Il card. Parolin traccia il compito della diplomazia per la pace

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Giovedì 28 novembre è stato inaugurato dal segretario di stato vaticano, card. Pietro Parolin, l’Anno Accademico 2019-2020 dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che nella ‘lectio magistralis’ ha ricordato il ruolo della diplomazia per la pace:

“La dottrina della Chiesa, ben cosciente dell’autonomia delle realtà temporali chiama, infatti, il popolo di Dio attraverso tutte le possibili vie a favorire la necessaria interazione tra la scienza, con le sue teorie e le sue scoperte, e la visione cristiana ‘affinché il senso religioso e la rettitudine morale procedano di pari passo con la conoscenza scientifica e con il continuo progresso della tecnica’.

La Chiesa, del resto, pone grande attenzione agli sforzi che quotidianamente si compiono nell’ambito della conoscenza e del sapere, non mancando però di valutarne di volta in volta il senso e la portata. E questo per incoraggiare che soluzioni e vantaggi siano adottati per il bene della persona, delle sue aspettative, dei suoi diritti fondamentali, sapendo così di concorrere a quella coesione sociale oggi tanto necessaria e attesa”.

Un Paese non si sviluppa se al suo interno non c’è armonia: “Il futuro di un Paese, infatti, si potrà edificare solo attraverso l’impegno comune delle sue diverse componenti volto a favorire lo sviluppo, la crescita, la formazione, la competenza, ma senza sacrificare la stabilità delle istituzioni e il rispetto della loro azione, e mai dimenticando i valori che sono parte della identità di un popolo e di una nazione. Questo consentirà anche di fronteggiare e superare le avversità e le sfide che ogni èra propone, evitando così che possano trasformarsi solo in veicoli di insicurezza o di rassegnazione”.

Quindi ha delineato anche il ruolo dell’Università: “Un metodo che domanda un ruolo attivo dell’Università non pensata più come dispensatrice di un sapere teorico o come ambiente che si compiace dei traguardi conquistati dai suoi studenti o dai suoi docenti, ma Università come soggetto capace di aprirsi non solo alle sfide, ma di superare anguste barriere attraverso lo studio, la conoscenza e l’analisi di quanto la circonda”. 

Riprendendo l’enciclica di san Giovanni XXIII, ‘Pacem in terris’, di cui papa Francesco ha sottolineato l’attualità a Nagasaki,  il card. Parolin ha sottolineato la correlazione tra pace e diplomazia: “La pace infatti, se resta ‘anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi’ come la descrive san Giovanni XXIII nella Pacem in terris, non si slega dai fatti, dai contrasti e dalle esigenze del vivere quotidiano di cui protagonisti o almeno spettatori sono le persone, compresi i diplomatici.

Lo ha spiegato molto bene Papa Francesco la scorsa domenica, recandosi in due luoghi simbolo, Hiroshima e Nagasaki, dove per la prima volta si fece uso bellico di armamenti nucleari per porre fine a una guerra… Un’indicazione da cui si ricava la diretta correlazione tra la pace e l’azione diplomatica nella quale è evidente che gli atteggiamenti personali sono essenziali veicoli di pace, anche quelli in apparenza di minor rilievo. L’esperienza ci mostra che in quanti si avvicinano all’azione diplomatica della Santa Sede è sempre presente un interrogativo: per quale fine agisce la diplomazia pontificia?”

Entrando nello specifico del tema ha chiarito il ruolo della diplomazia pontificia: “Guardando alla struttura della diplomazia pontificia l’obiettivo della piena comunione tra il Romano Pontefice e le chiese locali non solo è essenziale per la vita e le attività di queste ultime, ma ne è la caratteristica anche quando essa opera con i diversi Paesi e di conseguenza con i Governi.

La comunione nella Chiesa e della Chiesa è essenziale ai modi di annuncio della Buona Novella a tutte le genti ed è la base di ogni dialogo”. Il ruolo fondamentale della diplomazia è aprire cammini di dialogo: “Ed è proprio il dialogo che, da sempre, anche nelle situazioni più difficili è voluto, si instaura e sviluppa anche in ragione della pace. Potremo dire che per la Santa Sede si tratta di un impegno strutturato, volto cioè a conoscere i fatti e le situazioni interpretandole alla luce dei principi evangelici e delle regole internazionali, non tralasciando mai gli elementi che pur minimamente possono favorire la concordia e non la contrapposizione, la soluzione delle dispute e non il loro allargamento”.

Ha anche sottolineato l’importante ruolo diplomatico svolto dal card. Angelo Roncalli: “Ma spesso si dimentica quanto il diplomatico Angelo Roncalli si sia sempre adoperato per la pace nel suo servizio in Bulgaria, Turchia, Grecia, Francia. Lo testimoniano i contenuti nel suo Giornale dell’anima, lo scrigno letterario dove egli amava annotare fatti e circostanze che lo coinvolgevano nella sua missione di diplomatico pontificio. Ebbene, basta leggerne poche righe per aver chiaro quale peso avesse il suo desiderio di operare a favore della pace…

Un’indicazione che ci porta alle radici più profonde della diplomazia pontificia e che permette di ritrovarne il metodo, valido ancora oggi pur di fronte alle molteplici realtà, anche dolorose, presenti nelle relazioni internazionali. La guerra, la violazione dei principi e delle norme, la perdita del senso di umanità sono realtà che viviamo e alle quali si accompagnano incertezze e prospettive buie.

Di fronte a tale quadro per la Santa Sede l’obiettivo è di rendere operante la visione cristiana e il magistero ecclesiale, coniugandolo sempre alla relazione tra il governo centrale della Chiesa e le realtà locali con le loro esigenze e peculiarità”.

Inoltre ha ricordato il valore delle relazioni diplomatiche del Vaticano: “ Poi lo stabilire relazioni diplomatiche con gli Stati, oggi ben 180 con tradizioni, visioni religiose e ideologiche diverse… Questo le impone di ricercare i punti di contatto rispetto alla dottrina della Chiesa, quei semina Verbi, i ‘raggi della Sua verità’ come ebbe a definirli san Giovanni Paolo II”.

Infine ha ricordato il ruolo delle organizzazioni intergovernative: “Non da ultimo va considerata la presenza nelle Organizzazioni intergovernative universali, regionali o di gruppo, la cui competenza spazia nei diversi settori in cui si manifestano gli interessi dei Paesi e quelli più generali della famiglia umana.

La presenza nel multilaterale consente alla Santa Sede di perseguire il grande obiettivo della pace declinandolo nelle sue diverse sfumature: dal disarmo allo sviluppo, dall’educazione alla proprietà intellettuale, dal commercio alle telecomunicazioni e si potrebbe continuare. La Chiesa ne sostiene da sempre l’importanza e la funzione, come ha fatto di recente Papa Francesco…

Un sostegno oggi ancor più necessario di fronte all’empasse che spesso investe le Istituzioni multilaterali e la diplomazia ad esse collegata. Una crisi che la diplomazia pontificia nota e studia, ma che certamente non può condividere, tanto meno aggiungendosi al coro di quanti decretano l’inutilità del foro multilaterale, magari per avanzare la sopravvenienza di interessi particolari.

Nelle Organizzazioni intergovernative il percorso verso decisioni che coinvolgono tutti i Paesi è sempre faticoso e spesso comporta di sacrificare l’ego del nazionalismo o l’impellenza dell’interesse particolare”.

Ha concluso affermando il ruolo della diplomazia di fronte ai conflitti: “E’ di fronte a questi scenari che la diplomazia deve riscoprire il suo ruolo, quale forza che agisce preventivamente rispetto alle minacce alla pace e alla sicurezza, cercando di sostenere ogni sforzo, di cogliere ogni segnale anche minimo in grado di suscitare la cultura dell’incontro e del dialogo, offrendo delle alternative praticabili alle armi, alla violenza, al terrore.

Nel concorrere a delineare scenari di pace, alle finalità della diplomazia operativa, il diplomatico pontificio aggiunge la consapevolezza che ‘la pace non è più di un ‘suono di parole’ se non si fonda sulla verità, se non si costruisce secondo la giustizia, se non è vivificata e completata dalla carità e se non si realizza nella libertà’.

E’ questo il solco in cui si inserisce la Santa Sede quando si rende parte attiva nell’opera di scongiurare i conflitti o nell’accompagnare processi di pace e di ricerca di soluzioni negoziali agli stessi”.

Quindi una diplomazia capace di costruire la pace: “Una diplomazia, dunque, veicolo di dialogo, di cooperazione e di riconciliazione, che poi diventano tutte vie alla pace se sostituiscono le rivendicazioni reciproche, le contrapposizioni fratricide, l’idea di nemico e il rifiuto dell’altro. Soprattutto una diplomazia capace di concorrere a costruire la pace sostituendosi all’uso della forza, e cioè a quella strada considerata più breve, ma certamente non risolutiva”.

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