Padre, pastore, povero, “non principe” e non ambizioso. Papa Francesco dà ai nunzi l’indentikit dei nuovi vescovi

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Papa Francesco incontra per la prima volta le rappresentanze pontificie di tutto il mondo. E a loro, in un discorso fatto “con il cuore” (e precisa: “Questo discorso l’ho scritto io!”), riflettendo sulla loro vita da “nomadi” senza pretendere di “dire cose nuove”, sottolinea l’importanza per ogni nunzio di essere prima di tutto “pastore” anche se a loro non è affidata “una porzione del gregge di Dio”. Sottolinea parlando a braccio che “non sono intermediari”, che a loro spetta costruire la Chiesa, chiede di avere “un rapporto personale” con il vescovo di Roma, anche andando al di là della Segreteria di Stato. E infine si sofferma su uno dei compiti particolari dei nunzi: quello di scegliere i candidati per l’episcopato. E dice loro come devono essere i nuovi vescovi.

“Siate attenti – dice Papa Francesco – che i candidati siano pastori vicini alla gente, pari e fratelli, siano miti, pazienti e misericordiosi; amino la povertà, interiore come libertà per il Signore, e anche esteriore come semplicità e austerità di vita, che non abbiano una psicologia da ‘Principi’”. E ancora: “Siate attenti che non siano ambiziosi, che non ricerchino l’episcopato e che siano sposi di una Chiesa, senza essere in costante ricerca di un’altra”. Ma soprattutto “siano capaci di ‘sorvegliare’ il gregge che sarà loro affidato, di avere cioè cura per tutto ciò che lo mantiene unito; di ‘vigilare’ su di esso, di avere attenzione per i pericoli che lo minacciano; ma soprattutto siano capaci di ‘vegliare’ per il gregge, di fare la veglia, di curare la speranza, che ci sia sole e luce nei cuori, di sostenere con amore e con pazienza i disegni che Dio attua nel suo popolo”.

D’altronde, è tutto quello che Papa Francesco chiede ai nunzi. L’incontro del Papa con le rappresentanze pontificie era stato pensato nell’ambito delle celebrazioni dell’Anno della Fede. L’ultimo Papa ad incontrare i suoi ambasciatori era stato Giovanni Paolo II. L’incontro con Benedetto XVI era caratterizzato da una forte spiritualità. Ma, dopo la rinuncia, questo si è tramutato nel primo incontro tra Papa Francesco e i suoi ambasciatori (stasera ceneranno anche tutti insieme).

A loro, il Papa non dà un indirizzo diplomatico, e questo sarebbe un segno che il lavoro sul campo vuole che sia continuato sulla scia di quanto delineato da Benedetto XVI, ovvero a partire dal Vangelo e dalla verità, più che dal compromesso.

Ma si sofferma il loro compito di pastori.  Aggiunge parlando a braccio: “Il vostro lavoro è un lavoro importante: costruire la Chiesa, tra la Chiesa particolare e quella universale, tra vescovi e vescovo di Roma”. Perché –  afferma il Papa – “non siete intermediari, meglio dire che siete mediatori, e con quella mediazione fate la comunione. I teologi parlano di Chiesa locale. Io non sono teologo, ma (i teologi) dicono che i rappresentanti pontifici e i presidenti delle conferenze episcopali fanno una Chiesa locale. Il lavoro più importante è la mediazione e per mediare bisogna conoscere. Conoscere non solo le carte, che sono tante e sono importanti, ma le persone. Il rapporto personale tra vescovo di Roma e voi è una cosa essenziale. C’è la Segreteria di Stato che ci aiuta, ma il rapporto personale è importante” e dobbiamo farlo “ambedue le parti”.

E anche il segretario di Stato Tarcisio Bertone, nel suo indirizzo di saluto, aveva sottolineato: “I nunzi siano sacerdoti, non giudici, che condividono il cammino della Chiesa”. E poi il Segretario di Stato aveva aggiunto:  “I nunzi ovunque vanno, sanno di non trovarsi in terra straniera. Hanno il compito alto e gravoso di rappresentare il Padre comune presente nelle ore liete e in quelle tristi anche in quei momenti non infrequenti in cui i paesi sono minacciati da guerre”

La riflessione di Papa Francesco era partita dal “camminare” del nunzio, pellegrino che “guarda da lontano” la terra promessa promesse così come faceva il popolo di Israele, originariamente nomade.

Anche nunzi e rappresentanti pontifici – dice Papa Francesco – sono nomadi come Abramo. E allora, “che cosa ci dice questa vita? Che senso spirituale ha?”. Il senso, per Papa Francesco è quello del cammino, che è centrale nella vita di fede, a iniziare da Abramo, uomo di fede in cammino”. È il cammino che anche il Papa ha indicato come primo “step” nel trittico ignaziano lanciato da Francesco nella Missa pro Ecclesia, la prima con i cardinali in Sistina dopo l’elezione: camminare, confessare, edificare.

Non è un compito facile, quello di chi cammina. “È – spiega il Papa – vivere nel provvisorio, uscendo da se stessi, senza avere un luogo dove mettere radici, una comunità stabile, eppure amando la Chiesa e il Paese che siete chiamati a servire”.

Papa Francesco sottolinea che una vita così “è un grande merito, quando si vive con l’intensità dell’amore, con la memoria operante della prima chiamata”. Francesco ricorda il discorso di Montini, allora sostituto (oggi si ricordano anche i cinquant’anni dalla sua ascesa al soglio pontificio con il nome di Paolo VI), il quale il 25 aprile 1951 “ricordava che la figura del Rappresentante Pontificio «è quella di uno che ha veramente la coscienza di portare Cristo con sé», come il bene prezioso da comunicare, da annunciare, da rappresentare.

Mentre i beni di questo mondo “finiscono per deludere” – dice Papa Francesco – “il Signore è il bene che non delude.. E questo esige un distacco da se stessi che si può raggiungere solo con un costante rapporto con il Signore e l’unificazione della vita attorno a Cristo”.

Il nunzio deve essere familiare con Cristo. E deve guardarsi dalla “mondanità spirituale”, un po’ come i vescovi che è chiamato a scegliere. Il nunzio non deve – dice Papa Francesco – “cedere allo spirito del mondo, che conduce ad agire per la propria realizzazione e non per la gloria di  Dio a quella sorta di “borghesia dello spirito e della vita” che spinge ad adagiarsi, a ricercare una vita comoda e tranquilla. D’altronde, anche Giovanni XXIII – che è stato un nunzio apostolico di altissimo livello – affermava, ricorda il Papa, “di avere compreso sempre di più che, per

l’efficacia della sua azione, doveva potare continuamente la vigna della sua vita da ciò che è solo fogliame inutile e andare diritto all’essenziale”.

Papa Francesco ammonisce: “Cedere allo spirito mondano espone soprattutto noi Pastori al ridicolo; potremo forse ricevere qualche applauso, ma quelli stessi che sembreranno approvarci, poi ci criticheranno alle spalle”.

Perché il rappresentante pontificio è prima di tutto un pastore. “Siete presenza di Cristo, siete presenza sacerdotale, di Pastori”, arringa il Papa.  “Certo, non insegnerete ad una porzione particolare del Popolo di Dio che vi è stata affidata, non sarete a guida di una Chiesa locale, ma siete Pastori che servono la Chiesa, con ruolo di incoraggiare, di essere ministri di comunione, e anche con il compito, non sempre facile, di richiamare. Fate sempre tutto con profondo amore! Anche nei rapporti con le Autorità civili e i Colleghi voi siete Pastori: ricercate sempre il bene, il bene di tutti, il bene della Chiesa e di ogni persona”.

Al termine dell’incontro, Papa Francesco ha regalato ai 150 nunzi, ricevuti oggi in Vaticano, una croce d’argento del peso di 85 grammi, dei maestri Claudio e Piero Savi, un modello esclusivo realizzato a mano per l’occasione.

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