La Chiesa ‘ospedale da campo’ di papa Benedetto XV

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Esattamente un secolo fa, il 23 maggio 1920, papa Benedetto XV pubblicò l’enciclica ‘Pacem Dei munus’: il contesto, da cui prese le mosse l’enciclica, era quello della situazione economico-sociale causata dalla Prima guerra mondiale, peraltro aggravata dalla pandemia della ‘spagnola’ che, tra il 1918 e il 1920, causò decine di milioni di morti nel mondo (solo in Italia 600.000).

All’inizio dell’enciclica il papa osservava i danni che provocano le guerre: “Non occorre certamente che Ci dilunghiamo troppo per dimostrare come l’umanità andrebbe incontro ai più gravi disastri, se, pur concordata la pace, continuassero tra i popoli latenti ostilità ed avversioni. Non parliamo dei danni di tutto ciò che è frutto della civiltà e del progresso, come i commerci, le industrie, le arti, le lettere: beni che fioriscono soltanto in seno alla tranquilla convivenza dei popoli. Ma ciò che più importa, ne verrebbe gravemente colpita la stessa vita cristiana, che è essenzialmente fondata sulla carità, tanto che la stessa predicazione della legge di Cristo è chiamata ‘Vangelo di pace’”.

Nell’enciclica il papa auspicava un periodo di pace esercitato nel nome della carità: “Che se talvolta riesce troppo arduo e difficile ubbidire a questa legge, allo scopo di vincere ogni difficoltà lo stesso divino Redentore del genere umano non solo ci assiste con l’efficace aiuto della sua grazia, ma anche con il suo mirabile esempio, poiché mentre pendeva dalla croce scusò presso il Padre coloro che sì ingiustamente e iniquamente lo tormentavano, e disse quelle parole: ‘Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno’.

Noi pertanto che per primi dobbiamo imitare la misericordia e la benignità di Gesù Cristo, di cui, senza alcun merito, teniamo le veci, perdoniamo di gran cuore, sul suo esempio, a tutti e singoli i Nostri nemici che, consapevoli o inconsci, ricoprirono o coprono anche ora la persona e l’opera Nostra con ogni sorta di vituperi, e tutti abbracciamo con somma carità e benevolenza, non tralasciando alcuna occasione per beneficarli quanto più possiamo. Ciò stesso sono tenuti a praticare i cristiani, veramente degni di tale nome, verso coloro dai quali, durante la guerra, ricevettero offesa”.

Quindi davanti alla catastrofe umanitaria causata dalla guerra il papa propone la ‘visione’del buon samaritano: “A chi contempla tale quadro di miserie, da cui è oppressa l’umanità, s’affaccia spontaneo alla mente il ricordo di quel viandante evangelico, il quale, recandosi da Gerusalemme a Gerico, s’imbatté nei banditi che, spogliatolo e copertolo di ferite, lo abbandonarono semivivo sulla via.

I due casi si assomigliano grandemente; e come a costui si avvicinò pieno di compassione il Samaritano, che versandogli sulle ferite olio e vino lo fasciò, lo condusse all’albergo e si prese cura di lui, così a risanare le ferite del genere umano è necessario che appresti la sua mano Gesù Cristo, di cui il Samaritano era l’immagine”.

E’ l’immagine di una Chiesa sempre attenta al popolo, una Chiesa ‘ospedale da campo’, quella tracciata da papa Benedetto XV: “Questi sono appunto l’opera e il compito che la Chiesa rivendica per sé come erede e custode dello spirito di Gesù Cristo; la Chiesa, diciamo, la cui intera esistenza è tutta intessuta di una mirabile varietà di benefìci… Questi tratti di beneficenza cristiana, raddolcendo gli animi, sono di straordinaria efficacia per ricondurre i popoli alla tranquillità”.

Un invito particolare è rivolto soprattutto agli Stati ‘vincitori’ nella Prima Guerra mondiale, affinché pratichino la ‘carità’: “Quanto Noi abbiamo qui ricordato ai singoli circa il dovere che essi hanno di praticare la carità, intendiamo che sia pure esteso a quei popoli che hanno combattuto la lunga guerra, affinché rimossa, per quanto è possibile, ogni causa di dissidio, e salve naturalmente le ragioni della giustizia, riprendano tra loro relazioni amichevoli.

Infatti, la legge evangelica della carità che esiste fra gli individui non è diversa da quella che deve esistere fra gli Stati e i popoli, dato che questi, infine, non sono che l’insieme dei singoli individui. E poiché la guerra è finita, non solo per motivi di carità, ma anche per una certa necessità di cose, si va delineando un collegamento universale fra i popoli, spinti naturalmente ad unirsi fra loro da mutui bisogni, oltreché da vicendevole benevolenza, specialmente ora con l’accresciuto incivilimento e con la facilità di rapporti commerciali mirabilmente aumentata”.

Ed auspicava che la nascente ‘Società delle Nazioni’ fosse fondata sulla ‘legge’ cristiana della fratellanza:  “E una volta che questa Lega tra le nazioni sia fondata sulla legge cristiana, per tutto ciò che riguarda la giustizia e la carità, non sarà certo la Chiesa che rifiuterà il suo valido contributo, poiché, essendo essa il tipo più perfetto di società universale, per la sua stessa essenza e finalità è di una meravigliosa efficacia ad affratellare fra loro gli uomini, non solo in ordine alla loro eterna salvezza, ma anche al loro benessere materiale di questa vita; li conduce cioè attraverso i beni temporali, in modo che non perdano quelli eterni.

Perciò sappiamo dalla storia che, da quando la Chiesa pervase del suo spirito le antiche e barbariche genti d’Europa, cessarono un po’ alla volta le varie e profonde contese che le dividevano, e federandosi col tempo in una unica società omogenea, diedero origine all’Europa cristiana, la quale, sotto la guida e l’auspicio della Chiesa, mentre conservò a ciascuna nazione la propria caratteristica, culminò in una unità, fautrice di prosperità e di grandezza”.

Quindi nell’enciclica il papa auspicava un ‘legame universale di popoli’ e proponeva di ‘ridurre, se non è dato di abolire, le enormi spese militari’. Purtroppo le parole di fratellanza del papa non vennero ascoltate e dopo alcuni anni avvennero due tragici momenti di crisi mondiale: la Grande Depressione, avviatasi nel 1929, che portò a risoluzioni ‘sovraniste’, e la Seconda guerra mondiale (1939-45).

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