Papa Francesco invita ad abbandonarsi a Dio nella preghiera

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Al termine dei saluti dell’udienza generale dalla biblioteca del Palazzo Apostolico papa Francesco ha ricordato la festa di san Giovanni Battista: “Oggi è la festa della Natività di San Giovanni Battista. Impariamo da Colui che fu il precursore di Gesù la capacità di testimoniare con coraggio il Vangelo, al di là delle proprie differenze, conservando la concordia e l’amicizia che fondano la credibilità di qualsiasi annuncio di fede”.

Nella catechesi dedicata alla preghiera papa Francesco, presentando la figura biblica di figura di Davide che, santo e peccatore, prega e questa voce che non si spegne mai è il filo rosso della sua esistenza, ha sottolineato che essa dà unità: “Prediletto da Dio fin da ragazzo, viene scelto per una missione unica, che rivestirà un ruolo centrale nella storia del popolo di Dio e della nostra stessa fede.

Nei Vangeli, Gesù è chiamato più volte ‘figlio di Davide’; infatti, come lui, nasce a Betlemme. Dalla discendenza di Davide, secondo le promesse, viene il Messia: un Re totalmente secondo il cuore di Dio, in perfetta obbedienza al Padre, la cui azione realizza fedelmente il suo piano di salvezza”.

Ed ha raccontato in quale modo Dio ha scelto questo giovane: “Lavorava all’aria aperta: lo pensiamo amico del vento, dei suoni della natura, dei raggi del sole. Ha una sola compagnia per confortare la sua anima: la cetra; e nelle lunghe giornate in solitudine ama suonare e cantare al suo Dio. Giocava anche con la fionda.

Davide, dunque, è prima di tutto un pastore: un uomo che si prende cura degli animali, che li difende al sopraggiungere del pericolo, che provvede al loro sostentamento. Quando Davide, per volere di Dio, dovrà preoccuparsi del popolo, non compirà azioni molto diverse rispetto a queste”.

Ed ha fatto il paragone con Gesù: “Anche Gesù si definisce ‘il buon pastore’, il suo comportamento è diverso da quello del mercenario; Lui offre la sua vita in favore delle pecore, le guida, conosce il nome di ciascuna di esse. Dal suo primo mestiere, Davide ha imparato molto.

Così, quando il profeta Natan gli rinfaccerà il suo gravissimo peccato, Davide capirà subito di essere stato un cattivo pastore, di aver depredato un altro uomo dell’unica pecora che lui amava, di non essere più un umile servitore, ma un ammalato di potere, un bracconiere che uccide e depreda. Un secondo tratto caratteristico presente nella vocazione di Davide è il suo animo di poeta”.

Il papa ha sottolineato che questo pastore ama la bellezza, nonostante sia un pastore: “E’ invece una persona sensibile, che ama la musica e il canto. La cetra lo accompagnerà sempre: a volte per innalzare a Dio un inno di gioia, altre volte per esprimere un lamento, o per confessare il proprio peccato.

Il mondo che si presenta ai suoi occhi non è una scena muta: il suo sguardo coglie, dietro il dipanarsi delle cose, un mistero più grande. La preghiera nasce proprio da lì: dalla convinzione che la vita non è qualcosa che ci scivola addosso, ma un mistero stupefacente, che in noi provoca la poesia, la musica, la gratitudine, la lode, oppure il lamento, la supplica”.

Quindi Davide cerca Dio attraverso la poesia, cantando la sua incoerenza: “Quando a una persona manca quella dimensione poetica, diciamo, quando manca la poesia, la sua anima zoppica. La tradizione vuole perciò che Davide sia il grande artefice della composizione dei salmi. Essi recano spesso, all’inizio, un riferimento esplicito al re d’Israele, e ad alcune delle vicende più o meno nobili della sua vita. Davide ha dunque un sogno: quello di essere un buon pastore.

Qualche volta riuscirà ad essere all’altezza di questo compito, altre volte meno; ciò che però importa, nel contesto della storia della salvezza, è il suo essere profezia di un altro Re, di cui lui è solo annuncio e prefigurazione. Guardiamo Davide, pensiamo a Davide.

Santo e peccatore, perseguitato e persecutore, vittima e carnefice, che è una contraddizione. Davide è stato tutto questo, insieme. E anche noi registriamo nella nostra vita tratti spesso opposti; nella trama del vivere, tutti gli uomini peccano spesso di incoerenza”.

Ma per il papa Davide è ‘grande’ perché ha saputo pregare: “C’è un solo filo rosso, nella vita di Davide, che dà unità a tutto ciò che accade: la sua preghiera. Quella è la voce che non si spegne mai. Davide santo, prega; Davide peccatore, prega; Davide perseguitato, prega; Davide persecutore, prega; Davide vittima, prega. Anche Davide carnefice, prega.

Questo è il filo rosso della sua vita. Un uomo di preghiera. Quella è la voce che non si spegne mai: che assuma i toni del giubilo, o quelli del lamento, è sempre la stessa preghiera, solo la melodia cambia. E così facendo Davide ci insegna a far entrare tutto nel dialogo con Dio: la gioia come la colpa, l’amore come la sofferenza, l’amicizia quanto una malattia”.

Per Davide la preghiera a Dio diventa una difesa: “Tutto può diventare parola rivolta al ‘Tu’ che sempre ci ascolta. Davide, che ha conosciuto la solitudine, in realtà, solo non lo è stato mai! E in fondo questa è la potenza della preghiera, in tutti coloro che le danno spazio nella loro vita. La preghiera ti dà nobiltà, e Davide è nobile perché prega. Ma è un carnefice che prega, si pente e la nobiltà ritorna grazie alla preghiera”.

La preghiera, infine, offre una relazione con Dio: “La preghiera ci dà nobiltà: essa è in grado di assicurare la relazione con Dio, che è il vero Compagno di cammino dell’uomo, in mezzo alle mille traversie della vita, buone o cattive: ma sempre la preghiera.

Grazie, Signore. Ho paura, Signore. Aiutami, Signore. Perdonami, Signore. E’ tanta la fiducia di Davide che, quando era perseguitato ed è dovuto fuggire, non lasciò che alcuno lo difendesse: ‘Se il mio Dio mi umilia così, Lui sa’, perché la nobiltà della preghiera ci lascia nelle mani di Dio. Quelle mani piagate di amore: le uniche mani sicure che noi abbiamo”.

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