Trattativa Stato-Mafia, “papello”, stragi di mafia. Verità di cui non si deve parlare. #restiamoliberi per accogliere la verità. “Report” torna stasera alle 21.20 su RAI 3

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Gli ex ufficiali dei Carabinieri Mori e De Donno hanno scritto una lettera al Capo dello Stato Mattarella e la nota è stato anche depositato al processo Trattativa Stato-Maffia di Palermo. La puntata di “Report della scorsa settimana avrebbe “strumentalizzato il servizio pubblico per influenzare l’opinione pubblica”. Ne sono convinti i legali del Generale Mario Mori e del Colonnello Giuseppe De Donno, che hanno scritto una lettera al Capo dello Stato Sergio Mattarella. La lettera oggi è stata depositata anche al processo d’appello sulla Trattativa Stato-Mafia, che vede imputati i due ex ufficiali dei carabinieri per minaccia a corpo politico dello Stato.

I due legali, Basilio Milio, che difende Mori, e Francesco Romito, che difende De Donno, scrivono nella lettera che “Report” avrebbe “anche e soprattutto sotto il profilo del rispetto del diritto di difesa e dell’insuperabile principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza, esorbitato dalle finalità di una seria ed obiettiva informazione, finendo oggettivamente per strumentalizzare il servizio pubblico al fine di  influenzare l’opinione pubblica tramite la diffusione di notizie segnate da incompletezza e selezione unidirezionale dei documenti e delle testimonianze disponibili”.

La lettera è stata inviata il 9 gennaio inoltre a David Ermini, Vicepresidente del CSM; a Nicola Morra, Presidente della Commissione nazionale antimafia; a Alberto Barachini, Presidente della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi; e a Marcello Foa, Presidente della Rai. Secondo i due legali, che hanno chiesto al Presidente della Corte d’assise d’appello Angelo Pellino, di acquisire il documento, o, le sentenze di “assoluzione” sono state del tutto ignorate dalla trasmissione “Report”, “nella quale, quindi, sono stati rappresentati al pubblico televisivo, come certi ed acquisiti – si legge nella lettera -, i risultati di un’inchiesta giornalistica su presunti rapporti tra ‘cosa nostra’ ed esponenti politici, della massoneria e delle istituzioni”.

Secondo i due legali, Milio e Romito, l’inchiesta  giornalistica, “con un approccio rivelatosi del tutto deficiente dei  necessari requisiti di completezza ed imparzialità, indica, come  certamente avvenuta una trattativa tra uomini del Ros e Cosa nostra nonostante le menzionate pronunce l’abbiano esclusa, affrontando vicende oggetto di un delicato processo in corso, così determinando oggettivamente una indebita interferenza sullo stesso processo, anche attraverso interviste rilasciate dai magistrati inquirenti rappresentanti l’accusa nel processo del quale si sta svolgendo il II grado”.

Nel 2018 la Corte d’Assise di Palermo aveva condannato a 28 anni di carcere il boss Leoluca Bagarella, a 12 anni l’ex Senatore Marcello Dell’Utri e gli ex Carabinieri del Ros Mario Mori e Antonio Subranni. Fu condannato anche Antonino Cinà, ex medico e fedelissimo del boss Totò Riina e a 8 anni l’ex Carabiniere Giuseppe De Donno.

Certamente è doveroso sempre sottolineare, che le accuse o le condanne di primo e anche di secondo grado, devono essere confermate in Cassazione in via definitiva.

Comunque, ci sembra assurdo che un giornalista, che racconta fatti, venga accusato di condizionare l’opinione pubblica. Senz’altro, le menti raffinatissime hanno paura dei 3 milioni di italiani che hanno seguito la puntata Report e che stanno capendo bene tutto.

Di per sé la verità occultata è molto difficile da scoprire, ma nonostante le enormi difficoltà vi sono donne e uomini coraggiosi e determinati che a costo della loro stessa vita questa verità difficile da individuare la trovano. Grazie al loro estenuante e infaticabile impegno, la verità emerge. Ma c’è chi pensa che di una “certa” verità non bisogna parlare, come il sole che sorge la mattina di cui tutti abbiamo contezza, ma di cui non dovremmo parlare.

Il concetto più inflazionato per nascondere le verità di mafia, e il più evidente, è il presunto “condizionamento dell’opinione pubblica”, che a causa della notizia di verità la sola divulgazione non fosse del tutto opportuna, giustificata o addirittura “legale”. Negli ultimi tempi è chiaro il segnale, che le menti raffinatissime vogliono far arrivare, e cioè che la verità può anche emergere, ma non deve essere divulgata, pena la delegittimazione a vario titolo.

Il video: Trattativa Stato-Mafia, lo sfogo di Nino Di Matteo: “Dalla sentenza del 2018 una verità di cui non si deve parlare”.

In tema di processi, come quello sulla Trattativa Stato-Mafia, il pubblico ministero e membro del CSM Nino Di Matteo, nel 2018 ha commentato la sentenza di primo grado, che vedeva condannati gli imputati per i quali è stato confermato, nel primo grado di giudizio, che gli stessi hanno posto in essere un dialogo con l’organizzazione mafiosa Cosa Nostra. “Dopo la sentenza, per due giorni, stampa e politica ne hanno parlato. Dopo un silenzio assordante per una verità di cui non si doveva parlare“. Di Matteo, a Milano per un evento organizzato da Movimento 5 Stelle e Agende Rosse, si sfoga così dopo che nell’aprile del 2018 la Corte d’Assise di Palermo aveva emesso la sentenza di primo grado. “Quella sentenza sbatteva in faccia una verità scomoda e cioè che – ha spiegato Di Matteo – mentre saltavano in aria magistrati e poliziotti una parte dello Stato trattava, che non evitò altro sangue ma ne provocò ulteriore e che molti uomini dello Stato avevano taciuto”. Dopo tale commento – si consiglia si ascoltare il breve spezzone per intero – Di Mattero veniva delegittimato dal CSM.

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