I Martiri di Roma

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In realtà per molti secoli i cristiani desideravano venire a Roma per venerare i martiri, non per vedere il papa. Gli Anni Santi, celebrati a partire dal 1300, non erano altro che una versione più strutturata dei pellegrinaggi alle tombe e alle reliquie dei martiri che andavano avanti da secoli. Le visite alle chiese, organizzate poi da S. Filippo Neri nella “visita alle Sette Chiese”, non erano motivate da una passione per l’arte e l’architettura sacra, ma dal desiderio di venerare le reliquie e i luoghi santi. Il desiderio di vedere la persona del Papa è molto più recente, anche se oggi ha completamente sostituito i martiri come motivazione dei viaggi a Roma dei cristiani. Di questi martiri di Roma, che quindi per secoli hanno attirato pellegrinaggi da tutto il mondo cristiano, però, spesso si conosce solo il nome e la data e il luogo di sepoltura. Di alcuni di loro non si può neanche essere certi che siano mai esistiti. L’esempio più famoso è appunto S. Valentino. Padre Amore dubitava, come molti altri, che si trattasse di un martire romano e pensava fosse semplicemente il costruttore di una chiesa sulla Via Flaminia.

Il caso di S. Valentino è il primo che il lettore incontra nel libro, perché Padre Amore ha scelto di seguire l’ordine degli antichi cimiteri e catacombe lungo le antiche strade consolari romane, partendo proprio dalla Via Flaminia. Alessandro Bonfiglio ha ora curato una edizione aggiornata di questo libro fondamentale (Tau Editrice 2012). La ricerche vanno avanti, e Bonfiglio ha non solo aggiornato le note bibliografiche, ma ha aggiunto al capitolo su ogni martire un paragrafo, in corpo minore, in cui discute i progressi degli studi negli ultimi quarant’anni. Il libro viene presentato da una prefazione di Fabrizio Bisconti, Magister della Pontificia Accademia Cultorum Martyrum, che si occupa del culto e dello studio degli antichi martiri di Roma. E S. Valentino? Alessandro Bonfiglio spiega che gli studiosi ormai hanno superato il dubbio di Padre Amore e credono che il martire romano Valentino sia veramente esistito.

Ecco alcuni passaggi della introduzione dell’ Autore.

La storia dei martiri è la gloria più fulgida e la testimonianza più eloquente della validità del Cristianesimo. Perciò, fin dai tempi remoti, gerarchia e fedeli si sono preoccupati, non solo di annotare con diligenza i nomi di coloro che hanno consacrato col sangue la loro fede, ma di celebrarne anche la memoria anniversaria nello svol gimento del culto liturgico. Per diverse circostanze, però, questa venerazione non ebbe inizio e sviluppo uguale ed uniforme: mentre in Oriente le più antiche testimonianze ci riportano al secolo II, in Occidente, e particolar mente per la Chiesa romana, della quale siamo meglio informati, sembra poter risalire soltanto al secolo III. Questo ritardo condusse fatalmente, pur prescindendo da qualsiasi valutazione di merito, al mancato ricordo, nei libri liturgici, di quasi tutti i martiri dei primi due secoli. Il culto infatti era generalmente localizzato attorno al sepol cro che raccoglieva le gloriose spoglie e celebrato nel dies natalis del martire, cioè nell’anniversario della sua morte, ma, essendo ormai trascorso tanto tempo dagli eventi, era inevitabile che per molti dei più antichi si fosse perduta l’esatta conoscenza dell’uno o dello altro elemento, quando non fossero ignoti fin dall’inizio. Si pensi, per esempio, alle stragi in massa della persecuzione neroniana, ai confessori periti nelle carceri o banditi all’esilio, a quelli sacrificati negli spettacoli circensi, dati in pasto alle fiere, annegati o consumati dalle fiamme, e si comprende facilmente come per molti di essi fosse stata impossibile e la pietosa sepoltura e l’annotazione della data della morte. Non si deve poi trascurare il fatto per cui, una volta decisa l’organizzazione del culto, era impossibile compilare una lista completa delle feste di tutti i martiri di cui la Chiesa romana poteva vantarsi, ed indubbiamente essi ascendono ad un numero cospicuo: una sele zione si imponeva anche per non creare troppe celebrazioni ufficiali e non costringere i fedeli a recarsi quasi ogni giorno ai cimiteri.

Tutte queste considerazioni permettono di spiegare come il più antico documento liturgico romano, la Depositio martyrum, risalente agli inizi del secolo IV, da una parte contenga poche commemorazioni festive e dall’altra la lista riguardi esclusivamente i martiri dei se coli III-IV. Sarebbe perciò assolutamente errato limitarsi allo studio di quel calendario volendo conoscere quanti e quali furono i martiri romani dei primi secoli, poiché esso è soltanto l’espressione di alcune celebrazioni ufficialmente stabilite ed accolte dalla comunità ecclesiale, in quella determinata epoca, e non il repertorio completo o l’elenco di tutti i martiri. Certamente nello sviluppo ed espansione successiva del culto si andarono recuperando molte altre memorie di martiri, ma allora intervenne un altro fattore, purtroppo non sempre ottimale, che con dusse ad un’indiscriminata e talvolta semplicistica raccolta, basata su documentazione non sempre genuina ed esente da ogni sospetto storico: alludiamo alla fioritura delle leggende agiografiche, causa e conseguenza insieme dello stesso sviluppo del culto dei martiri. I loro autori infatti, nell’intento di illustrare la personalità di qualche antico autentico martire di cui si allargava la venerazione ma del quale non si avevano ormai notizie sicure e dettagliate, non si peritarono solo di inventare quei dettagli, ma circondarono l’eroe principale di una congerie di altri personaggi a lui completamente estranei e spesso inventati. Il fenomeno non sarebbe stato in sé troppo pericoloso se fosse rimasto ristretto nell’ambito letterario, ma lo di venne e purtroppo negativamente, perché anche codesti nuovi personaggi entrarono, a pari merito con gli altri, nella venerazione e nel culto, essendo stati anch’essi annoverati tra gli autentici martiri. Da ciò ne consegue come sia sommamente pericoloso e storicamente infido basarsi unicamente sul criterio del culto quando si vogliono conoscere i martiri di una determinata Chiesa locale, poiché le fonti liturgiche spesso dipendono da quelle agiografiche.

Per questo motivo non possono considerarsi completamente soddisfacenti gli antichi lavori di Urbain e Kirsch, anche se ambe due condotti con l’ausilio di altre fonti sussidiarie. Il criterio del culto può soltanto registrare il dato di fatto, ma per essere valido bisogna che prima se ne giudichi l’origine. L’Urbain, infatti, ha completamente trascurato la critica delle fonti utilizzate, per cui oggi è facile e necessario espungere dalla sua lista molti presunti martiri: per il semplice fatto che un santo è ricordato in un documento liturgico, non ne consegue che la sua storicità sia ipso facto dimostrata! Il Kirsch poi, come già prima anche Urbain, servendosi di una sola fonte per la sua inchiesta, cioè il Martirologio Geronimiano, ha tra scurato tutti quei martiri che, pur storicamente autentici, non sono ricordati in quel documento. Seguendo la via tracciata dal Kirsch, ma con criteri più strettamente critici e principalmente utilizzando la topografia cimiteriale, il Delehaye ha cercato di ricomporre una lista dei martiri romani e delle località circonvicine “dont le culte est serieusement attesté […] et, dont l’identification n’offre aucune doute”,ma anche il lavoro dell’illustre Bollandista non può dirsi storicamente esauriente e completo. Volendo perciò evitare le lacune e le deficienze notate nei precedenti lavori, abbiamo preso a fondamento del nostro il criterio storico e, utilizzando tutte le altre fonti sussidiarie e complementari dell’Agiografia (archeologiche, liturgiche, storiche), abbiamo cercato di raccogliere tutti i dati attendibili sui martiri romani, la cui esistenza può essere provata ed accettata, non trascurando insieme, e conseguentemente, di esaminare e notare se quei dati si fondino su valide fonti, sia per accertarne l’esistenza storica, sia la personalità, quale ci è stata tramandata dalla tradizione agiografica. In altre parole si tratta di uno studio eminentemente storico-agiografico sui martiri romani. Non presumiamo di avere condotto un’inchiesta esaustiva, ma confidiamo di aver raccolto tutto ciò che si può dire di criticamente e storicamente sicuro di tutti quei martiri dei quali è possibile dare una giustificazione allo stato delle nostre conoscenze attuali.

Ciò ci ha condotto, talvolta ad un esame particolareggiato di qualche problema sotto l’aspetto liturgico, archeologico o agiografico, special mente quando le comuni opinioni degli studiosi non ci sembravano sicuramente fondate e validamente assodate. Nella nostra ricerca storica, abbiamo seguito il metodo topografico-archeologico, ben consapevoli che il primo elemento oggettivo per stabilire l’esistenza di un martire dell’antichità sia la conoscenza del suo sepolcro; anche i martiri infatti, come tutti gli altri fedeli, furono sepolti nei cimiteri extraurbani, e quindi di là deve partire ogni inchiesta storica. A tale scopo abbiamo preso come guida gli Itinerari del secolo VII, specie di guide dei pellegrini e composti quando ancora i sepolcri dei martiri erano quasi tutti intatti ed il loro sito ben conosciuto, anche se in qualche caso c’erano state già delle manomissioni a causa di eventi bellici che avevano coin volto Roma durante le scorrerie e le invasioni barbariche. Gli Itinerari ci sono serviti come guida, ma naturalmente abbiamo ogni volta controllato la validità delle loro asserzioni. Dall’esistenza del sepolcro è stato poi facile e naturale passare all’esame della documentazione storica e liturgica di ciascun martire, per vagliarne l’attendibilità e stabilirne quindi il valore storico. Sappiamo poi che, secondo certe tradizioni agiografiche, non tutti i martiri sarebbero stati originariamente sepolti e venerati nei cimiteri extraurbani, ma alcuni di essi, per ragioni diverse, sarebbero legati ad edifici di culto urbani: abbiamo perciò a parte esaminato anche quelle tradizioni per verificarne la consistenza storica. Infine, poiché non tutti i martiri e specialmente quelli dei primi due secoli ebbero venerazione e perciò i loro nomi non furono regi strati in documenti liturgici o similari proprio perché non si conosceva il loro sepolcro o il loro dies natalis, sebbene la memoria del loro olocausto sia stata tramandata da fonti storiche di ineccepibile valore, abbiamo ad essi dedicato l’ultimo capitolo del nostro studio con una sintetica rassegna fondata sulle fonti letterarie, onde restituire loro la gloria e l’onore di essere annoverati tra i martiri romani autentici.

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