetto XVI lasciava il pontificato.

Chi non ha pratica dei termini tecnici del lavoro giornalistico, davanti a un titolo così suggestivo e così azzeccato, è indotto a pensare a intrighi, cospiratori, ricattatori che spinsero il mite Benedetto XVI a lasciare, diventando così il primo Papa dimissionario dell’età moderna.

Ma nel gergo giornalistico, i coccodrilli sono articoli che si scrivono in anticipo su eminenti personalità in modo da averli pronti in caso di morte. Quando Giovanna Chirri diede al mondo per prima la notizia che Benedetto XVI rinunciava al pontificato, il suo vice caporedattore si mise con lei a tavolino a redigere una lista di pezzi da scrivere su Benedetto XVI.

La collega Chirri fece subito osservare al suo “superiore”: ma ci sono i pezzi che ho scritto già negli anni e ho continuamente aggiornato. Sul papa, si sa, non si scrive solo “un” coccodrillo ma vari coccodrilli: uno, complessivo, che di solito va ai giornali medio piccoli che pubblicano una pagina, ma poi ce ne sono altri, monotematici, che riguardano i vari aspetti del pontificato: i viaggi, le encicliche, i libri che ha scritto ecc. Giovanna Chirri di coccodrilli ne aveva scritti tanti, perciò le sembrò quasi ovvio proporre: tiriamoli fuori dalla cassaforte e trasmettiamo quelli.

Una parola! Non si trovarono. Scrive la giornalista nel suo libro appena uscito: “Con il senno di poi avrei dovuto capirlo il giorno in cui ho scoperto che avevano perso i coccodrilli di Ratzinger. Ma non era il giorno adatto per una riflessione sui destini del giornalismo”.

Questa frase è un po’ la chiave interpretativa ma anche la guida narrativa delle vicende che Giovanna Chirri racconta nel libro, in cui si capisce che intanto ha dovuto faticare per vincere una scommessa con se stessa: è riuscita a raccontare con chiarezza e un certo distacco da cronista la sua vicenda umana e professionale: dal colpo planetario della notizia data in anticipo su tutti, a scene e storie di emarginazione, fino al pensionamento anticipato; ma al tempo stesso ha sublimato amarezza ed emozioni in una riflessione interessante e dolente sul degrado del giornalismo oggi, sulla corsa effimera verso “non notizie” spacciate per scoop, sull’impigrimento da Internet che frena la ricerca e la curiosità di stare “sul campo”.

Non resistiamo alla banale e purtroppo fondata osservazione che in America Giovanna Chirri avrebbe vinto il Premio Pulitzer. Invece siamo in Italia dove funziona di più il “nemo propheta in patria”. Per carità, ha avuto congratulazioni dai suoi “superiori” e colleghi, ha avuto anche una gratifica (qualche migliaio di euro), è stata intervistata da giornali e tv anche e stranieri; ma nessuna promozione, nessun avanzamento di grado, come sarebbe avvenuto nel settore militare dove in casi come questo scattano “promozioni sul campo“.

E per colmo d’ironia, e forse di invidia, ci fu chi perfino cercò di ridimensionare la portata dello scoop con la speciosa quanto ridicola motivazione che “tanto prima o poi il Direttore della Sala Stampa della Santa Sede la notizia delle dimissioni del Papa alla fine l’avrebbe data”.

Ma  preferiamo sorvolare su questo paesaggio di miserie umane, e invece riportare, per quanti non le conoscano o non le ricordino bene, le sequenze dei momenti in cui maturò la decisione di Papa Ratzinger.

Lasciamo la parola all’autrice:
“L’11 febbraio 2013 è festa in Vaticano per l’anniversario dei Patti Lateranensi. Papa Ratzinger tiene un Concistoro per i decreti di canonizzazione di alcuni santi, tra cui i martiri di Otranto. La Sala Stampa fa orario festivo e siamo appena entrati, quando alle 11 ci arrivano dal monitor le immagini del Papa, del Cardinale Angelo Amato e di Mons. Guido Marini, davanti a loro molti dei cardinali presenti a Roma. Il Cardinale Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi parla a lungo in latino, poi tocca a Benedetto XVI che annuncia il 12 maggio come data per la canonizzazione dei martiri di Otranto.
Sento duodecim e scrivo la notizia della canonizzazione. Benché il Concistoro a quel punto debba essere finito, il Papa resta seduto e comincia a leggere, sempre in latino, da un foglio bianco che tiene in mano. Dice subito due cose: non ha convocato i cardinali solo per i decreti delle canonizzazioni ma deve dire una cosa “importante per la vita della Chiesa”; e poi: sta diventando vecchio: Ingravescente aetate. A queste parole è come se una mano mi afferrasse la gola e mi gonfiasse un palloncino dentro la testa: la Ingravescentem aetatem è il documento con cui Paolo VI tolse ai cardinali ultaraottantenni il diritto di eleggere i Papi, sono parole di pensionamento.
Benedetto continua a parlare nel suo latino che per fortuna mi suona molto più comprensibile di quello del Card. Amato, parla a lungo, dicendo di non avere più le forze per governare la barca di Pietro in un mondo sempre più veloce. Spiega che in coscienza ha deciso di lasciare, che i cardinali dovranno tenere un Conclave per l’elezione del successore e stabilisce l’inizio della Sede Vacante alle 20 del 28 febbraio”.

E ora vediamo le reazioni dell’autrice:
“Io sento ma è come se non sentissi, continua a mancarmi il fiato e le gambe mi tremano da seduta. Comincio a telefonare a raffica cercando aiuto e conferme. In Vaticano, dove ovviamente tutti avevano altro a cui pensare, nessuno mi risponde. Sono in preda a una sensazione di terrore che non ho mai provato in vita mia. Intanto Papa Ratzinger ha finito di parlare. Alcuni volti dei presenti sono attoniti, Mons. Guido Marini, vicino a lui, sembra impietrito, diversi porporati hanno lo sguardo fisso e i muscoli facciali immobili. Nel silenzio irreale il Decano del Collegio cardinalizio, Angelo Sodano, dice, in italiano: ‘La notizia ci coglie come un fulmine a ciel sereno’. Hai capito eccome, mi dico per rassicurarmi, il Papa si è dimesso. Scrivo la notizia, telefono in redazione e dico al caporedattore che il Papa si è dimesso, le spiego che lo ha detto in latino e che per un Papa non si parla di dimissioni ma di rinuncia al pontificato”.

Giovanna Chirri poté fare lo scoop mondiale perché sapeva il latino, lo aveva studiato in uno dei licei storici della capitale, il “Visconti”, dove hanno studiato personaggi famosi, un nome per tutti: Andreotti. Ed è un esempio trionfale di come la cultura classica sia una specie di cassetta degli attrezzi anche per professioni come il giornalismo.

Il libro non solo racconta avvenimenti e figure della Chiesa, ma offre anche chiavi di lettura e risposte a interrogativi. Per esempio, le dimissioni di Benedetto XVI furono una fuga, una resa, un cedimento ai suoi “avversari” interni alla Chiesa, come alcuni dissero dopo l’11 febbraio?

No, dice Chirri, che si professa tra l’altro grande estimatrice di Ratzinger fino all’innamoramento. “Ha scelto in piena libertà, senza costrizioni, E ha vissuto questa decisione come ha vissuto tutto il pontificato, come un servizio alla Chiesa e per l’unità della Chiesa. Più che una resa, dunque, la rinuncia al soglio di Pietro sembra il gesto coraggioso di chi capisce di non essere più in grado di svolgere un compito e fa posto a chi lo potrà svolgere. Non una fuga ma un atto di coraggio”.

Stanislao Dziwisz, Arcivescovo di Cracovia, commentò dopo il gesto di Ratzinger e alludendo agli anni di sofferenze di Giovanni Paolo II, che però non si era dimesso: “Non si scende dalla Croce”. Ma le parole di Benedetto “non abbandono la Croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore crocifisso” chiudono definitivamente la questione.

La rinuncia certo, osserva Giovanna Chirri, fu un trauma per la Chiesa, per tanti credenti e non credenti affezionati all’idea del papato a vita. “Ma il comportamento etico di Benedetto XVI ha impresso uno choc salutare alla Chiesa cattolica”. E arriva a scrivere: “Se anziché per rinuncia il pontificato si fosse concluso per la sua morte, la Chiesa molto probabilmente non avrebbe avuto la stessa capacità di rinnovarsi, di superare vizi antichi e squallori di sempre, di pensare in grande e scegliere per guidarla un pastore e un uomo come Jorge Mario Bergoglio, il primo Papa latinoamericano e il primo gesuita nella storia della Chiesa, Il primo che ha scelto di chiamarsi Francesco, come il santo dei poveri, del creato, della pace e del dialogo con l’islam”.

Giovanna Chirri con Papa Francesco e Padre Lombardi, S.I.

Non sappiamo dire se e in quale misura ci sia continuità o dissonanza tra Ratzinger e Bergoglio, ma un tipo di continuità almeno c’è nell’apprezzamento di questa scrupolosa vaticanista che conosce come pochi, perché la studia, la storia contemporanea della Chiesa. Sull’attuale pontefice, a cui riserva pagine illuminanti sul suo stile comunicativo, sui “neologismi” del lessico bergogliano, dice in particolare: “Il Papa latino americano esce dagli schemi, ignora condizionamenti curiali, si esprime in modo così franco e spontaneo che la capacità (del giornalista, NdR) di osservare i dettagli, cogliere rapidamente il valore di gesti e parole, collegare, ascoltare, fare cronaca, la vince su qualsiasi soffiata”.

E così sono serviti quanti, anche nel mondo della stampa – e non sono pochi – hanno preso a bersaglio questo Papa, cercando di sminuirlo, di delegittimarlo persino, sulla base magari di pregiudizi o giudizi non meditati. Giovanna Chirri invece indica la via professionale che porta alla verità, che è quella di seguire da vicino, applicando la teoria che un suo capo le aveva consigliato: la teoria del pomodoro, che in soldoni significa: se durante un evento qualcuno tira addosso al papa un pomodoro, non c’è comunicato che tenga, nulla varrà quanto l’essere stato presente e aver visto con i propri occhi.

E perciò la giornalista vaticana più nota degli ultimi anni, almeno dal 2013, rivendica l’importanza di un metodo, che è quello di far ragionare la propria testa e di diffidare di veline, soffiate, manovre. “L’informazione religiosa e vaticana, dice senza mezzi termini, in Italia continua a subire pesanti tentativi di condizionamento da una o dall’altra fazione o politica o ecclesiale, tentativi che si sostengono anche grazie alle soffiate interessante a giornalisti o testate manovrabili, alcune delle quali ne hanno tratto la propria fortuna”.

Ergo: “Per quanti pezzi di carta ti possano passare, per quante soffiate, per quanti discorsi si possano anticipare, nulla potrà sostituire la tua capacità di capire quello che sta succedendo, se ti avranno insegnato a farlo, e se l’avrai coltivata negli anni”.

È una ammirevole lezione di metodo giornalistico e di ricerca della verità, diciamo anche una petizione filologica che esorta alla verità dei testi, delle parole effettivamente ascoltate e al dovere deontologico di trascriverle nella loro esattezza.

A questo proposito Giovanna Chirri non fa sconti neanche ai pontefici del giornalismo (visto che si parla di papi), come Eugenio Scalfari, di cui ricorda le interviste a Ratzinger e a Bergoglio), interviste che dovevano avere qualche margine di “creatività” se poi venivano rettificate se non addirittura in parte smentite, sia pure nel linguaggio felpato e diplomatico della Santa Sede.

Come nel caso in cui a Papa Francesco Scalfari fece dire che l’inferno non esisteva. Resta la curiosità di capire perché dopo la prima rettifica, e usiamo un eufemismo, il Papa continuasse a farsi intervistare dal fondatore di Repubblica.

Mi limiterò a dire che alle lezioni al master di giornalismo non esiterei a indicare Scalfari come modello per la chiarezza della scrittura, la robustezza della prosa, la capacità imprenditoriale (ha fondato L’Espresso e la Repubblica); ma, con tutto il rispetto, avrei qualche scrupolo a consigliare il suo metodo di intervistare: le risposte degli intervistati si danno, si devono dare così come le hanno dette, non si aggiunge né si inventa, sia pure con le migliori intenzioni.

Questo libro, oltre alla evidente utilità per conoscere da vicino i pontefici  – Giovanna Chirri si è occupata di tre Papi, anche di Wojtyła, di cui racconta i viaggi – è anche una bell’esempio di come un giornalista può essere “testimone del tempo”. Un testimone che racconta ciò che ha visto senza trascurare gli aspetti meno esaltanti di questa professione e del mondo su cui scrive.

Con toni dolenti e amari, Giovanna Chirri mette in guardia contro il degrado di questa professione, preda di pressapochismo, intrighi, superficialità, piccole e grandi miserie: un mondo dove “la scorrettezza dilaga e l’onestà sembra diventata una cosa di cui vergognarsi”. Le parole sono pietre, e qui vengono scagliate contro un ambiente, un modo di pensare, un modo di praticare la professione, non contro persone determinate; verso di esse l’autrice ha applicato una sorta di damnatio memoriae, che tuttavia non oscura del tutto fisionomie e nomi fino al punto di renderli irriconoscibili.

Pur pensionata anzitempo, Giovanna Chirri continua a occuparsi di tante cose, ma soprattutto del mondo dove ha lavorato per 30 anni, e non ci sta ad assistere passivamente a certi fenomeni di imbarbarimento. Se la prende anche con Internet che sta facendo perdere la capacità e il divertimento nel cercare la notizia.

Ecco la parola chiave, la parola che può ancora salvare questo mestiere: far diventare la ricerca delle notizie un divertimento, animati dalla curiosità di sapere.

In conclusione, un libro che si legge con avidità.

C’è una musica di fondo nelle pagine che non è propriamente un inno alla gioia, ma basta cambiare chiave, e il cielo un po’ si rasserena, e perfino le invettive contro il mondo giornalistico si stemperano nelle pagine finali, che sono un inno alla bellezza. Riferendosi alla “Pietà” di Michelangelo e alla Basilica di San Pietro con il suo colonnato di Bernini, che per la sua forma arcuata pare simboleggiare un abbraccio, Giovanna Chirri rivolge questa esortazione finale al lettore: “Lasciati abbracciare dalla bellezza, impara a sognare grazie alla bellezza, perché è la bellezza che consola il mondo e ognuno di noi. E tutti noi, perfino i giornalisti, ne abbiamo bisogno”.

“I coccodrilli di Ratzinger” uscito in libreria il 14 aprile 2022.

Perché i media non hanno capito Ratzinger
di Andrea Muratore
Il Giornale, 13 settembre 2022


Giovanna Chirri, autrice dello scoop mondiale delle dimissioni di Benedetto XVI, racconta ne I coccodrilli di Ratzinger i rapporti, spesso complessi, tra media e Vaticano.

Così i media non hanno capito l’era Ratzinger

Il caso delle dimissioni di Papa Benedetto XVI, annunciate l’11 febbraio 2013, è stato uno degli ultimi in cui il metodo giornalistico ha permesso di ottenere uno scoop mondiale a un singolo attore pur nel cuore di un luogo estremamente presidiato come il Vaticano. La mattina del 10 febbraio si tenne in Vaticano il Concistoro per la canonizzazione dei Martiri d’Otranto. Un evento apparentemente marginale nella fitta agenda papale durante il quale, però, Papa Benedetto XVI, con un discorso in latino, annunciò al mondo la sua scelta. La giornalista dell’ANSA Giovanna Chirri, presente all’evento, forte della sua conoscenza del latino riuscì a intuire e a bruciare tutta la concorrenza: l’ANSA battè su indicazione della Chirri il lancio di agenzia che diede la notizia al mondo scrivendo che Joseph Ratzinger si era dimesso alle 11:42 dell’11 febbraio 2013.

La mossa segnò un vero e proprio ribaltamento del rapporto tra l’attuale Papa emerito e i media, che la stessa Chirri ha raccontato nel suo recente libro I coccodrilli di Ratzinger, in cui parla della lunga esperienza come vaticanista e della necessità di entrare a contatto con un mondo complesso e variegato in relazione alle dinamiche della Santa Sede. Benedetto XVI è stato, negli otto anni di pontificato e anche dopo, spesso incompreso dai media. Raffinato teologo, conservatore nell’indole, poco avvezzo ai gesti eclatanti come il predecessore Giovanni Paolo II e il successore Francesco, Benedetto XVI ha spesso goduto di un negativo pregiudizio mediatico, soprattutto in campo liberal-progressista. La Chirri, annunciando al mondo le sue dimissioni, ha mostrato invece l’altra faccia della medaglia, quella di un sottobosco mediatico attento a cercare di seguire con attenzione le dinamiche dei Sacri Palazzi e l’attività quotidiana del Papa, in cui ogni parola o gesto può, anche se inavvertitamente, creare eventi di portata storica.

Il libro della Chirri mostra come il lavoro dei media nel campo dell’informazione religiosa debba essere profondamente attento, meticoloso e scrupoloso. Pena la mancanza di comprensione sul presente e una serie di equivoci. E la semplificazione interpretativa. Per esempio, i media spesso hanno semplificato le analisi sulle dimissioni di Benedetto XVI furono una fuga, una resa, un cedimento ai suoi “avversari” interni alla Chiesa, come alcuni dissero dopo l’11 febbraio 2013. La Chirri, forte di una conoscenza di lungo corso del pontificato, respinge questa tesi e nel libro scrive che Ratzinger “ha scelto in piena libertà, senza costrizioni, E ha vissuto questa decisione come ha vissuto tutto il pontificato, come un servizio alla Chiesa e per l’unità della Chiesa. Più che una resa, dunque, la rinuncia al soglio di Pietro sembra il gesto coraggioso di chi capisce di non essere più in grado di svolgere un compito e fa posto a chi lo potrà svolgere. Non una fuga ma un atto di coraggio”.

I gesti eclatanti e la mediaticità di Giovanni Paolo II e Francesco hanno reso più complesso, per i lavoratori più scrupolosi, lavorare nell’informazione religiosa. L’evento dell’11 febbraio 2013 resta, a tal proposito, un unicum negli ultimi anni. Ratzinger, uomo più sfuggente, andava e va capito, seguito con attenzione. La sua preferenza per l’uso del latino negli eventi solenni non facilitava, certamente, l’approccio mediatico in molti casi. Ma ha favorito chi ha voluto raccontare il suo pontificato nel migliore dei modi: con le parole del titolare della Cattedra di Pietro. “Ho raccontato diverse volte come la rinuncia di Benedetto XVI non sia stata la prima volta che ricavavo le notizie del latino, e come quel giorno storico la notizia sia stata compresa e poi diffusa grazie a un mix di mestiere, esperienza, cultura e fortuna di cui il latino era certo parte, ma non in maniera esclusiva”, chiosa la Chirri. “È certo comunque che quel giorno sono stata agevolata dall’essere una italiana che ha frequentato il liceo classico negli anni Settanta, e che senza i tanto vituperati e tacciati di inutilità studi classici, lo scoop sicuramente non lo avrei fatto”, aggiunge.

Ratzinger, col senno di poi, è stato un Papa estremamente capace di discontinuità e svolte. Dalla lotta alla pedofilia alla dottrina sociale della Chiesa, dai rapporti con l’Est fino alla riflessione sulla gestione del patrimonio petrino, non c’è campo in cui dopo di lui Papa Francesco non sia intervenuto partendo da una riflessione ratzingeriana. Puntualmente i media hanno sottovalutato il Papa emerito negli otto anni di pontificato.

Lo hanno fatto ai tempi della Lezione di Ratisbona del 2007, creando il mito del Papa islamofobo. Nel 2009, alla pubblicazione della Caritas in Veritate, hanno snobbato i suoi riferimenti all’etica e all’ambiente, al massimo irridendoli in paragone con le ricchezze del Vaticano; nel 2009, oltre Atlantico, perfino il liberal New York Times si è dovuto ricredere definendo “un trionfo” la visita americana di Benedetto XVI per le prese di posizione, dure e inaspettate, sulla pedofilia; tra il 2012 e il 2013 la grande battaglia per la trasparenza dello IOR è stata a sua volta sottovalutata. E ancora oggi il Papa emerito torna a fare notizia, troppo spesso, da persona incompresa, come vittima di un pregiudizio mediatico: l’assurdità delle accuse sul fronte della pedofilia ai tempi dell’Arcidiocesi di Monaco, come dimostrato su queste colonne [e su questo Blog dell’Editore, QUI. V.v.B,], è solo l’ultimo degli esempi e l’endorsement di molti media a questa tesi conferma che la prassi non è cambiata. Anzi, si è sdoppiata con l’aggiunta dei tentativi di frange reazionarie e oltranziste di creare un dualismo tutto mediatico tra Papa emerito e Papa regnante. Il saggio della Chirri insegna che per approcciarsi alla comprensione del Vaticano serve capire, studiare e mai banalizzare. Leggere il segno dei tempi, come ama ripetere Benedetto XVI, è la chiave per capire il mondo. E per capire anche la Chiesa oltre personalizzazioni e fragilità teoriche.

Foto di copertina: la giornalista dell’ANSA Giovanna Chirri, riuscì a capire il discorso fuori programma, in latino, della rinuncia di Benedetto XVI, e fece partire il lancio di agenzia che diede la notizia. In pochi minuti partirono le edizioni straordinarie di tutti i telegiornali italiani prima e poi di tutto il mondo, seguite da frenetiche condivisioni sui social network.

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