I fogli cattolici e la crisi dell’informazione. Cosa significa la chiusura di 30Giorni?/APPROFONDIMENTO

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Funzionava così: un paio di mesi prima di un viaggio papale, un giornalista o due del mensile 30Giorni si recavano nel luogo che il Papa sarebbe andato a visitare. Facevano interviste, parlavano con la gente del luogo, preparavano un reportage. Lo pubblicavano su una rivista un mese prima del viaggio, come preparazione ai temi papali. Un lavoro certosino, spesso apprezzato dagli stessi quotidiani “laici”, che riprendevano gli articoli di 30Giorni. Un lavoro che – almeno sul versante di 30Giorni – è terminato. Il mensile sospende le sue pubblicazioni, e sarà una mancanza sentita in maniera forte in monasteri e istituti religiosi del Terzo Mondo in cui veniva diffusa gratuitamente in quattro lingue. E la chiusura di 30Giorni – il mensile, legato a Cl, era stato fondato nel 1983 – è anche il termometro di un mondo in cui la stampa di approfondimento sembra non avere più spazio. È il termometro della crisi dei periodici di ispirazione cristiana – ma non solo – che in questi ultimi anni si sono dovuti confrontare con una crisi economica senza precedenti, ma anche con un mercato sempre più spietato. Alcuni hanno cambiato target, altri hanno cominciato a digitalizzarsi. Per tutti c’è stata la necessità di un ripensamento di un percorso. Ma ripensare il percorso significa necessariamente chiudere o snaturarsi?

 

Nel caso di 30Giorni, un evento è stato particolarmente decisivo: la morte di don Giacomo Tantardini, l’anima del mensile. E non è un caso che proprio la morte di don Giacomo è stata citata, nello scarno comunicato della rivista, come una delle cause principali alla scelta di finirla qui. A testimonianza di quanto le persone e le idee – più che il mercato e la tecnica – siano importanti nel panorama delle notizie. Un’importanza ancora più fondamentale nell’ambito dei media di ispirazione cattolica.

Si guarda 30Giorni, si guardano gli altri periodici di ispirazione cristiana (per citarne alcuni in Italia: Famiglia Cristiana, Jesus, Città Nuova, Tempi, tutti alle prese con la necessità di ridimensionarsi) e si trova in controluce quanto la Chiesa cattolica fa nel mondo. In quali altri posti si trovano declinati i temi della libertà religiosa e della giustizia sociale, della diplomazia internazionale e della bioetica? Sono i temi della Santa Sede, lo strumento di cui la Chiesa si serve per promuovere e portare avanti il fine ultimo di tutta la sua predicazione: l’uomo, la persona creata ad immagine di Dio.

Temi che sono universali, ma che solo nei media di ispirazione cristiana trovano realmente spazio. In ambito cattolico li chiamano mezzi di comunicazione sociale. Sono ricerca della verità, ma anche della Verità. Segno di una presenza nel mondo che è nuova evangelizzazione, ma calata nella vita sociale. Davvero non c’è più spazio per tutto questo, nel mondo delle notizie veloci e di Internet?

A guardare una analisi condotta da Perfect Market, si direbbe di no. Perfect Market ha analizzato15 milioni di articoli pubblicati in estate su 21 siti, scoprendo che gli articoli più ‘profittevoli’ sono quelli legati a temi sociali e di pubblica utilità, articoli che affrontano problemi quotidiani con cui tutti noi ci confrontiamo nella vita reale, dalla disoccupazione alle rate del mutuo.

30Giorni chiude, nonostante la direzione del senatore Andreotti abbia arricchito il giornale di notevoli contributi diplomatici e stranieri come l’intervista a Shimon Peres o editoriali affidati all’ex segretario di Stato americano Colin Powell. E come 30Giorni sono a rischio chiusura o ridimensionamento molte altre riviste di approfondimento.

E forse c’è da farsi qualche interrogativo in più, specialmente nel mondo cattolico. Perché la storia delle testate di ispirazione cristiana nasce – come tutte le cose cattoliche – dal basso, fedeli a quel principio di sussidiarietà che è poi una delle fondamenta della Dottrina Sociale della Chiesa. Senza allargare troppo il campo, guardiamo all’Italia. La storia di buona parte delle testate delle diocesi italiane affonda infatti tra le sue radici nel movimento sociale cattolico, che si sviluppa tra fine ‘800 e inizio ‘900. I 26 quotidiani diocesani che vengono contati in quegli anni, insieme a settimanali e fogli di ogni genere, sono tutti in qualche modo figli dell’enciclica Rerum Novarum di Papa Leone XIII, e tutte guardano alla strada segnata nel 1887 dalle indicazioni finali del VII Congresso Cattolico Italiano di Lucca, che sottolineavano come i giornali del Movimento cattolico dovessero “difendere in ogni caso gli interessi della città e della religione”, dove per città si intendevano “le popolazioni di ogni centro piccolo e grande”.

Questi fogli rappresentano anche la risposta cristiana agli eventi, tanto che alcuni di essi ha una storia addirittura gloriosa: sono presenti nel dibattito durante il processo di unificazione dell’Italia, sono state pungolo dell’informazione alternativa durante il Ventennio fascista. Insieme a queste testate locali, a “combattere” nell’opinione pubblica c’erano due testate autorevoli, nazionali e ufficiali: Civiltà Cattolica, che ha gli stessi anni dell’Unità d’Italia ed è la più antica rivista italiana; e l’Osservatore Romano, anche questo nato negli anni dell’Unità, l’unico giornale che durante il fascismo poteva dare notizie non censurate sulla guerra in corso, perché giornale vaticano e non italiano. La sovranità, per la Santa Sede, è soprattutto la possibilità di esercitare la libertà.

I dati forniti in un convegno del 2010 da don Giorgio Zucchelli, presidente della Federazione Italiana Settimanali Cattolici raccontano bene quale sia stata la svolta avvenuta con il Concilio: “In riferimento alla data di fondazione 58 testate (31%) sono nate del periodo che va dalla seconda metà del secolo scorso al primo periodo postbellico (1867-1922); 10 testate (5.34%) durante il ventennio fascista (1923- 1943); 33 testate (17.64%) dalla liberazione al Concilio Vaticano II (1945- 1965); 86 testate (46%) dal Concilio a oggi. Quest’ultimo dato dà ragione dell’impegno delle diocesi italiane (soprattutto del centro-sud) nel “darsi una propria voce”.

È il risultato della spinta data dall’Inter Mirifica, che sottolineava il “diritto nativo” della Chiesa non solo ad usare i media, ma anche di possederli, in quanto ente sociale. E l’istruzione Communio e Progressio (1971), che della Inter Mirifica  è uno sviluppo, scriverà che “la stampa cattolica sarà quindi come uno specchio fedele del mondo, e nello stesso tempo, un faro che lo illumini”.

Sono tanti i gioielli di comunicazione sociale che ci sono nel mondo. Dalle attività della Famiglia Paolina (Famiglia Cristiana e il Giornalino nascono già anni Venti) ai moltissimi e battaglieri bollettini della congregazioni religiose (basta citare – tra gli altri – Il Messaggero Cappuccino, Il Messaggero di Sant’Antonio, L’Eco di San Gabriele, il Bollettino Salesiano), fino all’impegno nella comunicazione dei movimenti, un’altra grande espressione del Concilio, con mensili e quindicinali di altissima qualità. 30Giorni faceva parte di quest’ultima categoria.

La sua chiusura, le difficoltà di molti di questi giornali, lasciano due riflessioni cui pensare: davvero non ci sono più persone con una “visione”, persone in grado di portare avanti un progetto di informazione vero, ampio, cristianamente ispirato? E poi: davvero non ci sono editori  – nemmeno in ambito cristiano – disposti ad investire su progetti a largo raggio, sulla possibilità di avere una rete di informazione che vada oltre il circuito ufficiale? Davvero non è possibile cambiare i criteri di notiziabilità?

30Giorni per anni ha fatto la sua parte, come l’hanno fatta e la stanno facendo, con tenacia, attenzione e dedizione, tutti i media di ispirazione cristiana, compreso quello che state leggendo ora. In alcuni casi, si è arrivati ad alti livelli di professionalità, anche se sono ancora pochi i comunicatori di professione nei giornali diocesani, ma anche nello stesso Vaticano. Ma attenzione: la ricerca di tecnici “esterni” rischia di creare  maggiore distanza. E il ricorso a professionisti esterni non deve portare a trascurare la formazione della persona. C’è nel mondo cristiano la volontà di formare professionisti che sappiano stare nel cuore dei problemi, invece di doverli interpretare da un punto di vista esterno?

Nei Paesi Anglosassoni, il dibattito è arrivato a cercare di definire quando “un giornale cattolico si può definire cattolico”. Ma forse per preservare la cattolicità – ovvero l’universalità – di un medium  cattolico è semplicemente importante investire sulla persona, più che sul mezzo. Come facevano i laboratori di cristianesimo sociale di fine Novecento. Come dovremmo fare oggi. E la chiusura di 30Giorni appare essere un monito generale per tutti gli operatori della comunicazione cristianamente formati.

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