49° Viaggio di Solidarietà e di Speranza della Fondazione Santina – Altalena del cuore – Seconda Parte

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L’Associazione Amici di Santina Zucchinelli Onlus in occasione della Festa di Nostra Signora di Guadalupe, oggi domenica 12 dicembre 2021 alle ore 18.00 (ora di Roma) recita il Santo Rosario a livello mondiale attraverso la piattaforma Zoom [QUI — ID riunione: 884 1930 6965 – Passcode: 252692], in collegamento con Vietnam, Kenya, Gaza, Israele, Russia, Iraq, Italia, Messico, Perù, Armenia e Brasile.

È la sesta volta che l’Associazione presieduta da Mons. Luigi (Don Gigi) si ritrova a pregare insieme a livello intercontinentale con dieci Nazioni. L’invito di Don Gigi: «Perché non partecipi anche tu? Partecipare è semplice dal tuo computer o cellulare, con le indicazioni date prima. Passa la parola agli amici. È un modo bellissimo per vivere il Tempo di Natale e viverlo in comunione con la preghiera del Rosario. Coraggio, non mancare, ti aspetto! Un forte abbraccio e Buona Settimana Santa».

Oggi, in questo giorno di festa dedicato a Nostra Signora di Guadalupe, proseguiamo con la Secondo Parte del 49° Viaggio di Solidarietà e di Speranza di Mons. Luigi (Don Gigi) Ginami in Messico. Venerdì 12 novembre 2021 ha visitato il Carcere di Las Cruces, dove ha incontrato detenuti, ha celebra la Santa Messa con battesimo di Santina e ha fatto pranzo. Poi, lunedì 15 novembre 2021 ci è ritornato per l’inaugurazione della palestra, alla presenza di Mons. Leopoldo González González, Arcivescovo metropolita di Acapulco.

Dopo la Prima Parte, che abbiamo scritto sulla base del suo Report 49/1 (Misteriosi segni) [QUI], in questa Seconda Parte Don Gigi torna a parlarci direttamente, ma soprattutto a darci un pugno nello stomaco, con i Report 49/2 (Il primo bacio dalla Santina messicana), 49/4 (L’acqua che libera dalla morte. Il battesimo di Santina contro la cultura de la Santa Muerte) e 49/6 (Santina dal carcere al mare). Quindi, con questi tre Report entriamo con Don Gigi nel Carcere di Las Cruces. Accompagniamo Don Gigi in questo luogo terribile e nei dintorni di Acapulco, di cui abbiamo già parlato, anticipando il suo 49° Viaggio di Solidarietà e di Speranza [QUI], nello Estado Libre y Soberano de Guerrero. Poi, seguirà la Terza Parte (Arminda. La storia di violenza mai incontrata prima), con i report, da cui usciranno altri pugni nello stomaco, che faranno ancora più male di quelli che assesta in questa Seconda Parte, con il Report 49/3 (Arminda, #VoltoDiSperanza N. 35) e il Report 49/6 (Daniel e la Isola de La Roqueta).

Report 49/2
Le carceri messicane sono un casino. Il primo bacio dalla Santina messicana

Ho in mano un lasciapassare, che mostro alle guardie del Carcere di Las Cruces. Dopo un scrupoloso controllo le porte si aprono e entro in questo carcere dello Stato di Guerrero, tristemente conosciuto per i 28 morti del 2016 in un conflitto tra bande di narcos all’interno. Questo luogo, la mattina di quella strage, era un mattatoio pieno di sangue. La prima volta che giunsi qui fu proprio per celebrare la Santa Messa nel patio della strage ed incontrare proprio lì i carcerati.

Come feci a Garissa nel 2015, entrando nel patio dell’università ancora chiusa e celebrare la Messa dove vi erano stati uccisi 128 ragazzi solo per il fatto di essere cristiani. Oppure nel maggio 2017 a Mosul nella guerra per la riconquista, celebrando la Messa.

Oggi, venerdì 12 novembre 2021 entro nel carcere per celebrare un battesimo e anche questo mi sembra un segno misterioso. Domenica 14 novembre la piccola Santina compirà 2 anni. La pandemia mi ha tenuto lontano da lei, dalla mamma Damaris e dal papà Luis. Non conosco nessuno dei tre e della piccola Santina ho visto solo le fotografie. Non vi nascondo una certa emozione.

Una grande parte del carcere con 1.400 detenuti è occupato da uomini e una parte più piccola da 200 donne. È un carcere all’altezza della fama (di perdizione) di Acapulco. La guardia carceraria che mi accompagna si chiama Sita e non mi lascia solo un momento, soprattutto nel colloquio con Damaris e Luis. Con la sua uniforme nera mi mette un po’ paura. Ma lei, nei confronti del Padre venuto dall’Italia ad inaugurare la palestra il prossimo lunedì, nutre una stima quasi di venerazione, che stempera il suo essere burbero. Cerco di rompere il ghiaccio e le racconto che non è la prima volta che sono qui. Lei mi risponde: “lo so bene Padre, mi hanno raccontato che qui dentro hai già portato l’asilo nido per i figli dei carcerati e hai fatto un refettorio per prigionieri con problemi psichici”. Le sorrido e lei continua. “Non è facile vivere qui dentro, perché anche qui giunge la corruzione, che oggi sta diminuendo, ma negli anni passati, circa 10 anni fa, io ero una ragazzina, qui dentro succedeva di tutto… Parlo di celle ‘a cinque stelle’ create dai detenuti con la compiacenza delle autorità. Altro che Cayenna. Gli ‘ospiti’ – è il caso di dirlo – avevano a loro disposizione circa 100 Tv al plasma, videogiochi, bottiglie di liquori, armi da taglio e un harem di 19 prostitute, entrate chissà come nel penitenziario. La città ancora oggi è sconvolta dalla guerra tra narcos. Pensa, che nei cortili del penitenziario zampettavano pavoni e pappagallini. In un posto sicuro c’era un sacco di marijuana e in apposite gabbiette dozzine di galli da combattimento con i quali organizzare tornei e scommesse. Non ti racconto segreti, perché la cosa nel 2011 divenne pubblica e molti ancora ne parlano. A scoprire i “segreti” della prigione è stato un intervento di oltre 500 tra agenti e militari, che hanno perquisito da cima a fondo il complesso. La notizia dell’operazione ci ha sorpreso solo in parte. Perché non è un mistero che i boss della droga riescono spesso ad ottenere privilegi incredibili. E quando finiscono dietro le sbarre cercano di organizzare al meglio il loro soggiorno. Così, blocchi di celle sono stati modificati secondo i loro desideri. Nella prigione di Cancun, ad esempio, la polizia ha smantellato una ‘sezione vip’, con ambienti ben arredati. Nel carcere di Ciudad Juarez i narcos hanno portato mobili, Tv e condizionatori. E in alcune celle hanno anche modificato il bagno. Non contenti, hanno sostituito la serratura dei pesanti portoncini e così erano loro ad aprirli o chiuderli. Nel centro di detenzione di Chihuahua i poliziotti venuti dall’esterno hanno trovato un bar, una sala biliardo e alcolici in quantità. Nel verbale redatto si precisa che sono serviti due camion per portare via ‘gli effetti personali e le scorte’ dei criminali”.

Rimango allibito, Sita se ne accorge e intervengo: “Non ci posso credere che tutto questo possa esistere!”. Fa molto caldo ad Acapulco, bevo una bottiglietta di acqua e lei continua, aiutandomi a capire bene il luogo dove celebrerò oggi il battesimo della mia piccola Santina e dove lunedì inaugureremo la palestra. “Sita, mi spaventi, non vorrei senza saperlo finanziare una palestra per i cartelli dei narcos! Sai perché noi abbiamo deciso di finanziare questa palestra? Due anni fa incontrando le prigioniere vi era una mamma con in braccio un piccolo bimbo dell’età di Santina, la mamma stava facendo esercizi su una cyclette e il bambino aveva messo la manina nella catena della bicicletta. La catena ha triturato due dita ed il piccolino, poverino, ha subito l’amputazione delle due piccole dita. Una storia che mi ha commosso, soprattutto nel vedere le ferite dell’operazione. Vedendo quella manina orribilmente amputata ho preso la decisione di costruire una palestra sicura per gli esercizi fisici e sono felice di essere qui tra mille difficoltà ad inaugurarla”. Sita mi sorride e lascia trasparire la sua grande umanità.

L’interno del carcere oggi risulta ben diviso tra uomini e donne. Due anni fa si poteva andare da una parte all’altra del carcere senza problemi. Oggi tutto è chiuso, per la pandemia, una situazione quasi ridicola: la pandemia sta diventando anche un mezzo di sicurezza contro la violenza. Uno degli effetti benefici del coronavirus è stato quello che nell’anno passato la violenza nelle strade è diminuita. Ora ritorna ad essere forte con il rinascere del commercio e dell’economia e un ragazzo preso a colpi di machete davanti a me, molto mi ha spaventato ieri sera.

Sita mi fa percorrere un corridoio, stiamo recandoci al patio dove celebrerò la Messa del battesimo con una quarantina di prigioniere. Sita continua il suo discorso, è molto informata: “Ti chiederai come è stato possibile nel 2016 – l’anno della strage in cui tu sei giunto al carcere – la strage di ventotto prigionieri vero? Devi sapere che Insieme ai generi di consumo compaiono spesso le armi. Ad esempio, durante una perquisizione al Cereso di Ciudad sono state scovate 12 pistole e 450 proiettili. Poca cosa, se confrontate con le mitragliette usate da una banda di detenuti per liquidare i rivali sotto gli occhi delle guardie. Più volte la stampa ha denunciato come le 429 prigioni messicane siano un mondo a parte, dove l’autorità dello Stato si ferma spesso sulle mura esterne. Che non sono mai abbastanza alte per fermare le evasioni: quasi 500 in un anno nei tristi anni passati, ma che tutti ricordiamo, con una fuga di massa dal carcere di Nuevo Laredo da dove se ne sono andati in 153. E non mancano situazioni ancora più imbarazzanti. Mi sembra nel luglio di dieci anni fa l’esercito ha scoperto che ad una squadra di killer detenuti a Gomez Palacio veniva permesso di uscire dalla prigione per compiere i delitti. Conclusa la missione se ne tornavano nelle loro celle. Ti dico solo un caso assurdo sul quale si potrebbe fare un film. In quegli anni la polizia ha liberato due rapiti. Lo sai dove erano nascosti? In un carcere! E non erano in uno scantinato. I sequestratori, con la complicità di alcuni secondini, li avevano nascosti in un carcere vicino a Monterrey”.

La piccola Santina messicana battezzata nel Carcere di Las Cruces ad Acapulco.

Il racconto di Sita mi pone davanti al carcere, che spesso frequento, rinfrescandomi bene la memoria. Prima del battesimo della mia bellissima Santina chiedo di poter parlare con i due genitori. Mi viene concesso, ma con la sorveglianza di una guardia, che proprio è Sita. Ed eccoli insieme: la piccola Santina è vestita con un vestitino bianca: bella come il sole! I capelli ben pettinati e raccolti in treccine dietro il capo, gli occhi sono bellissimi: davvero una bimba di straordinaria bellezza, o almeno così a me appare. Ma non sono l’unico, anche Magda, che è la madrina, si commuove e teneramente l’abbraccia. La prendo in braccio anche io: mi guarda stupita con due stupendi occhi neri buoni, il taglio degli occhi, le sopracciglia, il nasino e le piccole guance: che amore! Dopo due anni finalmente dalla fotografia alla bimba reale. Penso alla Santina africana e questa mi sembra addirittura più bella e forse lo è anche. Ma poi mi pento. Mi sembra nel cuore di aver messo al secondo posto l’altra. Il mio cuore è un’altalena tutta la mattina: è più bella la Santina africana, non è più bella la Santina messicana? Bellissima altalena del cuore paragonando due angeli! E poi l’altalena del cuore si fa più profonda pensando a chi sono i miei due angeli: peggiore è la vita di Santina africana in orfanotrofio, orfana di Everlyne morta di AIDS e nella povertà assoluta? Oppure la vita della Santina messicana figlia di due carcerati che tra tre anni si ricongiungerà nella povertà ai famigliari fuori, senza vedere più i genitori perché devono scontare 70 e 50 anni di carcere? È sì, perché il padre Luis deve scontare 70 anni e la madre Damaris deve scontare 50 anni.

Inizio il mio colloquio con Luis e Damaris. Non abbiamo tanto tempo a disposizione, ma con la scusa di preparare il battesimo, mi intrattengo con loro circa una mezz’ora, che mi rende l’idea della vita di due criminali. Luis e Damaris sono contenti di parlare e mi guardano con serenità. Luis mi dice che lui è un trafficante di immigranti che vogliono attraversare il confine clandestinamente ed entrare negli Stati Uniti. “Padre Gigi, devi sapere che in America Latina una enorme massa di persone cerca di entrare negli Stati Uniti illegalmente: ne ho conosciuti di tutte le nazionalità, sono venezuelani, argentini, boliviani, colombiani, peruviani… Assicuro a loro probabilmente un futuro migliore di quello che vivrebbero nella miseria del loro paese”.

Sono incuriosito da questo argomento di cui spesso ho sentito parlare: “Luis, ho sentito parlare tristemente di questo traffico, in Italia noi abbiamo tanta immigrazione illegale e chi fa questo lavoro sui battelli che vengono da Algeria, Tunisia, Marocco, spesso sono spregiudicati e senza scrupoli: è un enorme crimine: gli Stati Uniti ed il Messico puniscono fortemente questo crimine. Capisco i tuoi settanta anni e i cinquanta anni di Damaris”.

Luis mi spiega: “Qui ci chiamano polleros, perché si dice che ammassiamo nei camion e nei mezzi che usiamo la gente come polli, ma credimi, nel mio caso è molto diverso. Sono sincero, guadagnavo molto molto bene, ma il mio lavoro era diverso. Prima di tutto si tratta di lunghe ed estenuanti marce nel deserto, circa tre giorni, per entrare e poi tre giorni per uscire: una settimana”.

Mi faccio attento. Mi sembra di essere su di un set dei numerosi film sul l’immigrazione dal Messico agli Stati Uniti. Luis continua: “Con me accettavo fino a sei persone, non di più. Dunque non ammassavo nessun clandestino in bagagliai o camion. Prima di partire spiegavo bene la prova fisica che dovevano sopportare nel camminare spesso la notte, nascosti, attraverso anche tunnel o entrando attraverso la conosciuta corruzione di polizia di frontiera messicana e americana. Mi mettevo nei loro panni e cercavo di fare bene il mio lavoro, sicuramente per denaro, ma senza dimenticare di trattarli almeno umanamente”.

L’uomo inizia a rivelarmi il percorso: “Attraverso Pedras Nebras arrivavo alla città di Sonora e poi da lì a piedi nel deserto fino ai rance del Texas, dove poi alcune auto venivano a prendere i clandestini!”. Lo guardo in modo severo: “Ma Luis, questo è un crimine ed i soldi che hai guadagnato non li hai guadagnati onestamente, non hai dei rimorsi?”.

Luis continua: “Padre, devi essere onesto anche tu. Non mi devi incolpare come unico responsabile della immigrazione delle persone che io accompagnavo nella strada del deserto. Io sono un piccolo rodaggio di una macchina da guerra ben più grande e complessa. Io posso parlarti e garantirti che il mio piccolo pezzo di viaggio non ha mai trascurato di essere umano. Ma il problema è davvero più grande ed è pericoloso. Ci sono molte persone coinvolte in questo, in guanti bianchi, che non rischiano nulla e guadagnano tanto. Lo dovresti domandare alle guardie corrotte della frontiera, ai camionisti in Texas che li portano chissà dove, oppure a coloro che li buttano su camion dal Venezuela a qui, da Colombia, Bolivia, Equador: domanda a loro!”.

L’uomo mi guarda in modo severo e non mi permette di rispondere: “Sono venuti a prendermi qui ad Acapulco con Damaris e mi hanno accusato di altre responsabilità che non abbiamo”. A questo punto Damaris che tiene in braccio la mia Santina la passa al marito ed inizia a parlare. È una bella ragazza messicana sui 26 anni. Ha messo un lungo vestito rosso per la grande festa del battesimo. “Padre Gigi, io e mio marito ci siamo conosciuti molti anni fa. Io avevo solo 15 anni, ci siamo innamorati e ci siamo sposati. Sapevo che lui faceva questo lavoro, ma io mi dedicavo solo ai due figli che abbiamo avuto ed alla casa: sapevo però i suoi spostamenti e i suoi contatti, una sorta di segreteria con numeri di telefono e nomi. Quando presero Luis, io sono entrata in una grave pericolo di vita a motivo di tutta la rete di nomi che conoscevo. Per la sicurezza mia e dei miei due figli, che erano anche loro minacciati di morte ho preferito farmi arrestare dicendo che ero con lui collusa!”.

Guardo Damaris e capisco la sua angoscia, ma penso ai figli fuori e alla piccola Santina. La ragazza prende in braccio la bimba e orgogliosa mi dice: “Io non c’ero quando hai inaugurato l’asilo d’infanzia nel carcere e non ti conoscevo. Mi piacevano i disegni ed i colori ed in mezzo a questo un nome strano per noi messicani: Santina. Due volte alla settimana qui in carcere ci permettono di avere rapporti sessuali con i compagni che sono in carcere e che costituiscono un nucleo famigliare. Tante volte attendiamo quei due momenti per sanare tutto il dolore che proviamo nella settimana, sono locali predisposti per questo e Santina è stata concepita proprio qui in carcere. Santina ora è la gioia della mia vita, abita con me, in una cella a due. È la forza della mia vita, mi incoraggia e tutti nel carcere le vogliono bene, come del resto agli altri bambini. Domenica 14 novembre compirà due anni. Ma tra un anno, il prossimo 14 novembre 2022 la bimba lascerà il carcere e andrà a vivere nella mia famiglia con gli altri due fratelli”. Mentre Damaris mi dice questo con le lacrime negli occhi, prendo la bimba in braccia. In questo momento per me è la bimba più bella, più buona e più santa del mondo. La stringo forte al cuore cercando di dominare l’altalena del cuore: perché questa piccola è nata in carcere? Perché questa bimba è nata in mezzo ai delinquenti? Perché questa bimba cresce qui tra i peggiori criminali in un carcere di merda come questo che ho descritto? Dove sono le strutture pensate per tutti i bambini in Italia? E che sarà di lei?

Una madre per tutti i popoli, che sa parlare a ogni cultura: è così che ancora oggi si presenta la Beata Vergine Maria di Guadalupe, vero cardine spirituale del Centro e Sud America. Apparve tra il 9 e il 12 dicembre 1531 a un indio messicano forse già sessantenne, Juan Diego Cuauhtlatoatzin, santo dal 2002. A quel tempo il Messico era terra di conquista ma anche di sfregio alla dignità umana, perché spesso i conquistatori non ebbero pietà per gli indios. Anche per questo l’apparizione di Maria è un segno di cura nei confronti degli oppressi e dei sofferenti di tutto il mondo. Al veggente Maria affidò il compito di fa costruire una basilica dedicata a lei ma non fu facile convincere il vescovo: ci volle un prodigio, con l’immagine della Madonna che apparve sul mantello del contadino.

Nel cuore sento forte alcune parole, sono quelle di Nostra Signora di Guadalupe: “Perché ti preoccupi? Non sono io qui che sono tua madre?”. La affido a lei ed alla mia Santina in paradiso e penso al misterioso segno di nascere in un carcere squallido! La stringo forte al cuore e lei mi lascia fare, anzi mi regala un meraviglioso bacio: il primo bacio che ricevo dalla mia Santina messicana.

Report N.49/4
L’acqua che libera dalla morte. Il battesimo di Santina contro la cultura della Santa Muerte


Non avevo mai celebrato un battesimo in un carcere, in un luogo di sofferenza, di dolore ma anche di crimine e delinquenza. In questo carcere si venera la Santa Muerte [*] un culto pagano, se non demoniaco. Si chiede protezione, sicurezza. Alcune volte si baratta la vita. Una volta in Brasile, incontrando Marco Antonio, uno dei nostri #VoltiDiSperanza delle carceri brasiliane, mi mostrava il tatuaggio della morte con la scritta 46, che erano gli anni che aveva regalato alla Santa Muerte. Solo che ormai ne teneva 48 di anni e non era stato ammazzato, né tanto la sua vita era stata piena di ricchezza o piacere, ma al contrario di privazione, carcere e disagio.

Nelle fetide celle del Carcere di Las Cruces trovi immagini della morte e anche statuette, come ho incontrato questa volta. Celebrare il battesimo di Santina in un luogo così lugubre e fetido non è sicuramente come celebrarlo in San Pietro o in una cattedrale. Per questo motivo sono convinto che la celebrazione del sacramento, che lava dal peccato originale, e dona la dignità di figli di Dio è un segno di grande significato.

La celebrazione avviene all’aperto nell’area del carcere femminile, in prima fila sono seduti Damaris e Luis e vicino a loro, come madrina, è seduta Magda. Luis mi chiede: “Magda è la mia co-madre?”. Guardo Magda e la presento alla coppia che deve celebrare ancora il suo matrimonio in chiesa. Poi non resisto ad una battuta di umorismo, prendo Magda da parte e sottovoce le dico: “Magda, ma guarda cosa sei diventata in sei anni, da quando ti conosco! Prima eri una persona per bene, oggi invece sei co-madre di un delinquente”.

Magda ride divertita e torna al suo posto. Inizia a vestire la bambina con il vestitino bianco che avevamo comperato. La piccolina mi appare come una principessa. Meglio, un angelo: la faccina dai lineamenti delicati con un bel nasino, le ciglia lunghe e nere. È davvero di una grande e raffinata bellezza, quella bellezza messicana conosciuta nel mondo. La guardo, sta piangendo spaventata dalla molta gente: sono quasi tutte donne, tranne io, Victor il nostro ingegnere, e alcuni agenti di sicurezza.

I canti delle prigioniere all’inizio della celebrazione sono ben eseguiti e quelle voci rendono sacro questo luogo di delinquenza. Prendo la bimba tra le braccia e pongo la sua testolina tre volte nell’acqua: “Santina, io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Un grande applauso accompagna il gesto e non nascondo la commozione di aver battezzato una seconda bambina con il nome di mia mamma. Veramente la storia di dolore e di sofferenza di mia madre continua a parlare. Oggi Santina è più viva di quando era in vita, con questi segni strepitosi che vengono dalla sua debolezza.

“Quando sono debole, allora sono forte” è una grande verità cristiana, che già San Paolo viveva e proponeva. Questa frase diviene vita in Santina. Ora che sono uscito dal Vaticano, la sento tanto vicina anche alla mia debolezza. Una piccola ed indifesa bimba messicana oggi è diventata cristiana, il peccato originale è stato a lei tolto ed è divenuta Figlia di Dio e parte della Chiesa. È un segno forte diventare cristiano in un carcere, essere lavati dal peccato originale in un luogo dove abitano assassini, sequestratori, ladri, stupratori, narcos. È un forte segno di speranza, che questa bimba nella sua purezza mi regala. Questa bellissima festa è stato uno dei momenti più significativi ed importanti di questo viaggio.

Terminata la celebrazione, baciamo la bimba e mi intrattengo con i due genitori. Poi, Damaris e Santina ci lasciano e rimango alcuni minuti solo con Luis. Gli dico: “Vorrei prendere Santina 4 ore e portarla al mare con me e la tua co-madre: vorrei regalare alla piccola alcune ore di serenità, una passeggiata al mare, un po’ di divertimento in un parco giochi, un regalo ed un pranzetto. Ho parlato con il Direttore del Carcere e mi assumo tutta la responsabilità. Ma il Direttore giustamente mi dice che è necessario il permesso tuo e della tua compagna Damaris”. L’uomo sorride contento e i suoi occhi tristi e cupi si riempiono per un momento di luce: “Ma che bella proposta! Mai avevo conosciuto un prete che fa cose del genere. Ma tu non dovresti stare in una chiesa? Cosa fa un prete per la spiaggia di Acapulco con una bambina di due anni? (Sorride divertito). Ma certo che siamo felici. Tu mi dai una nuova idea di prete, molto vicino a me, alla mia compagna ed ai nostri figli. Tranquillo, firmo tutte le carte, ho immensa fiducia di te”.

Mentre lui parla nel cuore si affaccia quello che chiamo paura. E le considerazioni sono tante e di diverso tipo: Gigi sei ad Acapulco, ammazzano un sacco di gente, non è un luogo sicuro, ed esci con la figlia di due criminali. E se succede qualche cosa a Lei? Oppure, se succede qualche cosa a te? Caccio queste mille domande dal cervello e dal cuore: “Non ti preoccupare Luis, tutto andrà bene”.

Lo sto per salutare e rimango colpito dal grande tatuaggio sul braccio. Lo osservo con attenzione e mi gelo il sangue: Luis ha disegnato sul braccio la Santa Muerte. Mi fermo, prendo il suo braccio e gli dico: “Luis, tu oggi hai ricevuto la Comunione e dunque Dio abita nel tuo cuore. Perché ti sei tatuato la Santa Muerte? Non va bene, nel tuo cuore abita Dio”. Il criminale capisce il mio disagio ed io avverto il suo, mentre parla: “La mia vita passata è stata molte volte in pericolo. Far passare emigranti illegalmente è molto pericoloso: ricevi minacce di morte dai cartelli, dagli stessi emigranti. E poi il pericolo che ti ammazzino i federali americani o messicani. Viaggiavo sempre con una pistola. Nei deserti del Texas dormivo con la pistola come cuscino. Una volta a Cividino Juarez, mi hanno sparato una raffica di colpi e li mi sono votato alla morte, chiedendo la sua protezione. Ma i pericoli sono stati anche a Sonora, a Piedras Negras, nei tunnel scavati per far passare illegalmente i clandestini. Ero spaventato e lo spavento chiede sicurezza. Poi mi sono accorto di quello che ho fatto, ed ora convivo con questo tatuaggio e provo anche una sorta di vergogna. Ma per rimediare ho fatto un nuovo tatuaggio: mi sono tatuato sul petto San Pietro!”. Dicendo così, Luis mi mostra un grosso tatuaggio colorato sulla parte destra del petto. “E poi alla fine sono solo figure. Quello che conta lo abbiamo nel cuore!”.

Questa frase detta da un carcerato mi colpisce molto. “Hai ragione Luis, sono solo delle figure e ciò che conta lo hai nel cuore ed oggi mi hai mostrato quello che hai nel cuore. È la tua piccola Santina, che oggi è stata liberata dalla morte del peccato. Cerca di guardare questo tatuaggio con un cuore nuovo e pensa che la vera vita non è in mano alla Santa Muerte, ma è nelle mani di un Dio buono, che ha permesso di incontrarci. Dimentica lo spavento di Cividad Juarez, ora sei nel carcere di Las Cruces, un nome che può essere un programma di vita, la sequela della Croce di Gesù e non della Santa Muerte, grazie per concedermi Santina per alcune ore al mare. A proposito di tatuaggi, anche io voglio fare un tatuaggio sulla spalla destra, non della Santa Muerte, ma di una Madonna che ho trovato calpestata in Iraq, dove la morte sembra essere la padrona, ma non lo è!”. Ridiamo insieme sulla mia idea di un tatuaggio e con Miroslava uscito dal carcere prendiamo la decisione di farlo la prossima volta che vengo in Messico.

Chiedo al Direttore di poter visitare il carcere maschile e me lo concede. In una squallida cella ci sono otto prigionieri, vi è un ragazzo che ha il triste primato di 75 anni di carcere, 15 in più di Luis. Iniziamo a parlare, mi chiedono da dove sono. E vedo su una sgangherata mensola di legno una statuetta di circa 20 centimetri. Non è vicinissima, mi sforzo di guardarla meglio. E vedo che è la statuetta della Santa Muerte. Rabbrividisco all’idea che in questa cella si preghi la morte, si offra a lei la vita. Continuiamo a parlare e poi domando: “Vorrei chiedervi un regalo. A chi appartiene la statuetta? Mi guardo bene dal pronunciare il suo nome. Il ragazzo che deve scontare 75 anni mi risponde: “È la mia, l’ho fatta con cera e sapone, perché la vuoi?”. “Adolfo, vorrei farti un regalo: se tu mi regali questa statuetta, io ti prometto che oggi stesso ti regalo una bella statuetta della Madonna di Guadalupe. La vado a comperare subito e te la faccio avere questa sera”.

Scopro nei suoi occhi la paura. Lui prega la morte, la venera a differenza di Luis, che ha un grande tatuaggio con la Santa Muerte. Questa è una delle cappelle del culto della Santa Muerte, sono al cuore di questo culto nefasto e ci sono giunto casualmente o provvidenzialmente. Valentina Alazaraki mi direbbe che è una delle nostre diosinsidencias. “Non avere paura, tu mi fai il regalo della Santa Muerte e io ti faccio il regalo della Madonna di Guadalupe. Lei sarà la tua vera protettrice”. I suoi compagni lo guardano come attendendo un ordine. Il ragazzo mi guarda dritto negli occhi, poi lentamente guarda uno per uno gli altri prigionieri e sempre lentamente si muove, come se compisse un gesto sacro, e prende dalla mensola la statuetta e me la dona. Guardo loro negli occhi dall’altra parte delle sbarre e chiedo a Miroslava di tenermi la statuetta che con paura rifiuta. Lo stesso fa Magda. Anche le guardie mi guardano con timore. So per certo che anche alcune guardie sono consacrate alla Santa Muerte. Tutti coloro che rischiano la vita in Messico hanno pensato una volta nella vita a fare questa consacrazione pagana e magica.

La tengo nelle mie mani, saluto i prigionieri e dico ad Adolfo: “Questa sera, su quella mensola vi sarà la Madonna di Guadalupe. Te lo prometto. E quando prometto una cosa, sempre la mantengo”. Ci diamo la mano. La nostra “piccola processione” che si compone di quattro guardie, le due assistenti sociali Magda e Miroslava, Victor, il Direttore ed io, si avvia verso il patio. Uscito fuori, tutti cercano di capire che cosa voglia fare della statua della Santa Muerte e penso che il gesto abbia tutto il suo significato, se con coraggio distruggo l’idolo pagano, che ha il potere di suggestionare molta gente in Messico.

Mi fermo e senza parlare con un gesto violento scaravento la statuetta per terra che va in frantumi. Magda esclama: “Ora la Santa Muerte non ha più nessun potere. Sono solo pezzi di cera e sapone”. Tutti traggono un sospiro di sollievo e mi accorgo di quanto sia profonda questa assurda credenza. Calpesto i pezzi più grandi rendendoli polvere e il nostro ingegnere Victor con Magda mi aiutano a raccogliere i pezzi e li mettono in un sacchetto. Fuori dal carcere mi faccio dare il sacchetto da Victor e butto via i frammenti in diversi posti, mentre penso: “Speriamo che nessun carcerato o guardia sia un adepto del culto della morte, altrimenti questo carcere potrebbe divenire per me un luogo pericoloso. Spontaneamente mi viene in mente la frase: “Quando sono debole, come in questo momento, allora sono forte!”. E poi un’altra bellissima frase: “Ma non sono qui io che sono tua madre?”.

Con Miroslava andiamo a comperare una statuetta della Vergine di Guadalupe e torniamo al carcere. Come promesso, la sera sulla mensola dove si venerava la Santa Muerte trionfava la Morenita. Penso che nel cuore di Adolfo ci sia stata una grande pace.

Don Gigi conclude questo Report 49/3, che ha scritto durante il volo da Acapulco a Città del Messico: «Poi, in volo verso l’Europa avrò molto da scrivere, come della gita al mare con la mia piccola Santina [il Report 49/5 che segue] ed altre cose meravigliose compiute ad Acapulco in questi dieci giorni [i Report 49/4 e 49/6, che riportiamo nella Terza Parte]».

La piccola Santina messicana dal Carcere di Las Cruces alla spiaggia dell’isola de La Roqueta ad Acapulco. Una meraviglia.

Report 49/5
Santina dal Carcere di Las Cruces alla spiaggia de La Roqueta ad Acapulco

Le giornate ad Acapulco sono piene fino all’ultimo secondo e non sono facili. A parte il caldo umido che vi si incontra, il programma è intenso, ma gli incontri con le famiglie vittime di violenza sono tragici. Le storie che si sentono, che si vedono e si condividono provocano disgusto e la notte non si dorme. Non si dorme perché il cervello è sbranato dalle lacrime della gente, dei certificati medici che attestano morti violenti e poi da una comunicazione folle in cui in modo riservato, senza entrare nell’web si passano messaggi, video e foto che puntualmente appaiono nelle famiglie.

Anni fa una mamma, Cecilia, mi mostrava un breve video di circa 90” che i rapinatori del suo figlio l’avevano inviato, in cui si vede un delinquente che taglia l’orecchio al figlio prima di metterlo in una busta recapitata la mattina dopo alla porta di casa.

Fermati! Pensa un momento che cosa può provare una mamma che vede il figlio con la bocca chiusa da nastro isolante straziato per il dolore, mentre un affilato coltello stacca l’orecchio? E non puoi rifiutarti di vedere, perché loro ti supplicano di vedere, in modo composto e dignitoso, ma chiedono di condividere nella speranza di un conforto più profondo.

Questa volta tra i video più disperati me ne è arrivato uno in cui un uomo vivo viene fatto a pezzi: provo il disgusto ancora questa sera. E questo è il condimento delle giornate che sono piene di lacrime e dolore.

“Ad Acapulco si ammazzano un sacco di gente”. Questa immagine, già tremenda per quanto fa immaginare cosa succede dopo, quando un uomo viene smembrato vivo. L’immagine è tratta dall’inizio del video che Don Gigi mi ha fatto vedere. Con delle scene disgustose, da voltastomaco. Le bestie vengono ammazzate con più misericordia. Qui il Maligno è all’opera.

In tutto questo, la giornata più lieta è stata quella vissuta con la piccola Santina al mare. L’occasione di portare Santina al mare mi ha anche dato la possibilità di vedere una la piccola isola de La Roqueta nella baia di Acapulco, che non sapevo neppure che esistesse. Ore liete e spensierate, che mi hanno riparato il cervello dai tanti guasti incontrati.

Ma andiamo per ordine, perché portare la mia piccolina di due anni al mare non è così semplice. Togliere dal carcere Santina è stata una grande impresa, con una interminabile burocrazia e mille fondate paure. Devo partire da alcuni anni fa, quando il 19 settembre 2019 nello steso carcere ho incontrato Senen Nava Sanchez, il terribile capo della banda de Los Rojos. Mi aveva scritto una dedica sulla mia Bibbia, che diceva così: “Luis mi piacerebbe che Dio mi aiutasse a risolvere il problema che ho, perché hanno minacciato di morte i miei tre bambini, Zaret, Osiel e Ariel”. Chi è in carcere ha una grande paura. È la paura che i rivali di un cartello o di una banda delinquenziale, possano fartela pagare, ammazzando moglie e figli. È molto comune questa cosa.

Parlare di portare Santina al mare mi sembrava una bellissima idea, anche semplice da realizzare come in Kenya, ma non mi rendevo conto che la piccola non soggiornava in un orfanotrofio, ma in un penitenziario e che i suoi due genitori sono delinquenti privati di libertà.

Con Magda e Dulce facciamo una riunione nella quale verifichiamo la nostra iniziativa, vediamo i reali pericoli. “Certo – dico io – mostrare il nostro programma nel dettaglio significa consegnare la nostra giornata in mano alla polizia e sapendo quanto sia corrotta, forse è il modo migliore per far conoscere ai narcos dove siamo e in quanti siamo”. Le due donne non nascondo il loro timore, ma anche la loro determinazione nell’aiutarmi. Per mettere a suo agio Santina pensiamo anche di coinvolgere le sue due piccole bimbe: Romina di 6 anni e Sofia di 7.

La sera prima di dormire rivedo il piano nei dettagli e su queste paure, altri futili ma naturali paure: incidente stradale, la bimba mi cade accidentalmente dalle braccia, mangia qualche cosa che non è buono. Mi giro e rigiro nel letto, finché guardo il quadro della Madonna di Guadalupe nella casa di Magda dove dormo. E mi addormento ripetendo la frase: “Non sono qui io che sono tua madre?”.

Il giorno dopo, con in braccio la mia principessa in lacrime lasciamo la galera attorno alle ore 10.30. I bellissimi capelli di Santina sono raccolti in due treccine da due fiocchi azzurri, il vestitino è sobrio ed elegante. La piccola ha con sé uno zainetto colorato, dove vi è un cambio di pannolini e dei vestiti puliti. La bimba risulta pulitissima.

Certo che mia madre Santina ha scelto tre bambine particolarissime a cui assegnare il suo nome dal cielo: la prima la Santina del Kenya che oggi ha 5 anni è figli di una malata morta di AIDS ed ora vive in un orfanotrofio; la seconda è questo angelo che è nata in un carcere da madre e padre delinquenti; infine la Santina di Saigon è sieropositiva. Ho battezzato sia la Santina del Kenya che questa messicana, mi manca ora la vietnamita. Certo non sono tre bambine ricche e fortunate, ma per questo le amo ancora di più. Sembrano ricopiare la vita dura e difficile di mia madre Santina!”.

Dulce, che è madre di un seminarista, mi dice: “Don Gigi, penso che tua madre sarà contenta di vedere che tre piccole bimbe in tre parti diverse del mondo hanno preso il suo nome!”. Sorrido felice, non so mia madre in cielo, ma per me chiamare queste bimbe con il nome Santina, mi sembra di far rivivere mia madre. I primi tempi provavo forti emozioni a chiamare Santina la mia piccola nera in Kenya, poi invece è stato un incanto!”.

Detto questo, guardo la piccolina in macchina, che sta guardando dal finestrino e piange. La chiamo: “Santina!” e lei compie un gesto semplice quanto scontato, al suono del suo nome si volta verso di me, basta quel gesto per farmi esplodere un tuono nel cuore di commozione. La piccola si riconosce in quel suono ed in quella parola: lo stesso in cui si riconosceva mia madre. Provo una grande felicità.

Alla scuola carichiamo in macchina Sofia e Romina. Al porto, paghiamo i biglietti per il battello, prendo in braccio Santina e tra qualche acrobazia ben calcolata salgo sulla barca che ondeggia. Romina, Sofia e Magda sono sulla parte destra della barca, mentre io e Dulce con Santina su quella sinistra. Ringrazio Dio per la bontà di queste donne: due autentiche donne messicane, schive e schiette, molto concrete e piene di bontà. Senza loro due sarebbe stato impossibile pensare quelle ore liete. Metto in braccio a Magda la piccola e lei la riceve felice, orgogliosa di essere la madrina, spoglia la bambina dal vestitino e compare un costumino bellissimo a due pezzi, sul pezzo superiore blu appare la scritta sexy che ci fa morire dalle risate, sotto la bimba ha una gonnellina gialla molto graziosa.

Tocchiamo terra, siamo all’isola de La Roqueta, che mi appare bellissima: sembra una costa del Brasile tanto è bella e qui la bellezza della natura si sposa con la dolcissima bellezza di Santina. La tengo tra le mie braccia ed assaporo forte questi istanti che hanno il magico potere di confortarmi, di indicare cose alte e belle per cui vivere. Sento di compiere un gesto semplice, quanto pieno di significato. Mi viene in mente Everlyne, Santina, Nora e Ramsi in riva al mare con me, questa volta non sul Pacifico, ma sull’Oceano Indiano nel tentativo di dire che anche nella povertà si possono scoprire momenti di gioia. Questi momenti di gioia, quando appaiono nella vita degli infelici, sono forti segni terribili della presenza di Dio. Respiro profondamente e gusto il senso profondo della nostra piccola impresa: mostrare alla piccola Santina, nata sfortunatamente in un carcere da due genitori trafficanti di esseri umani a Ciuidad Juarez, la bellezza della vita e quanto sia meraviglioso vivere.

Mi metto alla canzone dello Zecchino d’Oro 2018 “Meraviglioso è esistere”. La farò imparare anche a Romina e Sofia, mi dico. Le altre due piccoline si sono messe il costume e sono già in acqua. Vedo Santina che nell’acqua si diverte felice ed è anche capace di fare un sorriso. La guardo radioso. Quanto poco occorre per essere felici. Con i suoi piccoli piedini in acqua si diverte a calpestare la sabbia. Le onde dolci la bagnano tutta e lei sorride al caldo sole dal sapore equatoriale. Dulce guarda l’orologio e ci ricorda che il tempo sta fuggendo. Sono soddisfatto: ne è valsa la pena, ma voglio che questa sia la prima volta di una lunga serie e per questo impongo a me stesso di essere in perfetto orario per non creare disagi alle autorità penitenziarie. Con molta fatica lasciamo le onde del mare, cambiamo Santina e le piccole bimbe e poi le lasciamo asciugare i capelli al sole. I deliziosi fiocchetti blu che la mamma aveva ben saldato, non si sono mossi e la bimba succhia e mordicchia un lecca-lecca rosso che le deve piacere molto.

Facciamo ritorno al carcere, dove giungiamo alle ore 14.15. Il rivedere le alte mura della prigione tenendo tra le braccia la piccolina, mi mette un freddo brivido alla schiena. che mi ghiaccia tutto. Stringo forte la bimba al mio petto e lei nel sonno profondo in cui è sprofondata si lascia fare. Stringo forte la bimba al cuore con un grande bacione sulla fronte e nell’anima una domanda: “Perché una innocente deve abitare in carcere? Perché una piccola bimba è nata qui dentro, qui non dovrebbero nascere bambini, non è un luogo per loro. È il luogo più contrario a quello che un bambino dovrebbe avere. So che lei rimarrà nel carcere ancora per un anno e poi l’anno prossimo al compiersi dei tre anni andrà a vivere dalla zia materna insieme con gli altri due fratellini.

La porta del carcere si riapre. La piccolina scompare dietro le sbarre del carcere con un pallone ed un pupazzo che abbiamo a lei regalato. La porta della prigione si chiude ed un catenaccio mi chiude il cuore. Magda mi dice, avvertendo il mio sconforto: “Non possiamo fare nulla. Ringrazia Dio delle belle ore che hai fatto trascorrere a lei. Ti prometto che verremo ancora questo anno e la porteremo con noi”. Sorrido a Magda e le do un bacio: “Grazie Magda, ora conoscete la strada”. Lasciamo Las Cruces con una grande pace nel cuore e la sensazione di aver fatto una piccola grande cosa.

«Quando sono debole è allora che sono forte»

[*] La Santa Muerte è la dea della morte le cui origini risalgono al periodo preispanico del Messico. I messicani la conoscevano con il nome Mictlantecihuatl, la Signora della Terra dei Morti”, a cui si attribuiva di proteggere le anime che risiedono nel buio mondo sotterraneo. È raffigurata come una donna in abbigliamento femminile tradizionale, adornata o decorata con bandiere che venivano posizionate sui corpi preparati per la cremazione. Indossa una maschera cranica con un becco che sporge dalla cavità nasale, o forse è una lama. Con la dea è legato il Dia de los Muertos, originalmente alla fine di luglio e all’inizio di agosto, spostato dai missionari spagnoli al 2 settembre. Mictlantecihuatl e il suo signore Mictlantecihuatli ricevettero entrambi offerte di sangue dal messicano che chiesero loro in cambio di una morte favorevole o pacifica quando era giunto il momento di morire. La tradizione vuole che per ricevere un destino favorevole facendo un’offerta, si debba avere la mano destra coperta di sangue per garantire il favore di Mictlantecahtli. Poiché le offerte di sangue erano considerate della massima importanza, il colore rosso divenne intimamente associato al Signore della Terra dei Morti e, per estensione, il colore viene attribuito alla sua padrona a causa della sua connessione con il suo Signore. È importante notare che Mictlantecahtli e la sua padrona Mictecacihuatl vivevano entrambi nell’oscurità totale.

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