Il Cortile dei Gentili invita a ripensare al modello di sviluppo

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Le carenze del sistema sanitario, il peso delle diseguaglianze economiche e sociali in tempo di crisi, l’inquinamento e la riduzione progressiva della biodiversità: la diffusione del Covid-19 ha fatto emergere numerose questioni di carattere socio-economico, che ora necessitano di risposte tanto lungimiranti quanto urgenti. Con questa consapevolezza la Consulta scientifica del ‘Cortile dei Gentili’, fondata dal card. Gianfranco Ravasi e presieduta dal prof. Giuliano Amato, contribuisce al dibattito attuale con il documento online ‘Pandemia e resilienza: persona, comunità e modello di sviluppo dopo la Covid-19’.

Alla base del lavoro, disponibile in formato pdf, edito da CNR Edizioni e curato da Cinzia Caporale e Alberto Pirni, c’è un’analisi multidisciplinare della situazione sociale ed economica determinatasi a seguito della diffusione del coronavirus: la scarsità di risorse e le misure di contenimento della pandemia, infatti, hanno accentuato vulnerabilità e diseguaglianze, che il precedente modello di sviluppo aveva già alimentato, a scapito del benessere collettivo ed equamente distribuito.

Nella prefazione il presidente della Consulta scientifica, Giuliano Amato, ha sottolineato che occorre avere uno sguardo generativo: “Non possiamo tornare al mondo di ‘prima’, rivelatosi estremamente vulnerabile… Al contrario, è quanto mai necessario guardare al futuro con un approccio generativo e ricostruire una società capace di resistere, resiliente, come oggi si dice, davanti alle incognite del futuro che ci attende.

Per fare ciò è necessario salvaguardare il nostro capitale umano, sociale, naturale ed economico, riducendo i vincoli della scarsità e contrastando la cultura dello scarto. La cifra morale di una civiltà, infatti, si misura nella sua capacità di promuovere il bene comune e di proteggere i più deboli”.

Il prof. Amato ha evidenziato che occorre pensare ad un ‘rigenerato’ modello di sviluppo: “Due sono le ragioni per le quali, al di fuori di qualunque propensione ideologica, è giocoforza mettere in discussione il modello di sviluppo sin qui seguito; ed entrambe sono segnalate dalla grande fragilità che, diciamo pure inaspettatamente, hanno dimostrato le nostre società, le società avanzate dell’avanzato Occidente, davanti alla presenza e agli effetti del nuovo coronavirus.

La prima ragione: dotati di conoscenze e di tecnologie che mai avevamo avuto in passato, ritenevamo di avere un dominio tale della realtà che ci circonda da poter fronteggiare le evenienze più diverse. E’ arrivato invece un virus sconosciuto che ci ha cacciato nel baratro dell’incertezza e costretto alle difese che si usavano ai tempi della peste, la distanza e l’isolamento sociale.

Ma perché è arrivato? Perché parte del nostro avanzatissimo modello di sviluppo era ed è stato un uso abnorme delle risorse naturali e della stessa atmosfera, che ha profondamente alterato gli equilibri del pianeta e ha scatenato in esso fenomeni mai fronteggiati in precedenza, dai cicloni al posto delle piogge, ai virus sconosciuti”.

Nello spiegare le ragioni del volume il comitato scientifico ha sottolineato le vulnerabilità della società: “La pandemia ci ha mostrato le nostre vulnerabilità anche e soprattutto nel rapporto con la tecnologia e ci interroga in maniera pressante su come questo rapporto debba evolversi nel prossimo futuro. Abbiamo assistito a una ‘invasione del reale’ nel digitale, che sta modificando le relazioni fra i due mondi.

La contrapposizione, spesso proposta, fra un mondo reale analogico (positivo) e un mondo virtuale digitale (negativo) viene fortemente ridimensionata quando il digitale diventa quasi l’unico spazio possibile di relazione (umana, educativa, commerciale) e di condivisione in tempo reale.

Perché questa possibilità diventi una modalità positiva di evoluzione del nostro futuro, dobbiamo prendere atto delle difficoltà generate dai divari digitali e cogliere i ritardi nel processo di convergenza scuola-lavoro e di sviluppo del servizio civile, che stenta ancora a essere inteso come alleanza tra generazioni e, in questo specifico ambito, quale contributo dei nativi digitali alla riduzione dei divari”.

Diverse sono le proposte elaborate dal gruppo di lavoro in tal senso, approfondite dettagliatamente nel documento: affrontare la scarsità delle risorse , in primo luogo di quelle sanitarie, lavorando sulla prevenzione dei rischi secondo un principio di equità sociale; costruire una welfare society, che conti sui cittadini e le imprese responsabili non meno che sullo Stato e il tradizionale mercato; promuovere un modello di sviluppo sostenibile, ambientale e sociale, basato sull’economia circolare e investire nella ricerca scientifica, a partire dalla ricerca di base, fonte di nuove tecnologie. Per fare tutto questo, infine, dotare le nostre democrazie di sistemi di governo non più prigionieri del presente e capaci di costruire e gestire programmi lungimiranti per il futuro.

Per attuare questo modello è necessaria la resilienza: “La giusta parola d’ordine che si sente da più parti e che intendiamo proporre è quella di resilienza trasformativa, una resilienza cioè che si basi sul superamento della tentazione di un ritorno al ‘prima’ e su di una ripartenza basata solo sulla crescita quantitativa… 

La pandemia invita a riflettere sul nostro modello di sviluppo. Nonostante gli appelli e le raccomandazioni, le principali strategie politiche per lo sviluppo (soprattutto mondiali, ma anche nazionali e locali) continuano ad essere centrate su obiettivi di equilibrio finanziario e produttivo, con debole considerazione delle altre fondamentali componenti del benessere collettivo e individuale: salute, benessere psichico, equilibrio tra specie, rispetto dell’ambiente naturale, equilibrio tra vita privata e vita lavorativa, cooperazione e solidarietà, appartenenza sociale e comunitaria, fiducia negli altri e nelle istituzioni; solo per citare le più importanti”.

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