Patrick Zaki è libero: la lotta per i diritti umani non si arresta

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Dopo 22 mesi è finalmente finito, almeno per il momento, il calvario di Patrick Zaki, l’attivista e studente dell’Università di Bologna, arrestato a febbraio 2020 in Egitto, e scarcerato a Mansura, dopo l’udienza di martedì scorso che ne aveva stabilito il rilascio, ma non l’assoluzione.

Il processo riprenderà il 1 febbraio; rischia ancora cinque anni di prigionia per un articolo scritto nel 2019. Quasi tutte le accuse a sua carico sono cadute, ma l’unica rimasta in piedi (‘diffusione di notizie false’) potrebbe costargli una condanna senza diritto di appello.

Appena libero Zaki ha ringraziato in un video di Repubblica.it chi ha sempre lottato per la sua liberazione: “Sto molto bene ora, sono felice, non mi hanno spiegato che mi stavano rilasciando, non sapevo cosa stesse accadendo. Sono con la mia famiglia, la mia ragazza, la mia sorella.

Sono felice di rivederli. Sto realizzando ora quel che è successo. Voglio ringraziare l’Italia, tutti i partiti politici che mi hanno sostenuto, e Bologna e la mia università. Tornerò il più presto possibile, è casa mia. Grazie a Amnesty Riccardo Noury”.

Per questo Amnesty International ha espresso soddisfazione, sottolineando che la ‘battaglia’ ancora non è terminata: “Il 7 dicembre il tribunale ha deciso di liberare Patrick in attesa della prossima udienza che si terrà il 1° febbraio. Un passo avanti enorme nella direzione della giustizia…

La battaglia per la liberazione di Patrick continua. Zaki è un prigioniero di coscienza detenuto esclusivamente per il suo lavoro in favore dei diritti umani e per le opinioni politiche espresse sui social media: le accuse a suo carico devono essere annullate del tutto”.

Si ricorda che Patrick Zaki era stato condannato di diffusione di notizie false per un articolo del 2019 sulla situazione dei coopti egiziani: “Non passa mese senza che si verifichino incidenti dolorosi contro i copti egiziani, dai tentativi di sfollamento nell’alto Egitto, ai rapimenti, alla chiusura di chiese o ad altri attentati…

Non passa un mese per i cristiani in Egitto senza 8 o 10 incidenti dolorosi, dai tentativi di sfollarli nell’alto Egitto, ai rapimenti, alla chiusura di una chiesa o qualcosa che viene fatto saltare in aria, all’uccisione di un cristiano, la conclusione è sempre ‘disturbo mentale’.

Questo articolo è un semplice tentativo di seguire gli eventi di una settimana dai diari dei cristiani d’Egitto, una settimana è sufficiente per rendersi conto della portata del calvario che vivono”.

Nell’articolo Zaki aveva raccolto testimonianze di fedeli coopti e l’assenza dello stato nell’impedire la violenza: “Il governo egiziano non ha reagito e non ha preso alcuna nessuna misura decisa per impedire di intitolare la scuola ad Abanoub Marzouk, così è intervenuto il governatore a risolvere il problema.

Quando ho cercato di capire in che modo il governatore avesse risolto problema, ho scoperto che aveva dedicato a Abanoub Marzouk il ponte in costruzione all’ingresso del villaggio. Insomma, il problema, come tutti i problemi dei cristiani in Egitto, è stato risolto con un ‘ponte’!”

(Foto: Amnesty International)

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