Padre Pepe a Torino

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Padre Pepe di Paola, prete delle baraccopoli di Buenos Aires e collaboratore dell’allora cardinale Bergoglio, questa sera sarà a Torino (ore 20.30, nel Teatro della Parrocchia di Santa Rita da Cascia, in via Vernazza 26) per un incontro pubblico promosso dall’Editrice Missionaria Italiana, il Centro Missionario Diocesano, l’Ufficio Pastorale Migrantes e la Rivista Missioni Consolata in collaborazione con il Gruppo Abele. L’evento vedrà la partecipazione di don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e sarà moderato da Luca Rolandi, direttore de “La Voce del Popolo”.

Impegnato dal 2012 in una delle baraccopoli più difficili di Buenos Aires, Villa la Carcova, padre Pepe ha per anni coordinato l’equipe di venti sacerdoti che operano nei quartieri più degradati della capitale argentina, in situazioni di grande disagio, violenza e povertà portando la speranza cristiana come unica missione. Minacciato di morte dai narcotrafficanti per il suo impegno nel liberare i giovani dalla droga, padre Pepe spiega così il suo essere prete tra i giovani disagiati: «Il mio progetto è arrivare ai ragazzi prima di chi vende loro la droga o mette loro un’arma in mano». Perché la dipendenza dalle sostanze (il paco, ottenuto dagli scarti della cocaina, pericolosissimo e dannosissimo per la salute fisica e psichica) «non riguarda il fatto che i giovani vadano o non vadano a messa: riguarda il senso della vita – spiega padre Pepe -, sapere per che cosa ti alzi ogni mattina». Ma cosa fanno e come vivono questi preti di periferia, ai quali Bergoglio aveva manifestato grande sostegno? «Vivono in modo impegnato con i poveri», disse di loro Bergoglio, riferendosi soprattutto alle migliaia di immigrati sudamericani, paraguayani, peruviani, boliviani che affollano le villas miserias, i quartieri dei baraccati di Buenos Aires.

Aggiunse inoltre che «la loro è una scelta eroica», infatti assistono quotidianamente a uccisioni per spaccio di droga, morti per risse tra bande, furti e scassi nelle case: ogni giorno vivono in mezzo alla violenza cercando di testimoniare la pace di Cristo. Lo spiega anche Silvina Premat, autrice del libro “Preti dalla fine del mondo. Viaggio tra i curas villeros di Bergoglio” (EMI), in cui sono raccontati la vita, l’opera e l’impegno di padre Pepe, e dove il lavoro missionario dei curas viene così descritto da un giovane ragazzo di strada: «I padri non s’immischiano nella tua vita, né ti dicono di fare questa cosa o quell’altra. Ti dicono le cose bene, perché tu veda che ti fanno bene, ma senza offenderti».

Addirittura per Papa Francesco esiste una «mistica» dei curas villeros, coloro che noi chiameremmo «preti di strada», e infatti don Luigi Ciotti, che firma la prefazione, si sente «coinvolto» in prima persona nell’esperienza dei curas. Questa «mistica» si rifà direttamente a padre Carlos Mugica, uno dei primi sacerdoti che dopo il Concilio Vaticano II scelse di andare a fare il prete nelle baraccopoli di Buenos Aires per vivere realmente e concretamente quell’«opzione per i poveri» che la chiesa stava riscoprendo, in particolare in Sudamerica. Mugica – la cui storia Silvina Premat racconta e dettaglia in maniera quasi cinematografica nel corso del libro, ricostruendo il suo assassinio, avvenuto nel 1974 – diventa un faro che illumina l’esperienza dei curas di oggi, i quali si sentono eredi di una storia ecclesiale e non protagonisti di un’avventura solitaria:

«I primi hanno fatto strada e hanno gettato le basi di una pastorale popolare nelle villas – afferma padre Gustavo Carrara, oggi il coordinatore dei curas villeros -. In ultima istanza, guardo la realtà con gli occhi della fede e credo che sia stato Dio a mettermi qui, al di là della mediazione concreta costituita dal vescovo Bergoglio».

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