Eurispes: per il 15,6% la Shoah non è esistita

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Secondo il ‘Rapporto Italia 2020’ dell’Eurispes dal 2004 a oggi aumenta il numero di chi pensa che la Shoah non sia mai avvenuta: erano solo il 2,7% oggi sono il 15,6%. Secondo la maggioranza degli italiani, recenti episodi di antisemitismo sono casi isolati, che non sono indice di un reale problema di antisemitismo nel nostro Paese (61,7%). Al tempo stesso, il 60,6% ritiene che questi episodi siano la conseguenza di un diffuso linguaggio basato su odio e razzismo. Per meno della metà del campione (47,5%) gli atti di antisemitismo avvenuti anche in Italia sono il segnale di una pericolosa recrudescenza del fenomeno. Per il 37,2%, invece, sono bravate messe in atto per provocazione o per scherzo.

Rispetto al 2010, sono diminuiti di oltre dieci punti gli italiani favorevoli allo Ius soli (dal 60,3% al 50%) e sono aumentati notevolmente i sostenitori più rigidi dello Ius sanguinis (dal 10,7% al 33,5%, quasi 23 punti in più). In calo anche gli italiani che si augurano che venga concessa la cittadinanza per chi è nato in Italia, purché educato in scuole italiane (dal 21,3% al 16,5%).

Dallo studio emerge che 4 italiani su 10 (40,3%) definiscono il proprio rapporto con gli immigrati ‘normale’, quasi 1 su 5 (19,4%) parla di reciproca indifferenza, il 14,4% di reciproca disponibilità, mentre il 10,1% trova gli immigrati ostili, l’8,1% li trova insopportabili, il 7,7% afferma di temerli. Secondo il 45,7% degli italiani un atteggiamento di diffidenza nei confronti degli immigrati è ‘giustificabile, ma solo in alcuni casi’. Per il 23,8% guardare con diffidenza gli immigrati è ‘pericoloso’; per il 17,1% è ‘condivisibile’, per il 13,4% è ‘riprovevole’ (-4,3% rispetto al 2010).

Inoltre il 53,2% degli italiani ritiene di vivere in una città abbastanza (44,1%) e molto (9,1%) sicura; sul versante opposto, il 30,4% giudica la propria città come poco (26,3%) e per niente sicura (4,1%). Il ‘Rapporto Italia’ aggiunge che sono soprattutto i giovanissimi (dai 18 ai 24 anni) a segnalare un livello basso di sicurezza nella città in cui vivono (complessivamente poco o per niente sicura per il 33,3%).

E sulla gravità della negazione di un avvenimento storico come la Shoah la senatrice a vita, Liliana Segre, è intervenuta al Parlamento europeo di Bruxelles, ricordando i romanzi di Primo Levi: “Quel giorno l’Armata Rossa vi è entrata ed è molto bello il discorso che fa Primo Levi ne ‘La Tregua’ dei quattro soldati russi che non liberano il campo perché i nazisti erano già scappati, ma si trovano di fronte a questo spettacolo incredibile. Uno spettacolo più tardi incredibile per tutti coloro che lo vollero guardare, mentre qualcuno non lo vuole vedere nemmeno adesso e dice che non è vero. Si tratta dello stupore per il male altrui”.

Ha ricordato anche il proprio impegno nel raccontare agli studenti la vita nei lager: “Quando parlo nelle scuole dico che ognuno nella vita deve mettere una gamba davanti all’altra, che non si deve mai appoggiare a nessuno perché nella ‘Marcia della morte’ non potevamo appoggiarci al compagno vicino che si trascinava nella neve con i piedi piagati e che veniva finito dalla scorta se fosse caduto. Ucciso.

La forza della vita è straordinaria, è questo che dobbiamo trasmettere ai giovani di oggi. Noi non volevamo morire, eravamo pazzamente attaccati alla vita qualunque essa fosse per cui proseguivamo una gamba davanti l’altra, buttandoci nei letamai, mangiando anche la neve che non era sporca di sangue”.

Dopo aver raccontato l’indifferenza degli europei di quel periodo ha sottolineato che l’antisemitismo è sempre esistito: “La gente mi chiede come mai si parli ancora di antisemitismo. Io rispondo che c’è sempre stato, ma non era il momento politico per tirare fuori il razzismo e l’antisemitismo insiti nell’animo dei poveri di spirito. E poi arrivano i momenti più adatti, corsi e ricorsi storici, in cui ci si volta dall’altra parte.

E allora tutti quelli che approfittano di questa situazione trovano il terreno più adatto per farsi avanti. Quando subito dopo la guerra per caso restai viva e tornai nella mia Milano con le macerie fumanti, ero una ragazza ferita, selvaggia, che non sapeva più mangiare con forchetta e coltello, ancora abituata a mangiare come le bestie. Ero criticata anche da coloro che mi volevano bene: volevano di nuovo la ragazza borghese dalla buona educazione”.

Ha concluso che, anche se doloroso, è un dovere testimoniare: “E’ mio dovere parlare nelle scuole, testimoniare. Ma non posso che parlare di me e delle mie compagne. Sono io che salto fuori. Quella ragazzina magra, scheletrita, disperata, sola. E non lo posso più sopportare perché sono la nonna di me stessa e sento che se non smetto di parlare, se non mi ritiro per il tempo che mi resta a ricordare da sola e a godere delle gioie della famiglia ritrovata, non lo potrò più fare. Perché non ce la farò più”.

Ha chiesto a tutti di essere una ‘farfalla gialla’: “Anche oggi fatico a ricordare, ma mi è sembrato un grande dovere accettare questo invito per ricordare il male altrui. Ma anche per ricordare che si può, una gamba davanti all’altra, essere come quella bambina di Terezin che ha disegnato una farfalla gialla che vola sopra i fili spinati.

Io non avevo le matite colorate e forse non avevo la fantasia meravigliosa della bambina di Terezin. Che la farfalla gialla voli sempre sopra i fili spinati. Questo è un semplicissimo messaggio da nonna che vorrei lasciare ai miei futuri nipoti ideali. Che siano in grado di fare la scelta. E con la loro responsabilità e la loro coscienza, essere sempre quella farfalla gialla che vola sopra ai fili spinati”.

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