Terra Santa: gli ulivi del Getsemani testimoni della fede e del radicamento dei cristiani

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I risultati del progetto di ricerca “La memoria di un ambiente: il giardino del Getsemani” – promosso dall’associazione culturale Coltiviamo la pace, condotto dal Cnr-Ivalsa e finanziato in parte dalla Confederazione produttori agricoli –, sono stati ottenuti con la tecnica radiometrica, cioè con la datazione al radiocarbonio. Ma è stata realizzata anche una stima mediante il confronto con l’accrescimento dell’ulivo portato nel Getsemani da Paolo VI, che ha adesso 64 anni. Le due analisi hanno fornito risultati analoghi. Il professor Antonio Cimato, coordinatore della ricerca scientifica, la cui prima finalità è la tutela e la conservazione di queste piante, ha rilevato che esse sono sane e non presentano virus né batteri. I loro profili genetici sono simili, il che fa dedurre che non sono di origine selvatica, mentre anche le radici sono uguali, quindi non sono frutto di innesti. Il fatto che siano simili nella chioma, nelle radici e tra di loro dimostra che sono alberi fratelli.

C’è stato, insomma, uno specifico intervento umano per tramandare un patrimonio di fede legato a questo luogo. Risalendo alle fonti storiche, fra Massimo Pazzini, biblista e decano dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme, ha osservato che nei testi scritti l’orto degli ulivi non esiste. “Per noi che siamo a Gerusalemme è ovvio: gli ulivi del Gestsemani sono sempre stati lì, però i testi usano una terminologia leggermente diversa” ha precisato. Nel Nuovo Testamento la parola Getsemani compare due volte, in Matteo e in Marco, nei Vangeli della Passione, come nome di un podere in cui Gesù uscì con i discepoli, ma non si fa cenno agli ulivi. I Vangeli di Luca e Giovanni, invece, non parlano di Getsemani, ma di “monte degli ulivi” e di “giardino”.

“Incrociando i dati si arriverebbe a quello che vediamo oggi a Gerusalemme: cioè l’orto degli ulivi che si trova al Getsemani ai piedi del monte degli ulivi”. Nella letteratura, quindi, questi ulivi compaiono poco e solo negli ultimi 500 anni, forse perché nessuno avvertiva la necessità di parlarne, tanto era ovvia la loro presenza. La Custodia di Terra Santa tutela il Getsemani dalla metà del ‘600. “La Storia di queste piante – nota il Custode, il francescano Pierbattista Pizzaballa – è testimone della storia di questo luogo, fatta di dominazioni, persecuzioni, rovine, distruzione. Tuttavia gli ulivi sono anche testimoni della fede radicata e radicale di questi cristiani, dell’attaccamento e della vitalità della comunità cristiana in questa terra”. E la missione dei frati francescani è custodire i Luoghi Santi, curarli e farli conoscere.

“La prova scientifica del legame tra ciò che è scritto nel Vangelo e il luogo non ci potrà mai essere” ha considerato padre Pizzaballa. “Ciò che rende il luogo santo – ha però aggiunto – è la tradizione della Chiesa e la devozione ininterrotta dei pellegrini. Questi ulivi sono resi santi anche dalla preghiera di generazioni e generazioni di pellegrini, che rendono questo posto un simbolo, una icona, il luogo dove la passione di Gesù diventa tangibile, dove i pellegrini portano anche le loro passioni”. “Non c’è alcun dubbio che questo sia il luogo, e gli ulivi sono tra i più antichi testimoni di questa devozione e tradizione della Chiesa – ha quindi concluso il Custode –. Il resto noi non lo potremo mai provare, per il Getsemani come per qualsiasi altro luogo”

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