Finanza Vaticana: un altro passo verso la trasparenza finanziaria

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 Sarà a metà del prossimo 2012 che gli esperti del Moneyval – il gruppo del Consiglio d’Europa che ci si occupa della valutazione dei sistemi antiriciclaggio dei Paesi membri – presenteranno il rapporto finale di valutazione su come il Vaticano si è adeguato alla normativa antiriciclaggio europea. Gli esperti (provenienti da Federazione Russa, Regno Unito, Belgio, Paesi Bassi, Liechtenstein) sono stati in Vaticano dal 21 al 26 novembre, e hanno incontrato i rappresentanti delle Autorità Vaticane competenti su prevenzione dell’antiriciclaggio e del finanziamento al terrorismo.

Era un passaggio obbligato nella procedura che mira a inserire il Vaticano nella white list degli stati virtuosi. Perché fino ad ora il Vaticano è stato considerato un paese extracomunitario a livello di affidabilità bancaria. E dunque presumibilmente anche privo del diritto di battere l’euro come moneta, e di emettere francobolli all’interno della Comunità Europea. Così, il 17 dicembre 2009 la Santa Sede firmò gli accordi monetari con l’Unione Europea. E poi, il 30 dicembre 2010, appena in tempo con la scadenza prevista dagli accordi, un motu proprio di Benedetto XVI, con la quale venne  promulgata la legge 127 dello Stato di Città del Vaticano, che introduceva nella legislativa vaticana la normativa antiriciclaggio. Una legge più rigida di quella italiana – considerata, da molti osservatori internazionali, “ballerina” – che stabilisce anche l’istituzione di una Autorità di Informazione Finanziaria, capeggiata dal cardinale Attilio Nicora (ex presidente dell’Apsa), presieduta da Francesco De Pasquale e formata, tra gli altri, da Marcello Condemi e Giuseppe Dalla Torre. Condemi è stato il deus ex machina della normativa antiriciclaggio, Dalla Torre rappresenta la parte vaticana all’interno della vigilanza, dato che è pure il presidente del tribunale di Città del Vaticano. Quello che si può notare riguardo i membri della vigilanza è che sono tutti laici, esterni, provenienti dal milieu della Banca d’Italia, e allo stesso tempo di scarso appeal internazionale.

Sono stati loro a curare la procedura avviata dalla Santa Sede per entrare nella white list degli Stati “finanziariamente virtuosi”. Il 14 settembre 2011 hanno inviato un documento preliminare illustrativo del quadro giuridico della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano, nonché delle iniziative assunte per l’adeguamento agli standard internazionali in materia ( 40+9 Raccomandazioni del GAFI/FATF e metodologia di valutazione concordate con FMI e Banca Mondiale).

Due erano state le filosofie alla base del documento: una era quella di garantire totale trasparenza su tutte le movimentazioni di denaro da e per il Vaticano; l’altra, che ricordava come – essendo uno Stato sovrano – la Santa Sede doveva avere a livello internazionale le stesse garanzie nella movimentazione di denaro di quelle di qualunque altro stato sovrano. Uno dei punti di discussione è stata la scelta, da parte del presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi, di andare a parlare con i giudici italiani che avevano fatto partire una procedura di sequestro di 23 milioni di euro, soldi movimentati dallo Ior da e verso banche amiche, all’interno delle quali lo Ior aveva aperto dei conti. Quando una richiesta simile era partita dai giudici nei confronti di Angelo Caloia, il predecessore di Gotti Tedeschi allo Ior, questi aveva chiesto una rogatoria internazionale, e aveva poi risposto per iscritto a tutte le domande. Il rischio paventato è che – con questo tipo di aperture – il Vaticano non venga alla lunga più considerato uno Stato con una propria sovranità. Aprendo il fianco anche alle campagne che puntano a fare della Santa Sede una Ong, estromettendola di fatto dal concerto delle nazioni.

E non manca chi – anche all’interno dei Sacri Palazzi –  fa notare che le ultime due procedure giudiziarie contro lo Ior sono partite quasi in concomitanza con l’inizio della procedura della Santa Sede per entrare nella white list. nel settembre del 2009, una indagine – che portò ad un nulla di fatto – era partita per verificare i movimenti di un conto dello Ior acceso in una filiale della Banca Unicredit in via della Conciliazione, a due passi da piazza San Pietro. Nel settembre 2010, il sequestro dei 23 milioni di euro, poi dissequestrati nel momento in cui la legge 127 è entrata in vigore.

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