Apre il “cantiere della famiglia”. E cristiani e musulmani fanno prove di comunione

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Si comincia con il “cantiere della famiglia”, ma già si è aperti a nuovi orizzonti, ad altri cantieri, andando su, fino a quello della libertà religiosa. Si parte da Brescia, lì dove Hina, una ragazza pakistana, nel 2006 fu uccisa dal padre perché questa non voleva adeguarsi alla sua cultura d’origine, ed è già un punto di partenza simbolica. Ma poi ci sarà un incontro per il centro e uno per il Sud Italia, e infine, a maggio, un happening a Castel Gandolfo, per condividere le esperienze. Certo che il laboratorio “Percorsi comuni per la Famiglia” sembra uno di quelli eventi destinati a lasciare il segno, se non altro perché è il primo di questo genere in Italia. Organizzato dal Movimento dei Focolari insieme a un gruppo di sigle associative musulmane (l’Unione delle Comunità Islamiche d’Italia, il Consiglio delle Relazioni Islamiche Italiane, i Giovani Musulmani d’Italia e l’Associazione Giovani Donne Musulmane d’Italia), si prevede radunerà almeno mille persone (ma si pensa si arriverà almeno a duemila) al PalaBrescia la prossima domenica.

Spesso si è parlato di “una alleanza tra le religioni monoteiste” per la difesa della vita e per la promozione della famiglia. Ma le iniziative si fanno largo piano, partendo e propagandandosi dalle comunità e sul territorio fino ad arrivare ai governi, secondo quel principio della sussidiarietà che fu per la prima volta teorizzato da Pio XI nell’enciclica Quadragesimo Anno. Così il movimento dei Focolari e varie sigle islamiche hanno cominciato da tempo a lavorare a percorsi di integrazione sul territorio, seguendo il carisma dell’unità. Poi, nel 2010, c’è stata una riunione a Loppiano, la cittadella del Movimento dei Focolari, in cui si sono raccolte le varie esperienze di dialogo che erano state maturate negli anni. E alla fine si è deciso di rendere concrete e visibili quelle esperienze.

“L’incontro del 25 novembre – dice Roberto Catalano, responsabile internazionale  del dialogo interreligioso per il Movimento dei Focolari – sarà tra famiglie, prima che tra religioni. Un incontro per creare tessuto sociale. In fondo, l’Italia è un cantiere di multiculturalismo particolare, diverso da altri Paesi europei. C’è un problema di integrazione a livello normativo, ma anche un grosso patrimonio di integrazione sul territorio”.

Perché cominciare dalla famiglia? “Perché – afferma l’imam Kamel Layachi, presidente della Comunità islamica del Veneto – è il tempo di passare dal tempo della protesta al tempo delle proposte”. E le proposte possono esserci solo se si parte da “valori condivisi”. “Nessuno – afferma Layachi – vuole imporre la sua visione all’altro, ma impegnarsi a dare anima e corpo ai valori condivisi”. I temi: la sacralità della vita, il rispetto per la vecchiaia, la promozione della famiglia. E quando viene obiettato che in fondo la famiglia islamica è differente, Youssef Sbai, imam di Massa Carrara e vicepresidente nazionale dell’Ucoii, afferma: “Ho una famiglia e dei figli anche io, ho incontrato famiglie in tutta Italia, sia cristiane che musulmane. I problemi sono sempre tre: la casa, il lavoro, le spese. Non c’è differenza”.

E allora è il tempo di cominciare un percorso di reciproco ascolto, di comprensione dell’altro, come tra l’altro è stato richiesto anche nel comunicato finale dell’8 incontro tra il Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso e il Centro per il dialogo interreligioso di Cultura Islamica, che si è tenuto a Roma dal 19 al 21 novembre.

Per l’evento del 25 novembre, sono previste circa 2 mila persone, provenienti da 50 città del Nord Italia. “La giornata di Brescia – afferma l’imam Layachi – punta a “diffondere un clima di fiducia fondato sul mutuo ascolto e a costruire un dialogo su cantieri concreti. Siamo partiti dalla famiglia perché lo abbiamo considerato il tema più urgente. Ma se si crea un clima di fiducia reciproco si può andare lontano, aprire nuovi cantieri, fino ad un cantiere sulla libertà religiosa nel mondo. Se c’è un clima di fiducia reciproco, come diceva Chiara Lubich, una città non basta”.

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