Con un libro, Monti spiega la sua ricetta economica a Benedetto XVI

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È arrivato puntualissimo alle undici, si è intrattenuto un po’ con i gentiluomini di Sua Santità (uno gli ha fatto vedere il panorama, e lui ha commentato: “Una vista rara”) aspettando il segnale del Papa e poi è entrato nella Biblioteca del Palazzo Apostolico, dove è rimasto per circa 25 minuti. Il battesimo vaticano di Mario Monti presidente del Consiglio avviene senza fronzoli, in una visita definita “di tabella” che si è svolta secondo tutti i canoni delle visite dei capi di governo. Benedetto XVI non è uscito dalla Biblioteca per salutarlo, e le (poche) parole raccolte dai giornalisti si sono rivelate soprattutto frasi di circostanza. “Lei è stato adesso in Germania, a Berlino”, ha detto Ratzinger rivolto a Monti dopo che i due si sono seduti al tavolo della biblioteca papale. “Sì, il tempo era brutto ma il clima era buono», ha replicato Monti. “Avete cominciato bene ma in una situazione difficilissima… quasi insolubile”, ha detto poi il Pontefice a proposito dell’azione di governo in relazione alla crisi economica. Il premier ha quindi risposto: “È importante cercare fin dall’inizio di dare il segno di una certa determinazione”.

Ma è nello scambio di doni il momento che si possono comprendere i punti di vista di Benedetto XVI e Monti. Il Papa regala al premier una stampa del Cinquecento, che raffigura la costruzione della basilica di San Pietro. “Così si può vedere come abbiamo costruito la nuova San Pietro”, chiosa il Papa dopo la lunga spiegazione di monsignor De Nicolò, reggente della Prefettura della Casa Pontificia. Monti regala al Papa un libro del Poligrafico dello Stato e poi un suo libro, “Il governo dell’Economia e della Moneta”, una sua raccolta di saggi del 1992, un libro – ha deto Monti – “sul governo dell’economia mondiale, i cui temi rispecchiano lo spirito della nostra precedente discussione”. Aggiunge poi il premier:  “E’ stato pubblicato proprio mentre lei parlava di Europa”.

Da tempo, Joseph Ratzinger si dedicava alla perdita di radici dell’Europa. Riflessioni che gli venivano dai primissimi anni del suo sacerdozio, dalla breve esperienza come viceparroco, che lo aveva portato poi a scrivere un saggio su “I nuovi pagani e la Chiesa”, pubblicato in Italia nel libro “ll nuovo popolo di Dio”, pubblicato in Italia proprio nel 1992. Ratzinger non si riferiva all’ateismo orientale, ma al “paganesimo intraecclesiale che segna i popoli occidentali della cristianità, dove dal Medioevo con l’identificazione tra Chiesa e mondo l’appartenenza alla Chiesa è diventata necessità politico-culturale”. Erano le radici di un discorso che lo avrebbe portato a parlare della provvidenzialità della demondanizzazione della Chiesa durante l’ultimo viaggio in Germania. D’altronde, già in nel simposio “Chiesa ed economia e dialogo” del 1985, in un intervento intitolato “Market, economics and Ethics”, Ratzinger sottolineava che “non possiamo più guardare ingenuamente al sistema liberale capitalistico (anche con tutte le correzioni che ha sin qui ricevuto) come la salvezza del mondo. Non siamo più nell’era di Kennedy, con il suo ottimismo della pace; il problema del Terzo mondo interroga il sistema forse in maniera parziale, ma non sono senza fondamento. Una autocritica delle confessioni cristiane riguardo l’etica politica ed economica è una delle prime cose da fare”.

Il 1992 era anche l’anno della pubblicazione di “Svolta per l’Europa? Chiesa e modernità nell’Europa dei rivolgimenti”, in cui Joseph Ratzinger – in cui ritorna sempre la riaffermazione del senso pubblico dell’ethos cristiano – rilevava: “Una società, che nella sua fisionomia istituzionale è costruita su basi agnostiche e materialistiche e autorizza l’esistenza di tutte le restanti possibili convinzioni soltanto a condizione che rimangano confinate al di sotto della soglia di quanto è pubblico e ha rilevanza civile, non sopravvive a lungo”.

Nel suo libro, Monti disegnava invece l’architettura della nuova Europa. Definiva dei meccanismi di controllo dell’economia, si spendeva in favore dall’antitrust, ma allo stesso tempo sottolineava che c’era la necessità di “più mercato, meno politica”. Una linea liberistica, insomma, ma temperata. Dopo una prima regolamentazione, il mercato deve essere lasciato libero di agire. Di certo, una linea diversa da quella di Benedetto XVI, che nella Caritas in veritate ha auspicato “una autorità mondiale con competenze universali”, ovvero una autorità pubblica a competenza universale, che sia in grado di dare regole condivise alla finanza globale e che sia veramente rappresentativa di tutti i popoli coinvolti”.

In venticinque minuti di colloquio, Papa Benedetto XVI e Mario Monti, presidente del Consiglio italiano, hanno affrontato a volo d’uccello un po’ tutti i problemi che ci sono sul tavolo, dalla crisi internazionale alla situazione sociale italiana. E, quando Monti è sceso in seconda loggia a parlare con il segretario di Stato Bertone e il sottosegretario per i rapporti con gli Stati Ballestrero, accompagnato dai ministri Terzi Sant’Agata e Moavero, avrà certamente messo sul piatto qualcosa di più concreto. D’altronde, proprio in mattinata si è aperto l’anno giudiziario vaticano, e il Promotore di Giustizia Picardi ha sottolineato una progressiva “autolimitazione” dello Stato Vaticano, specie con le normative sul pubblico impiego e sulla parziale revisione del diritto penale nei settori economico finanziario e monetario.

C’è, forse, in queste parole il riferimento alla partita ancora aperta dell’Autorità di Informazione Finanziaria. Tra l’altro, molti componenti dell’AIF sono provengono dal mondo bancario italiano e dalla Banca d’Italia, una scelta, che per molti è poco coerente alla universalità della Santa Sede, che per tradizione è composta da personale internazionale. I rapporti bilaterali con l’Italia sono buoni, ma i confini del Vaticano sono con tutta Europa, non solo con l’Italia, e il peso diplomatico della Santa Sede è considerato a livello internazionale. Forse è anche per questo che, quando Monti ha regalato un’edizione antica di carte nautiche realizzate dal Poligrafo della Zecca di Stato, Benedetto XVI ha commentato: “Un dono anche simbolico”.

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