Il Papa invita i suoi ex allievi a lasciarsi guidare dalla verità

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Ritornare alla fede, lasciarsi possedere dalla verità. È una lezione sulla fede e sulla verità l’omelia che Benedetto XVI ha tenuto nella messa conclusiva dello Schülerkreis, il circolo di ex allievi che si riunisce ogni anno. È una riflessione intensa che parte dal dono della legge fatto al popolo ebraico, passa per la Chiesa, “Israele che è diventato universale”, in cui la legge diventa un nucleo fondamentale, e quel nucleo è Gesù Cristo, “Torah vivente in cui non crediamo più” e arriva fino al rischio di intellettualizzazione della fede  “Non solo ascoltare, non solo intelletto – fare, lasciarsi formare dalla verità, lasciarsi guidare da lei”, afferma Benedetto XVI.

 

Lo Schülerkreis di quest’anno è stato dedicato all’ecumenismo, un tema su cui Benedetto XVI da sempre è sensibile. E c’erano tutte le premesse perché da questo incontro ne giungessero idee, magari una nuova spinta ecumenica. E tra le idee – ha raccontato padre Stephan Horn, salvatoriano, presidente dell’Associazione degli Studenti – anche quella di un “mea culpa” reciproco con i Luterani. Un tema, questo molto caro al Papa, il quale – ha spiegato padre Horn – “ha sempre avuto l’idea che fosse necessaria la purificazione della memoria”. Ma nell’omelia di domenica c’è anche l’influsso dei viaggi di Benedetto XVI, che sono stati anche parte del discorso con cui il Papa ha introdotto l’incontro degli ex studenti. “Quest’anno – racconta ancora Stephan Horn – è stato colpito specialmente dalla gioia della fede trovata nel Benin, come anche in Messico, mentre a Cuba, forse, la società non può mostrare così liberamente i sentimenti del proprio cuore. Questa gioia della fede procura sempre grande gioia al Santo Padre. Anche l’incontro con le famiglie a Milano gli ha procurato grande gioia”.

Benedetto XVI parte dalla “gioia della legge” delineata nel Deuteronomio. “Legge – specifica – non come vincolo, come qualcosa che ci toglie la libertà, ma come regalo e dono”. La legge di Israele, infatti, viene da Dio. E – dice il Papa “è questa la gioia umile di Israele: ricevere un dono da Dio. Questo è diverso dal trionfalismo, dall’orgoglio di ciò che viene da se stessi: Israele non è orgoglioso della propria legge come Roma poteva esserlo del diritto romano quale dono all’umanità, come la Francia forse del ‘Code Napoléon’, come la Prussia del ‘Preußisches Landrecht’ ecc. – opere del diritto che riconosciamo. Ma Israele sa: questa legge non l’ha fatta egli stesso, non è frutto della sua genialità, è dono”. Aggiunge il Papa: “Dio gli ha mostrato che cos’è il diritto. Dio gli ha dato saggezza. La legge è saggezza. Saggezza è l’arte dell’essere uomini, l’arte di poter vivere bene e di poter morire bene”.

E nella Chiesa, nell’ “Israele diventato universale”, qual è il nucleo essenziale della legge? “Questo nucleo – spiega il Papa – è semplicemente Cristo stesso, l’amore di Dio per noi ed il nostro amore per Lui e per gli uomini. Egli è la Torah vivente, è il dono di Dio per noi, nel quale, ora, riceviamo tutti la saggezza di Dio”. È Dio che si fa persona, e lo possiamo conoscere. E allora “gioia e gratitudine” per aver raggiunto la saggezza del bene dovrebbero “caratterizzare il cristiano”. E questo caratterizzava i primi cristiani, grati di “essere nella luce, nell’ampiezza della verità”. “Una gratitudine – afferma Benedetto XVI –  che si irradiava intorno e che così univa gli uomini nella Chiesa di Gesù Cristo”.

Una Chiesa che oggi invece guarda più a quello che viene dall’uomo che non a quello che viene da Dio. “Penso che ci troviamo proprio in questa fase, in cui vediamo nella Chiesa solo ciò che è fatto da se stessi, e ci viene guastata la gioia della fede; che non crediamo più e non osiamo più dire: Egli ci ha indicato chi è la verità, che cos’è la verità, ci ha mostrato che cos’è l`uomo, ci ha donato la giustizia della vita retta. Noi siamo preoccupati di lodare solo noi stessi, e temiamo di farci legare da regolamenti che ci ostacolano nella libertà e nella novità della vita”.

È, questo, un tema portante del Pontificato di Ratzinger, ribadito a più riprese anche durante il suo ultimo viaggio in Germania, paese “sensibile” al tema dell’ecumenismo dove il Papa è “andato a parlare di Dio” – secondo le sue stesse parole – arrivando anche in un discorso ad  auspicare una “demondanizzazione” della Chiesa per tornare alla gioia della fede vera.

Si pensa a lodare se stessi, ci si allontana da Dio. “Se leggiamo oggi, ad esempio – dice il Papa – nella Lettera di Giacomo: «Siete generati per mezzo di una parola di verità», chi di noi oserebbe gioire della verità che ci è stata donata? Ci viene subito la domanda: ma come si può avere la verità? Questo è intolleranza!” Ed ecco – prosegue il Papa – che “l’idea di verità e di intolleranza oggi sono quasi completamente fuse tra di loro, e così non osiamo più credere affatto alla verità o parlare della verità”.

Ammonisce il Papa: “Nessuno può avere la verità. E’ la verità che ci possiede, è qualcosa di vivente! Noi non siamo suoi possessori, bensì siamo afferrati da lei”. Perché – e qui le parole del Papa fanno naturalmente pensare al riferimento alla lingua ebraica, dove non esiste il verbo avere, che viene reso con la perifrasi del cosiddetto “dativo di possesso”, ovvero “un figlio è a me” – “come nessuno può dire: ho dei figli – non sono un nostro possesso, sono un dono, e come dono di Dio ci sono dati per un compito – così non possiamo dire: ho la verità”. Il processo è inverso. È Cristo che si è fatto uomo, e dunque è “la verità è venuta verso di noi e ci spinge. Dobbiamo imparare a farci muovere da lei, a farci condurre da lei. E allora brillerà di nuovo: se essa stessa ci conduce e ci compenetra”.

Il Papa invita a non limitarsi ad ascoltare la parola, ma chiede anzi di metterla in pratica. “Questo – dice – è un avvertimento circa l’intellettualizzazione della fede e della teologia. E’ un mio timore in questo tempo, quando leggo tante cose intelligenti: che diventi un gioco dell’intelletto nel quale «ci passiamo la palla», nel quale tutto è solo un mondo intellettuale che non compenetra e forma la nostra vita, e che quindi non ci introduce nella verità”. E’ una preoccupazione costante del Papa, che il dibattito teologico faccia perdere di vista la verità della fede. Una preoccupazione che lo ha portato a raccontare la vita di Gesù di Nazaret a partire dai Vangeli, cercando di “lasciarsi guidare dalla verità”. Che è l’appello con il quale termina l’omelia. E che in fondo è una frase chiave per comprendere uno degli scopi profondi dell’Anno della Fede che sta per cominciare.

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