L’ospedale, luogo di evangelizzazione. Che nasce dalla carità cristiana

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È tra il 1600 e il 1700 che il complesso ospedaliero di Santo Spirito in Sassia, nei pressi di San Pietro, vive uno dei periodi migliori. Vengono costruite nuove corsie (una addirittura progettata da Bernini), vengono realizzati i portali monumentali. E il complesso fondato dai Sassoni nel IX secolo diventa un centro all’avanguardia per l’assistenza dei malati, uno dei primissimi a dare un letto singolo ad ogni ammalato e a pulire e cambiare le lenzuola ogni giorno. Una rarità, per i tempi. In questo modo, gli ospedali cristiani prestavano assistenza agli ammalati. Ed è da questa esperienza di carità tutta cristiana che si può a ben diritto far risalire la rete ospedaliera. Anche per questo “L’ospedale è un luogo di evangelizzazione”, come recita il titolo della XXVIII conferenza internazionale del Pontificio Consiglio per la Pastorale Sanitaria che inizia oggi.

 

A chi nega le radici cristiane dell’Europa, basterebbe far notare la rete degli ospedali europei, che si dipana e si espande durante il Medioevo. E’ in quel periodo che gli ospedali nascono come luoghi di accoglienza per pellegrini, viaggiatori, malati, orfani, vecchi, vedove, ma soprattutto per i poveri, intesi nel senso che il termine pauper aveva nel Medioevo, vale a dire come individuo bisognoso di aiuto e protezione. E in quei tempi i fratres, le sorores, i conversi e gli oblati e tutti quelli che formarono comunità ospedaliere più o meno grandi sono inseriti nella categoria del laicus religiosus coniata da Enrico da Susa nel XIII secolo. Sono i laici che si consacrano a Dio senza necessariamente abbracciare una regola, anche se alcuni di loro entrano poi in veri e propri ordini ospedalieri, come gli ordini del Tempio, di San Giovanni Gerosolimitano, dei Cavalieri Teutonici, degli Antoniani e di Santo Spirito in Sassia.

Basterebbe solo questo per comprendere quanto di cristiano ci sia nella rete ospedaliera che  solo dopo l’Illuminismo – e l’introduzione di criteri più basati sulla scienza positiva nella cura dei malati, le nuove specializzazione, la divisione in padiglioni,ma anche un approccio sempre più asettico al malato – ha assunto le modalità attuali. Modalità che – tra l’altro – san Giuseppe Moscati, con spirito cristiano, affrontava mettendo sempre al primo posto l’approccio con la persona umana. Monsignor Zygmunt Zimowki, presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale Sanitaria, sostiene che oggi sono circa 120 mila le strutture sanitarie di ispirazione cattolica nel mondo. Dati più precisi erano stati forniti nel 2010, alle celebrazioni per il 25esimo anniversario del Pontificio Consiglio. In quell’occasione, fu annunciato che sono 117 mila le strutture ospedaliere della Chiesa cattolica nel mondo, il 26 per cento del totale. In questo conteggio, sono inclusi ospedali, cliniche, orfanotrofi, ma anche 18 mila farmacie e 512 lebbrosari. Un lavoro in funzione dell’altro e dell’ultimo che è sempre stata una delle attività fondamentali della Chiesa. Checché se ne voglia dire.

La vulgata comune ha fatto sì che si pensasse che la Chiesa non dava importanza alle cure mediche. Di più. Che agli uomini di Chiesa non fosse permessa la pratica della medicina né della ricerca. E che il fatto che loro credessero ai miracoli facesse sì che non credessero nella ricerca scientifica. In realtà, quello che veniva scritto nei canoni del Concilio Lateranense II (1139) sulla pratica della medicina da parte dei chierici incentrava il problema sull’avidità, il lucro, e la ricerca di gloria (è in quello stesso Concilio che si condanna la simonia e l’usura), non certo contro la pratica della medicina in sé. Di più: non ci si riferiva a tutto il clero, ma solo ai canonici regolari. Un divieto che c’è anche nei canoni del Concilio Lateranense IV (1215), ma sempre riferito solo a preti, diaconi e suddiaconi. Eppure, già nel Medioevo, molti studenti all’interno delle scuole di medicina erano chierici, e chierici furono tre grandissimi maestri della chirurgia medievale, Guglielmo da Saliceto, Lanfranco da Milano e Guy de Chauliac, Quest’ultimo è considerato ormai da tutti gli storici della medicina uno dei più importanti chirurghi di tutti i tempi.

Ma come nascono i primi ospedali? Sono Fabiola e Marcella, due facoltose donne romane, ad istituirli, nel IV secolo. Una tradizione che prosegue, si diffonde con il monachesimo, si propaga in tutto il Medioevo, grazie anche a moltissime donazioni, che facevano degli ospedali non solo luoghi funzionali, ma belli e vivibili. E l’opera della Chiesa è continuata anche nei tempi moderni: Bologna, Padova, Roma sono stati per secoli, nel campo della Medicina, punti di riferimento in tutta Italia.

Questa cura per il prossimo e il povero poteva nascere solo in ambito cristiano. Vero, la medicina nasce in Grecia. Ma Platone stesso sosteneva che “sono degni di cura solo i cittadini liberi, e soprattutto quelli che possono guarire sicuramente”. Questo pensiero fu trasmesso nel mondo romano. Ed è evidente come non ci fossero proprio le basi filosofiche per creare strutture ospedaliere.

Con il cristianesimo tutto cambia. Cristo si incarna, corpo e anima non sono più considerati come l’uno prigione dell’altra, viene introdotto il concetto di persona e di prossimo. Un concetto che si contrappone fortemente al concetto moderno di umanità (e infatti la Chiesa parla di umanesimo). Scriveva Dostoevskij nell’Idiota che “nell’amore astratto per l’umanità, quasi sempre si finisce per amare solo se stessi”. Ed è quello che succede, in molti casi, oggi.

Nel momento, però, che il pensiero cristiano dà nuova dignità al corpo. ecco che il mondo in qualche modo si capovolge. Ed è grazie a questo nuovo punto di vista che la medicina si può sviluppare finalmente. Si parte dal principio di amore per il prossimo, e dunque la medicina è dedizione per il sofferente da curare. E questa dedizione si trasporta in ambito scientifico, perché è dall’amore per il prossimo, dalla dedizione per l’altro, che si fa ricerca su come curare malattie. Anche su quelle malattie di cui nessuno si occupa. Ad esempio, l’unico istituto di ricerca dedicato completamente alla Sindrome di Down è in Francia, ed è l’istituto Jerome Lejeune. Prende il nome dallo scienziato che scoprì le cause della sindrome di Down, e che è stato anche il primo presidente della Pontificia Accademia della Vita. Non c’è un altro istituto simile. E poi basterebbe citare i moltissimi istituti cattolici che si impegnano nella ricerca per combattere malattie rarissime, laddove nessuna casa farmaceutica trova conveniente investire nella ricerca.

E’ questa la vocazione cattolica nella cura dei malati. “Abbiamo provato ad aggiornare i dati – afferma mons. Jean-Marie Mupendawatu -, ma ogni giorno, forse ogni ora mentre stiamo parlando nasce un dispensario, una casa per i bambini, un ospedale, un ambulatorio. Lo Spirito Santo fa un lavoro che ancora ci sfugge. E per noi è pure difficile dire esattamente quante persone arrivano in un centro ospedaliero, e lo frequentano. In Senegal abbiamo un solo ospedale cattolico che è il Fatebenefratelli. Lì 99,9 per cento degli operatori sanitari non sono cattolici. In Indonesia i cattolici sono dieci milioni, gli amici musulmani sono 100 milioni, e abbiamo 30 milioni tra induisti e buddhisti. E lì, la Chiesa Cattolica ha oltre 400 strutture e istituzioni sanitarie, che vanno dal piccolo dispensario a centri sofisticati”.

Uno sforzo che sottolinea un punto fondamentale. E cioè che il ruolo della medicina non è solo di guarire, ma anche di assistere. Scriveva sempre San Giuseppe Moscati: “Ricordatevi che non solo del corpo vi dovete occupare, ma delle anime con il consiglio, e scendendo allo spirito, anziché con le fredde prescrizioni da inviare al farmacista”. Sarà forse un caso che, senza amore e senza speranza, molti siano tentati di lasciarsi morire o persino di abortire?

Così, mentre l’aborto è entrato in maniera strisciante tra i temi della XXI sessione del Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu, mentre si spinge sempre più verso un’eutanasia che sembra avere la forma della disperazione più che dell’autodeterminazione, ci sono moltissimi esempi di strutture cattoliche che non si limitano a guarire, ma curano. E, nonostante questo – racconta mons. Zimowski – “a volte è successo che a causa di pressioni politiche in alcune strutture sanitarie cattoliche non si è seguito la dottrina cattolica, per questo ci possono essere stati aborti nei nosocomi cattolici”. E subito torna alla mente anche la questione dei Consultori cattolici tedeschi, costretti a sganciarsi dal sistema statale per non dover dare il certificato di avvenuta consulenza a donne che desideravano di abortire. Casi come quelli degli ospedali di ispirazione cristiana che non rispettano fino in fondo la dottrina passano direttamente sotto al vaglio della Congregazione della Dottrina della Fede, che valuta caso per caso, e definisce anche quale tipo di pressioni ci possono essere state.

Ma è in generale tutto un modo di affrontare la malattia, di curare il malato a partire dal concetto di persona umana, che deve essere messo in discussione, magari ritornando all’approccio umano originale. In  questo senso, l’ospedale è davvero un luogo di evangelizzazione. Nella Salvifici Doloris, Giovanni Paolo II scriveva che “Il cristianesimo proclama l’essenziale bene dell’esistenza e il bene di ciò che esiste, professa la bontà del Creatore e proclama il bene delle creature.  L’uomo soffre a causa del male, che è una certa mancanza, limitazione o distorsione del bene.  Si potrebbe dire che l’uomo soffre a motivo di un bene al quale egli non partecipa, dal quale viene, in un certo senso, tagliato fuori, o del quale egli stesso si è privato.  Soffre in particolare quando “dovrebbe” aver parte – nell’ordine normale delle cose – a questo bene, e non l’ha”.

In fondo,  la medicina  non avrebbe senso, e tanto meno la stessa pastorale sanitaria avrebbe senso se il nostro “essere umani” e il nostro amore per il Creatore non si realizzasse sviluppandosi anche attraverso la cura e il rispetto per quell’immenso prodigio della creazione che è l’uomo nel suo insieme di corpo, mente e anima.

Nell’esistenza terrena del genere umano,  il credo religioso del cristianesimo ha quindi rivestito il fondamentale ruolo di “difensore” di quella umanità innata e propria dell’uomo, per mezzo delle prescrizioni dei comandamenti e con l’esempio del Vangelo. Ed ha attestato così fedelmente come l’uomo debba vivere umanamente, in attesa di essere capace di realizzare in modo spontaneo la sua natura secondo la Volontà Divina.

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