Caso Viganò: l’arcivescovo e il suo doppio. Un’analisi di Prof. Roberto de Mattei ++++ AGGIORNAMENTI ++++

Condividi su...

21 giugno 2021 – Condivido un intervento del Prof. Roberto de Mattei pubblicato su Corrispondenza Romana di oggi, in cui l’insigne storico delle idee religiose e politiche, nonché Cattolico tradizionalista, esprime un pensiero che anche a noi è venuto, e formula delle domande, ipotesi e valutazioni che meritano di essere prese in considerazione, non solo per la loro importanza, ma anche per la statura di colui che le formula. E in questo caso non si tratta di guardare il dito, invece della luna che viene indicata: “Un chiarimento è necessario per il bene della Chiesa e delle anime che hanno in mons. Carlo Maria Viganò un punto di riferimento, ma anche nell’interesse dell’Arcivescovo che tanto bene ha servito la Chiesa e può ancora continuare a servirla”.

Come ho osservato già in passato, ho conosciuto di persona Mons. Viganò, perché ho collaborato con lui nelle mie funzioni alla Sala Stampa della Santa Sede, quando era Segretario Generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano. Me lo ricordo con stima per il suo operato in servizio alla Santa Sede, che rimane invariata.

Ho inserito nel testo alcuni riferimento alle coperture su questo Blog dell’Editor.

Buona lettura, fruttuosa riflessione e saggia valutazione.

22 giugno 2021 – Poi, segue la replica di Mons. Viganò, pubblicata su Duc in altum e Stilum Curiae il 22 giugno 2021.

23 giugno 2021 – Inoltre, segue l’analisi e la risposta alla domanda: “Caso Viganò, chi è il vero autore degli scritti di mons. Viganò?” su Corrispondenza Romana del 23 giugno 2021, a firma di Emmanuele Barbieri e Roberto de Mattei.

26 giugno 2021 – Segue l’articolo di Marco Tosatti su Stilum Curiae: Viganò, De Mattei, Moynihan. Il senso profondo di un’accusa improbabile.

Certamente, la saga continuerà…

Caso Viganò: l’arcivescovo e il suo doppio
di Roberto de Mattei
Corrispondenza Romana, 21 giugno 2021


Il pontificato di papa Francesco volge al tramonto, come ormai molti ammettono, ma un tramonto può essere burrascoso e nessuno sa quanto profonda sarà la notte che ad esso seguirà prima che finalmente sorga l’alba.

La rinuncia all’arcidiocesi Monaco di Baviera da parte del cardinale Marx [QUI, QUI, QUI e QUI] è uno dei segni della tempesta che si addensa, ma esiste un’altra nube minacciosa, tanto più inquietante in quanto portata non dal vento del progressismo, ma dal vento del cosiddetto tradizionalismo. La nube ha la figura, se non l’identità di un illustre prelato: mons. Carlo Maria Viganò, arcivescovo titolare di Ulpiana ed ex-nunzio apostolico negli Stati Uniti. Che cosa sta accadendo dunque?

Mons. Viganò è un arcivescovo che si è distinto nel servizio alla Chiesa, condotto sempre, con generosità e spirito di dedizione. Dopo una brillante carriera diplomatica, dal 2009 al 2011 è stato segretario del Governatorato della Città del Vaticano, inimicandosi molti per la decisione con cui è intervenuto per risanare l’economia della Santa Sede. Nel 2011 Benedetto XVI lo ha nominato nunzio apostolico negli Stati Uniti d’America. Ha brillantemente ricoperto questa carica fino al 12 aprile del 2016 quando, al compimento dei suoi 75 anni, papa Francesco ne ha accolto le dimissioni. Come lo stesso mons. Viganò ha rivelato il 23 giugno del 2013, egli fu ricevuto dal nuovo pontefice e, con la franchezza che gli è propria, lo mise al corrente della disastrosa situazione di una parte del clero negli Stati Uniti, con particolare riferimento al caso del cardinale McCarrick.

Il Papa lo ascoltò, ma nulla fece, anzi lasciò che la situazione si aggravasse. Il pontificato bergogliano raggiunse l’acme della sua crisi dopo la promulgazione dell’Esortazione Amoris laetitia del 19 marzo 2016. Le preoccupazioni di Mons. Viganò aumentarono ed egli si avvicinò ai cattolici che manifestavano uno spirito di filiale resistenza nei confronti di papa Francesco. Finalmente, il 22 agosto 2018, l’ex nunzio negli Stati Uniti pubblicò una drammatica testimonianza in cui portò alla luce l’esistenza di una rete di corruzione nella Chiesa, chiamando in causa i responsabili, a cominciare dalle supreme autorità ecclesiastiche.  Le rivelazioni di mons. Viganò non sono mai state smentite, ma anzi confermate dai provvedimenti che papa Francesco prese contro il cardinale Mc Carrick [QUI e QUI].  Temendo per la sua incolumità, ma anche per mantenere un atteggiamento di riserbo, mons. Viganò si ritirò in un luogo segreto, dove tuttora risiede. Altri interventi seguirono alla prima coraggiosa dichiarazione, dal documento Scio cui credidi del 28 settembre 2018, alla lunga intervista al Washington Post del 10 giugno 2019. Ciò che caratterizzò questi interventi fu che essi furono rari e circoscritti nei contenuti.  Mons. Viganò si esprimeva con fermezza, ma parlava solo di ciò che conosceva direttamente, con semplicità e nobiltà di linguaggio. Su ciò si fondava la sua credibilità.

Nel 2020, l’anno della pandemia, qualcosa inaspettatamente cambiò e un nuovo mons. Viganò si affacciò alla ribalta. Quando parliamo di un “nuovo” mons. Viganò non ci riferiamo naturalmente alla sua persona privata, ma alla sua identità pubblica, quale appare dalla profluvie di discorsi che iniziò a pubblicare a partire dall’appello contro il “Nuovo Ordine Mondiale” dell’8 maggio 2020. Questo appello non mancò di suscitare forti interrogativi nel mondo cattolico a lui vicino, fino a spingere alcuni suoi amici ed estimatori a non sottoscriverlo. Nelle dichiarazioni sempre più numerose da lui pubblicate il tono divenne ampolloso e sarcastico e i temi si allargarono ai campi teologico e liturgico, nei quali egli aveva sempre dichiarato di non avere competenza, fino a spingersi a considerazioni di geopolitica e filosofia della storia, estranee al suo modo di pensare e di esprimersi. Due temi cari ai tradizionalisti, quali la liturgia e il Concilio Vaticano II, divennero il suo cavallo di battaglia, in un quadro di filosofia della storia dominato dall’idea di un “gran reset”, che attraverso la dittatura sanitaria e la vaccinazione di massa avrebbe portato allo sterminio dell’umanità. Papa Francesco, generalmente indicato come “Bergoglio” sarebbe uno degli artefici di questo piano [QUI, QUI e QUI].

A chi meglio lo conosceva, o a chi con maggior attenzione aveva seguito i suoi interventi, apparvero immediatamente chiare le divergenze tra le dichiarazioni di mons. Viganò del 2020-2021 e quelle del 2018-2019. Una domanda si impone con forza sempre maggiore: è veramente l’arcivescovo Viganò l’autore degli scritti dell’ultimo anno?

Occorre fare a questo punto una precisazione. L’utilizzazione di collaboratori per i propri discorsi non ha in sé nulla di deplorevole. I Papi e i Capi di Stato, si servono abitualmente dei cosiddetti “ghost writer” che compiono delle ricerche per loro conto o danno forma letteraria ad idee che essi indicano loro. Anche gli sportivi e gli uomini dello spettacolo affidano spesso a giornalisti i loro libri di impressioni o di memorie.

Ci sono però due rischi da tenere presenti. Innanzitutto, colui che firma un testo, che ne sia l’autore o no, se ne assume la responsabilità, sia per quanto riguarda la forma che il contenuto del discorso, e deve essere molto attento ad evitare che il suo pensiero e il suo linguaggio ne escano travisati.

In secondo luogo, chi si assume la paternità di un testo, dovrebbe dare le indicazioni generali a chi lo scrive, in modo che questi sia il suo braccio e non la sua mente. Sarebbe infatti pericoloso che fosse il “ghost-writer” a determinare la linea di pensiero del firmatario del testo. E ciò può accadere quando l’autore invisibile si sovrappone a quello visibile, a causa di una maggiore competenza o forza di personalità.

Ancora più pericolosa sarebbe la situazione se si creasse un rapporto di dipendenza tale, che l’autore visibile non potesse fare a meno di quello invisibile e questi, ad esempio, scomparisse, o volesse imporre contenuti inaccettabili, creando per l’autore visibile un drammatico “vuoto di comunicazione”.

La domanda che poniamo è dunque questa: l’analisi del linguaggio e dei contenuti dei documenti prodotti da mons. Viganò negli anni 2020-2021 rivela un autore diverso da quello degli anni 2018-2019. Ma se mons. Viganò non è l’autore dei suoi scritti, chi è che oggi si sostituisce a lui con la parola, e forse anche con il pensiero?

Non avremmo mai aperto il caso se tanti buoni tradizionalisti non presentassero come un quasi-magistero le dichiarazioni, non di mons. Viganò, ma del suo “doppio”. Un chiarimento è necessario per il bene della Chiesa e delle anime che hanno in mons. Carlo Maria Viganò un punto di riferimento, ma anche nell’interesse dell’Arcivescovo che tanto bene ha servito la Chiesa e può ancora continuare a servirla.

Roberto de Mattei

P.S. Mons. Carlo Maria Viganò è stato già privatamente avvertito, da più persone, dell’esistenza di questo problema, da oltre un anno a questa parte.

Nota a proposito di alcune dichiarazioni del professor Roberto de Mattei recentemente apparse su Corrispondenza Romana

Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male;
ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?
Gv 18, 23

Mi è stato segnalato l’articolo Caso Viganò: l’arcivescovo e il suo doppio, apparso ieri su Corrispondenza Romana, anche in inglese, a firma del prof. Roberto de Mattei.

Non posso non esprimere il mio stupore per le affermazioni che un illustre intellettuale cattolico, salutato come paladino della Tradizione e che non ha risparmiato alla Gerarchia critiche anche severe ma sempre ponderate e giuste, ha ritenuto di dover formulare nei miei riguardi. In realtà sarebbe stato sufficiente consultarmi a voce o per lettera, per dissipare i suoi sospetti e sentirsi rassicurare sul fatto che tutti i miei scritti, le mie dichiarazioni e le interviste rilasciate sono frutto di una maturazione di convinzioni delle quali rivendico con fierezza la piena paternità.

L’idea di un mio “doppio” dev’essere frutto di qualche consigliere cui improvvidamente il prof. de Mattei ha prestato fede, senza accorgersi che così facendo si è esposto alla pubblica smentita di illazioni totalmente prive di fondamento e che, se mi è consentito, suonano anche poco caritatevoli nei miei riguardi. Colgo quindi l’occasione di questo suo articolo per smentirne le ardite e fantasiose tesi, rassicurando quanti hanno la bontà di leggermi e di ascoltarmi che non esiste nessun ghost writer, e che per grazia di Dio ho ancora il pieno possesso delle mie facoltà, non sono manipolato da nessuno e sono assolutamente determinato a proseguire la mia missione apostolica per la salvezza delle anime.

In altri tempi, de Mattei sarebbe stato orgoglioso di essere al mio fianco nella comune battaglia per la Verità cattolica, per la difesa dell’immutabile Magistero e della veneranda Liturgia tradizionale contro gli assalti dei Modernisti. Egli sarebbe probabilmente stato al mio fianco anche nella denuncia della frode pandemica e dell’intrinseca immoralità dei vaccini sperimentali prodotti con materiale fetale derivante da aborti.

I suoi recenti interventi – con il proprio nome o sotto pseudonimo – hanno dimostrato, non senza un vivo dolore, che se vi è un “doppio”, esso va cercato negli ultimi scritti del Professore; scritti che sembrano composti da un grigio funzionario di regime obbediente alla narrazione mainstream, e non dalla mente acuta e dalla fede genuina del de Mattei che conoscevo. Quantum mutatus ab illo.

+ Carlo Maria Viganò, Arcivescovo

22 giugno 2021
Paulini, Episcopi et Confessoris

Pietro Siffi

Caso Viganò, chi è il vero autore degli scritti di mons. Viganò?
di Emmanuele Barbieri e Roberto de Mattei
Corrispondenza Romana, 23 giugno 2021


Chi è il vero autore degli scritti dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò negli anni 2020-2021? Proviamo ad offrire una risposta alla domanda che abbiamo sollevato su Corrispondenza Romana iniziando da un metodo sicuro: l’analisi e la comparazione degli scritti con i testi di altri autori rintracciabili sul web. Ciò che in gergo scientifico si chiama ricerca stilometrica.

Ebbene, l’analisi degli elementi lessicali e stilistici ci conduce a un solo possibile autore: “Cesare Baronio”, o “Baronius”, creatore e autore, dal 2010 al 2020, del blog Opportune Importune.

“Cesare Baronio” è però a sua volta uno pseudonimo e il passo successivo sarà quello di cercare di svelarne l’identità.

Abbiamo condotto un’ampia analisi delle assonanze di stile e di contenuto tra i testi di Baronio e quello che chiameremo, da adesso, Viganò II, per distinguere i suoi scritti del 2020-2021 da quelli, ben diversi, del Viganò I, degli anni 2018-2019. Ci limitiamo, per ragioni di spazio a qualche esempio.

Comune a Baronio e a Viganò II è l’attribuzione ai progressisti dei termini “contro-chiesa”, “setta conciliare” (quiqui o “novatori” (quiqui).

Il Concilio Vaticano II è più volte definito da entrambi come un “idolo”. Per Baronio, finché «l’idolo conciliare non sarà abbattuto, assieme alla infausta memoria dei suoi artefici, sarà impossibile punirne i gran sacerdoti che assediano Roma da cinquant’anni» (10 gennaio 2013, qui). Anche Viganò II, nella sua recente Intervista sulla Liturgia definisce il Vaticano II un idolo e, come Baronio, stabilisce una equazione Vaticano II – Novus Ordo Missae.

Baronio e Viganò II, quando si riferiscono al Novus Ordo di Paolo VI, parlano sempre di «rito riformato» o «rito montiniano». Viganò II scrive che «gli artefici di quella liturgia» furono «prelati spesso in sospetto di appartenenza alla Massoneria, notoriamente progressisti» (qui; Baronio parla a sua volta di «un rito composto da prelati notoriamente progressisti e massoni» (25 novembre 2018, qui).

I libri della nuova liturgia, per Baronio sono «messali stampati la cui funzione era quella di canovaccio cui far riferimento per le edizioni nelle diverse lingue nazionali» (15 gennaio 2013, qui. Per Viganò II questi libri liturgici «sono pensati come un brogliaccio, un canovaccio alla mercé di attori più o meno talentuosi alla ricerca del plauso del pubblico» (Qui).

Per Baronio «l’offertorio scompare del tutto per far posto a una preghiera giudaica di sapore panteistico» (25 novembre 2018, quihttps://opportuneimportune.blogspot.com/2018/11/questa-o-quella-per-me-pari-sono-in.html); Viganò II la definisce questa preghiera «offertorio talmudico» (qui).

Secondo Viganò «la cosiddetta “casula gotica” nelle forme che hanno preceduto il Concilio, soprattutto in Francia, è diventata quella specie di poncho che dopo il Concilio ci è stato spacciato come recupero della forma originale», ma si tratta di «un falso storico oltre che liturgico» (qui). Baronio aveva scritto che: «la casula conciliare è un orrido poncho che nulla ha a che vedere con la planeta descritta da San Carlo Borromeo (Instructionum fabricae, 1557), che troviamo raffigurata in moltissimi affreschi, quadri, miniature e smalti sin dal Medioevo» (11 gennaio 2014, qui).

Viganò denuncia «i tentativi di rendere presentabile la liturgia riformata con operazioni di maquillage oggettivamente inutili» (qui). Baronio scrive che le «operazioni di maquillage rituale al Novus Ordo sono a nostro avviso destinate, nella maggior parte dei casi al più infelice naufragio» (15 gennaio 2013, qui).

Si potrebbe continuare all’infinito, ma ciò che più conta, al di là delle coincidenze verbali è il medesimo tono, che esprime una compiaciuta conoscenza liturgica, teologica e storica, che Baronio ha ostentato per dieci anni nel suo blog, ma che risulta totalmente assente dai due anni di interventi pubblici di Viganò I.

Ma chi si cela dietro lo pseudonimo di Cesare Baronio (1538-1607), il celebre cardinale e storico oratoriano, allievo di san Filippo Neri?

Si potrebbe dire che poco importa la soluzione del mistero, perché ciò che conta, non è “chi” l’ha detto, ma “cosa” viene detto. Il problema però nasce proprio da alcune affermazioni stravaganti di Baronio-Viganò II, soprattutto in materia di escatologia e “Gran Reset”, che pongono inquietanti interrogativi sulla vera identità del consulente teologico-liturgico dell’arcivescovo milanese.

Purtroppo, dietro lo pseudonimo di Cesare Baronio sembra celarsi, non un teologo di sicura dottrina, ma un personaggio non privo di intelligenza e di cultura ecclesiastica, ma mancante di quella coerenza ed integrità che rende affidabile un collaboratore. Un personaggio che nella sua vita ha assunto, e continua ad assumere molteplici identità e che con l’ultima identità assunta, quella dell’arcivescovo Viganò, realizza ciò che forse ha sempre desiderato: presentarsi come un uomo di Chiesa, senza gli obblighi pastorali e morali che questa alta vocazione comporta.

A questo punto non ci resta che fare il nome del personaggio, ricorrendo non a voci generiche ma a documenti e fonti, da noi controllate: il nome dell’“eminentissimo Cesare Baronio” è Pietro Siffi.

Ma chi è costui?

Dobbiamo partire da una data specifica. L’8 maggio 2020, Mons. Viganò lanciò un appello contro il “Nuovo Ordine Mondiale”, denunciando «la nuova torre di Babele, il castello di carte del Covid, la farsa dei vaccini, la frode del Great Reset», a cui apposero le loro firme i cardinali Gerhard Müller Giuseppe Zen Zekiun e Robert Sarah, che l’ha poi ritirata. Questo appello fu il primo documento a suscitare forti interrogativi nel mondo cattolico a lui vicino, fino a spingere alcuni suoi amici ed estimatori a non sottoscriverlo.

Quel che fin da allora si seppe è che Mons. Viganò si rivolse a un suo collaboratore per predisporre la pubblicazione e la sottoscrizione dell’appello. In quel mese di maggio il collaboratore inviò a gruppi e personalità del mondo cattolico un avviso «IMPORTANTE E URGENTE!»  in cui, «su richiesta di Sua Eccellenza Mons. Viganò», rivolgeva una richiesta di adesioni al documento, da inviare a suo email personale.

Ebbene, nell’avviso di maggio 2020, il nome e l’e-mail del collaboratore di Mons. Viganò incaricato della raccolta delle firme era quello di Pietro Siffi, un personaggio conosciuto e discusso nel mondo tradizionalista italiano.

Pietro Siffi è nato a Venezia l’11 settembre 1969. Riceve la Cresima nella Parrocchia S. Zaccaria e Atanasio il 22 maggio 1984. Dopo gli studi al Liceo “Marco Foscarini” di Venezia, entra nella Fraternità Sacerdotale San Pio X dove nel Seminario “Saint Curé d’Ars”, a Flavigny sur Ozerain (Francia), il 1° febbraio 1990 riceve la Cresima “sub conditione”. Due giorni dopo riceve a Flavigny la tonsura, divenendo membro della FSSPX.  Ma dopo qualche tempo lascia, o è costretto a lasciare, la Fraternità. Non ne conosciamo i motivi, così come non sappiamo quali sono i motivi che qualche anno dopo lo spingono a lasciare l’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote di Gricigliano dove entra (ed esce) come seminarista.

Dal 1990 al 1994 Siffi frequenta l’Università della Sorbona (qui, poi, per qualche tempo se ne perdono le tracce, anche se qualcuno lo ritiene autore di un imbarazzante libro pubblicato sotto pseudonimo.

Di sicuro Pietro Siffi continua a coltivare i suoi interessi ecclesiastici. Nel 2007, per i tipi di Marietti Editore, cura la riedizione del Compendio di Liturgia Pratica di padre Ludovico Trimeloni con la prefazione del cardinale Darío Castrillón Hoyos, presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei.

Nel Compendio di Trimeloni, Siffi si presenta come Presidente dell’Archivum Liturgicum di Ferrara. Il 14 marzo 2007 dal blog Archivum liturgicum, “Baronio” o “Baronius” annuncia che di lì a poco uscirà il Compendio di liturgia pratica (qui), ma il primo annuncio della pubblicazione dell’opera risale addirittura al 25 settembre 2006 e Siffi è presentato come presidente dell’Archivum Liturgicum Sacrosanctae Romanae Ecclesiae

Già si annuncia che Benedetto XVI liberalizzerà l’antica liturgia romana . Evidentemente Baronio/Siffi ha buone informazioni dal mondo tradizionale e vaticano e nel 2007 pubblica un libro sulla Messa di San Pio V (quiqui).

Un articolo di Roberto Beretta su Avvenire del 25 gennaio 2008 recensisce in termini tutt’altro che elogiativi la terza edizione del Compendio di liturgia pratica di Trimeloni-Siffi, giunto alla seconda ristampa.  Avvenire del 29 gennaio 2008 ospita la replica di Siffi che si presenta come “Pietro Siffi degli Ordelaffi conte di Sassorosso” (vedi qui). In realtà nel Libro d’oro della nobiltà italiana pubblicato dal Collegio Araldico, Edizioni 1986-1989 e successive, non risulta l’esistenza di nessun conte Siffi degli Ordelaffi.

Siffi non è solo uno scrittore e liturgista tradizionalista. È un imprenditore. Nel 2010 crea a Ferrara “Ars Regia” (qui), che presenta in maniera “morbida” e seducente, come «uno studio di interior design specializzato nella proposta di complementi d’arredo di prestigio e di esclusivi tessuti d’arte». «I nostri complementi d’arredo permetteranno di dare un tocco di sottile eleganza e di charme alla propria dimora o ad un locale alla moda, differenziandosi dalle scontate proposte di grande diffusione e conferendogli un comfort decisamente esclusivo e glamour, dove con questo termine non si intende la semplice bellezza ma un atteggiamento, una sensazione, uno stato d’animo, con tutte le implicazioni di eleganza, sensualità e seduzione. L’immagine alla moda, il fascino colto ed evocativo dell’Oriente e dell’India, il lusso immaginifico e inconfondibile che richiama le famose location della Costa Azzurra, della Grecia, della Spagna, o della California sono tutti elementi che possono migliorare radicalmente l’aspetto di una residenza privata, un locale sul mare, un lounge bar: passione per l’abitare e per il vivere, per il calore domestico ma anche per l’estroso fervore mondano».

Nel corso della recita dell’Angelus del 10 ottobre 2010, appare un nuovo stemma papale di Benedetto XVI, ornato della tiara secondo l’antico uso. Siffi, creatore dello stemma, commenta: «Questo stemma, interamente ricamato a mano, è stato realizzato dall’atelier ferrarese di paramenti sacri Ars Regia e ripropone lo scudo con gli emblemi del Pontefice e il Pallio ornato di croci rosse. (…)  La differenza rispetto al modello precedente – che alcuni attribuiscono al Cardinal Montezemolo – è che questo stemma reca nuovamente il triregno – la triplice corona del Sommo Pontefice – anziché la mitria, ripristinando l’antico uso, cui non aveva rinunciato nemmeno Giovanni Paolo II».

Nell’Angelus del 24 ottobre 2010 lo stemma misteriosamente apparso, altrettanto misteriosamente scomparve. Qui il commento di Baronio, che, come molti sanno è lo pseudonimo scelto da Pietro Siffi per continuare, sul nuovo blog Opportune Importune, inaugurato nel 2010, le sue dotte disquisizioni in campo teologico e liturgico.

Baronio difende Pietro Siffi e Ars Regia, poi replica ad alcuni con stile ampolloso e un po’ effeminato: «Mi pare che su Pietro Siffi gravi una sorta di ostracismo molto ipocrita, alimentato non tanto dai concorrenti oggi più in auge, quanto da alcuni meschini personaggi azzimati e démodé, che trascorrono il proprio tempo a denigrare la vita altrui, non avendone una propria. (…) La cosa sconcertante è che queste conventicole di teatranti organizzano pontificali in sedicesimo, dipanando metri e metri di seta marezzata tra il tinello e la camera da letto, e non si peritano di ostentare anche su internet tristissime camerucce debordanti di pizzi e merletti, mediocri salottini anni Venti con gli strapuntini, i tappetini, il quadretto del Duodecimo benedicente, un cappello prelatizio con fioccature da tenda, spille, gemelli fatti con i camei di mammina, occhiali d’oro, grammofoni e tutto il repertorio del trovarobato da amica di nonna Speranza.
(…) Credo che prima o poi Siffi o chi per lui si stancheranno di sopportare questi continui attacchi e inizieranno a render pan per focaccia – come si suol dire – sbugiardando una volta per tutte questi svirilizzati borghesucci senz’arte né parte, tanto ricchi di velleità snob quanto poveri di senso della misura. E sono certo che se si scoprissero certi altarini, se si portassero alla luce certe scomode verità, forse la finirebbero di dar noia al prossimo…» (vedi qui).

Nel 2011 Siffi fonda con Fabio Zardi un atelier di planning e decorazione che nel 2019 è diviso in due aziende: Fabio si occupa di floral design e decorazione, Pietro si dedica a planning e organizzazione di eventi anche matrimoni (vedi qui).

Siffi passa con disinvoltura dall’attività culturale e letteraria alla liturgia, dagli arredi sacri all’organizzazione di matrimoni ed è su quest’ultimo campo che scopriamo una sconcertante rivelazione: il poliedrico personaggio organizza anche matrimoni gay o, come si dice in gergo, “gay wedding”!

Sul sito di Pietro Siffi troviamo, tra l’altro, il “Project tag: matrimonio gay e il servizio del “matrimonio” di due uomini, Arman e Dylan, nell’isola greca di Santorini con tanto di video.

L’agenzia di viaggi omosessuali Travelgay definisce Santorini come «una splendida isola, calda e ospitale situata nel Mar Egeo, dopo Mykonos senza dubbio la più apprezzata dal mercato Italiano e amata molto anche dal mercato gay e lesbo» (qui).

Anche il socio o ex socio di Siffi, Fabio Zardi si occupa di gay wedding. Curioso notare che il numero di “phone” di Zardi (qui) coincide con quello di Siffi (qui).

Il ghost-writer di mons. Viganò, l’arcivescovo che ha sempre giustamente denunciato l’esistenza di lobby gay all’interno della Chiesa (qui; qui ), è dunque un personaggio gay-friendly?

In questo caso, l’arcivescovo Viganò, che è un rispettabilissimo prelato, rischia di perdere la sua credibilità e deve rendersi conto che potrà riacquistarla solo quando muterà il tono e i contenuti dei suoi interventi pubblici, incautamente affidati ad un controverso collaboratore. Non si può separare ciò che pubblicamente appare sotto il nome di mons. Viganò dall’identità di chi sembra essere l’autore dei suoi scritti.

Chiediamo a questo punto a mons. Viganò: è vero o no che egli si serve, in tutto o in parte, dell’aiuto di Pietro Siffi?  Mons. Viganò era a conoscenza delle molteplici attività di Siffi?

Ma la domanda più importante che gli rivolgiamo è questa: Mons. Viganò è disposto a prendere pubblicamente le distanze dal personaggio che noi suggeriamo possa essere il suo ghost-writer?

Mons. Viganò è un uomo forse temerario, ma certamente leale. Gli chiediamo di dire la verità, perché la verità riscatta da qualsiasi errore, mentre la menzogna carica l’errore, anche incolpevole, di una grave responsabilità morale.

Per quanto riguarda Pietro Siffi non abbiamo voluto entrare nella sua vita privata, che a lui solo appartiene, ma ci siamo limitati a far conoscere ciò che di lui è pubblicamente noto, anche sotto diverse identità e travestimenti. Anche a lui chiediamo di assumersi la sua responsabilità, misurandosi con il suo vero nome, nel dibattito intellettuale del nostro tempo, a cui ha dato e potrà continuare a dare il suo contributo.

Da parte nostra ci siamo mossi sulla scia delle raccomandazioni che san Pio X dava ai giornalisti e Leone XIII dava agli storici: la Chiesa non ha mai paura della Verità. (Emmanuele Barbieri-Roberto de Mattei)

Viganò, De Mattei, Moynihan. Il senso profondo di un’accusa improbabile
di Marco Tosatti
Stilum Curiae, 26 giugno 2021


«Non mi occuperei più della divertente commedia del Viganò Uno e Trino (certo: perché non c’è mica solo Pietro Siffi! Quando l’arcivescovo pubblicò la prima clamorosa denuncia sul caso McCarrick, ci furono “colleghi” che scrissero che il sottoscritto ne era l’autore…) se non mi avesse colpito l’analisi che Robert Moynihan ne fa in una delle sue lettere. Ne ho tradotto solo una parte, quella che mi sembrava più interessante nell’analisi; in particolare l’accenno al fatto che più ci si avvicina al bersaglio, più è intenso il fuoco della contraerea» (Marco Tosatti).

De Mattei ha appena pubblicato un’accusa sorprendente: che l’Arcivescovo Viganò non è il vero autore di molte delle lettere che ha pubblicato nell’ultimo anno, ma che sono state scritte da uno o più “falsi Viganò”, sebbene con la benedizione di Viganò (perché Viganò firma le lettere), e De Mattei ha chiesto un chiarimento della questione.
Viganò ha appena risposto, dicendo che l’accusa è totalmente, assolutamente falsa. Tutto ciò che ha firmato lo ha scritto di suo pugno, dice.
Sulla base della mia conoscenza dell’arcivescovo – ho trascorso molti giorni con lui nel 2018, ho scritto un libro su quelle conversazioni e sono stato regolarmente in contatto con lui da allora, compreso parlare con lui su questa questione per telefono proprio ieri – il mio giudizio è che l’arcivescovo sta dicendo la verità.
C’è solo un arcivescovo Viganò.
Legge, ricerca, riflette e scrive. E poi firma le sue lettere. Sono sue: e se qualche errore in esse fosse portato alla sua attenzione, sarebbe disposto, come Sant’Agostino alla fine della sua vita, a stampare una ritrattazione.
Non ha un “doppio”, nonostante ciò che il dottor De Mattei può credere.
“La questione che poniamo è dunque questa: l’analisi del linguaggio e del contenuto dei documenti prodotti da Mons. Viganò negli anni 2020-2021 rivela un autore diverso da quello degli anni 2018-2019. Ma se l’arcivescovo Viganò non è l’autore dei suoi scritti, chi ora sta riempiendo le sue parole, e forse anche i suoi pensieri? Non avremmo mai aperto il caso se tanti bravi tradizionalisti non presentassero come un quasi-magistero le dichiarazioni, non di Mons. Viganò, ma del suo ‘doppio’.” -Roberto De Mattei, 21 giugno, in un articolo pubblicato sul suo sito web, Corrispondenza Romana.
Il Dr. De Mattei – un importante intellettuale cattolico generalmente conservatore in Italia che è stato amico dell’Arcivescovo Viganò per molti anni – ha fatto un’affermazione sorprendente due giorni fa che è diventata virale.
Che ci sono “due Viganò”.
De Mattei ha accusato Viganò di avere un “doppio”, una “controfigura”, una sorta di “falso Viganò” che – e questa è l’accusa centrale di De Mattei – ha scritto molte delle “lettere di Viganò” nell’ultimo anno circa che Viganò ha firmato.(!)
De Mattei dice alla fine del suo saggio che Viganò è stato contattato privatamente e confrontato con questa accusa.
Evidentemente, Viganò assicurò a De Mattei che non c’era verità nell’accusa.
Perché allora il dottor De Mattei ha lanciato questa accusa pubblica, se Viganò gli ha già detto (come sembra) che non è vero?
Evidentemente, perché le questioni che Viganò ha toccato nell’ultimo anno (il “reset globale”, le chiusure nazionali, il virus, le varie vaccinazioni, tutte queste questioni sociali e politiche, ma anche la crescente attenzione dell’arcivescovo sulla bellezza e santità della vecchia Messa, e il suo far risalire un certo rifiuto dell’insegnamento cattolico tradizionale (che potrebbe essere definito “modernismo”) agli anni ’60, e prima, piuttosto che vederlo solo negli anni di questo attuale pontificato) sono molto inquietanti per alcuni – più inquietanti delle rivelazioni di Viganò sulla corruzione e l’insabbiamento nella Curia Romana, che erano il peso principale delle prime lettere di Viganò, e che non hanno mai provocato il suggerimento che Viganò avesse un doppio.
In altre parole, come si dice spesso popolarmente, “Quando si è sopra il bersaglio, il fuoco della contraerea si intensifica”.
Viganò ha toccato un nervo scoperto, e uno dei suoi vecchi amici ha ora messo in pubblico un articolo che inevitabilmente lascerà una traccia di dubbio, perché molti diranno: “Beh, alcuni pensano che ci siano due Viganò…”.
In questo senso, un certo danno alla reputazione e alla credibilità dell’arcivescovo è stato fatto dalla circolazione pubblica di questa accusa.
Quindi, di nuovo, perché?
Parte della risposta potrebbe risiedere nel fatto che poche settimane fa il Dr. De Mattei – come Viganò nota nella sua risposta all’accusa qui sotto – è uscito a sostegno dell’uso mondiale delle iniezioni di emergenza attualmente disponibili (chiamate “vaccinazioni” anche se non sono vaccini) come un modo per arginare la pandemia. L’abbraccio di De Mattei a questa posizione fu abbastanza influente per altri cattolici conservatori.
De Mattei sosteneva che tale uso era morale anche se il materiale iniettato era in qualche modo derivato dall’uso di tessuto fetale abortito, qualcosa che l’Arcivescovo Viganò ha ripetutamente denunciato come immorale.
De Mattei ha chiesto: “1) È moralmente lecito usare vaccini contro il COVID-19 che utilizzano linee cellulari provenienti da feti abortiti?” E ha risposto: “C’è… una risposta che è più facilmente accessibile al cattolico di buon senso, ed è questa: è lecito essere vaccinati [anche se il vaccino è derivato da cellule di feti umani abortiti] perché la Chiesa lo assicura, attraverso il suo organo dottrinale più autorevole, la Congregazione per la Dottrina della Fede”.
È in quel momento che la prima “spaccatura” tra la posizione del dottor De Mattei diverge dalla posizione dell’arcivescovo Viganò.
Quindi questo è il punto: la battaglia sul controllo della narrazione nel nostro tempo si è appena intensificata.

Free Webcam Girls
151.11.48.50