Coldiretti: a rischio la spesa degli italiani

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Per lo stop alle ore 18 è a rischio 1/3 della spesa alimentare degli italiani destinata ai consumi fuori casa con il moltiplicarsi di locali della ristorazione che decidono addirittura di non aprire per gli elevati costi e la mancanza di clienti. Ciò emerge da un monitoraggio della Coldiretti in riferimento al varo del decreto ristoro per contenere gli effetti del nuovo DPCM, sulla base delle indicazioni dell’Associazione Terranostra:

“Dai ristoranti agli agriturismi, dalle gelaterie alle pizzerie fino alle trattorie sono molte le realtà che trovano sostenibilità economica solo grazie al lavoro serale che ora è stato vietato dal nuovo Decreto. Per molte strutture la pausa pranzo non è sufficiente per garantire la copertura dei costi tenuto conto anche della mancanza di turisti e della diffusione dello smart working che ha drammaticamente tagliato il numero i coperti. Il risultato è il drastico crollo del fatturato della ristorazione che era pari ad € 85.000.000.000 l’anno nei 330.000 tra bar, mense e ristoranti con un impatto sull’intera filiera alimentare, dalla carne al pesce, dal vino all’olio, dalla frutta alla verdura”.

Una situazione che rischia di penalizzare ingiustamente anche l’agriturismo nazionale che può contare secondo Campagna Amica su 24.000 realtà diffuse lungo tutta la Penisola spesso situate in zone isolate della campagna in strutture familiari con un numero contenuto di posti letto e a tavola e con ampi spazi all’aperto: “Si tratta forse dei luoghi dove è più facile garantire il rispetto delle misure di sicurezza per difendersi dal contagio fuori dalle mura domestiche e alleggerire gli assembramenti nelle città”.

Non è un caso che delle 54.128 denunce di infortunio da Covid-19 al lavoro registrate dall’Inail appena lo 0,2% riguarda l’agricoltura dove peraltro nelle 730mila imprese italiane non si è peraltro mai smesso di lavorare per garantire le forniture alimentari alla popolazione, secondo l’analisi della Coldiretti sulla base delle denunce complessive di infortunio tra fine febbraio e il 30 settembre 2020: “Occorre evitare un duro colpo al settore che ha affrontato una crisi senza precedenti che ha provocato una perdita complessiva per il 2020 stimata in circa un miliardo di euro, pari al 65% del fatturato annuale, favorita anche dall’assenza praticamente totale degli ospiti stranieri”.

La spesa degli italiani per pranzi, cene, aperitivi e colazioni fuori casa prima dell’emergenza coronavirus era pari al 35% del totale dei consumi alimentari degli italiani. Nell’attività di ristorazione sono coinvolte circa 330.000 tra bar, mense e ristoranti lungo la Penisola ma anche 70.000 industrie alimentari e 740.000 aziende agricole lungo la filiera impegnate a garantire le forniture per un totale di 3.800.000 posti di lavoro:

“Le limitazioni alle attività di impresa devono dunque prevedere un adeguato sostegno economico lungo tutta la filiera e misure come la decontribuzione protratte anche per le prossime scadenze superando il limite degli aiuti di stato”, ha affermato il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini.

Però con l’emergenza Covid più di una famiglia su quattro (26%) è tornata a cimentarsi nella preparazione di pasta semplice o ripiena fatta in casa, spinta da lockdown, smart working e dal maggior tempo passato tra le mura domestiche: “La pandemia ha di fatto favorito uno storico ritorno al passato rispetto alle prime fasi dell’industrializzazione e urbanizzazione del Paese quando la conquista della modernità passava anche dall’acquisto della pasta piuttosto che dalla sua realizzazione in casa.

Se in passato però erano soprattutto i più anziani ad usare il matterello adesso la passione si sta diffondendo anche tra i più giovani e tra persone completamente a digiuno delle tecniche di preparazione, magari con delle nuove tecnologie che hanno registrato un boom di vendite durante la pandemia”.

L’Italia è il paese con il più elevato consumo di pasta per un quantitativo di 23,5 chilogrammi a testa contro i 17 chili della Tunisia, seconda in questa speciale classifica seguita da Venezuela (12 kg), Grecia (11 kg), Cile (9,4 kg), Stati Uniti (8,8 kg), Argentina e Turchia a pari merito (8,7 kg). L’ amore per la pasta è quindi diffuso a livello mondiale dove le esportazioni di pasta dall’Italia sono aumentate del 23% raggiungendo il record storico con un valore di quasi € 1.900.000.000 nei primi sette mesi del 2020, secondo un’analisi Coldiretti su dati Istat.

A trainare le vendite all’estero sono gli Stati Uniti, dove gli acquisti di spaghetti e pennette Made in Italy sono balzati del 41%, ma anche nel Regno Unito dove il rischio di una Brexit senza accordo fa volare i consumi del 29%, Aumenti a doppia cifra anche in Germania (+22%) che si conferma il primo mercato di riferimento per la pasta tricolore, e in Francia (+17%) ma l’export cresce anche in Cina (+38%) seppur con quantità ancora limitate.

(Foto: Coldiretti)

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