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Papa Francesco alle Forze Armate: costruite la pace

“Cari fratelli e sorelle, prima di concludere la celebrazione, desidero salutare tutti voi, che avete dato vita a questo pellegrinaggio giubilare delle Forze Armate, di Polizia e di Sicurezza. Ringrazio per la loro presenza le distinte Autorità civili e, per il loro servizio pastorale, gli Ordinari militari e i Cappellani. Estendo il mio saluto a tutti i militari del mondo, e vorrei ricordare l’insegnamento della Chiesa a tale proposito… Questo servizio armato va esercitato solo per legittima difesa, mai per imporre il dominio su altre nazioni, sempre osservando le convenzioni internazionali in materia di conflitti e, prima ancora, nel sacro rispetto della vita e del creato. Fratelli e sorelle, preghiamo per la pace, nella martoriata Ucraina, in Palestina, in Israele e in tutto il Medio Oriente, in Myanmar, nel Kivu, in Sudan. Tacciano ovunque le armi e si ascolti il grido dei popoli, che chiedono pace!”
A fine della celebrazione eucaristica in occasione del Giubileo delle Forze Armate, di Polizia e di Sicurezza, prima della recita dell’Angelus, papa Francesco ha salutato e ringraziato tutte le autorità presenti delle Forze Armate.
Una celebrazione eucaristica, la cui omelia è stata interrotta e letta dal maestro delle cerimonie pontificie, mons. Diego Giovanni Ravelli, a causa della bronchite che da giorni lo affligge non permettendo di proseguire nella lettura dell’omelia: “L’atteggiamento di Gesù presso il lago di Gennesaret viene descritto dall’Evangelista con tre verbi: vide, salì, sedette. Gesù vide, Gesù salì, Gesù sedette. Gesù non è preoccupato di mostrare un’immagine di sé alle folle, non è preoccupato di eseguire un compito, di seguire una tabella di marcia nella sua missione; al contrario, al primo posto mette sempre l’incontro con gli altri, la relazione, la preoccupazione per quelle fatiche e quei fallimenti che spesso appesantiscono il cuore e tolgono la speranza. Per questo Gesù, quel giorno, vide, salì e sedette”.
Il primo movimento consiste nel vedere: “Egli ha uno sguardo attento che, pure in mezzo a tanta folla, lo rende capace di avvistare due barche accostate alla riva e di scorgere la delusione sul volto di quei pescatori, che ora stanno lavando le reti vuote dopo una notte andata male. Gesù punta il suo sguardo pieno di compassione. Non dimentichiamo questo: la compassione di Dio. I tre atteggiamenti di Dio sono vicinanza, compassione e tenerezza.
Non dimentichiamo: Dio è vicino, Dio è tenero, Dio è compassionevole, sempre. E Gesù punta quello sguardo pieno di compassione negli occhi di quelle persone, cogliendo il loro scoraggiamento, la frustrazione di aver lavorato per tutta la notte senza prendere nulla, la sensazione di avere il cuore vuoto proprio come quelle reti che ora stringono tra le mani”.
Poi Gesù sale: “Chiede proprio a Simone di scostare la barca da terra e ci sale sopra, entrando nello spazio della sua vita, facendosi largo in quel fallimento che abita il suo cuore. E’ bello questo: Gesù non si limita a osservare le cose che non vanno, come spesso facciamo noi finendo per chiuderci nel lamento e nell’amarezza; Egli invece prende l’iniziativa, va incontro a Simone, si ferma con lui in quel momento difficile e decide di salire sulla barca della sua vita, che in quella notte è tornata a riva senza successo”.
Ed infine si siede: “E questa, nei Vangeli, è la tipica postura del maestro, di chi insegna. Infatti il Vangelo dice che sedette e insegnò. Avendo visto negli occhi e nel cuore di quei pescatori l’amarezza per una notte di fatica andata a vuoto, Gesù sale sulla barca per insegnare, cioè per annunciare la buona notizia, per portare la luce dentro quella notte di delusione, per narrare la bellezza di Dio dentro le fatiche della vita umana, per far sentire che c’è ancora una speranza anche quando tutto sembra perduto”.
A questo punto avviene il miracolo: “… quando il Signore sale sulla barca della nostra vita per portarci la buona notizia dell’amore di Dio che sempre ci accompagna e ci sostiene, allora la vita ricomincia, la speranza rinasce, l’entusiasmo perduto ritorna e possiamo gettare nuovamente la rete in mare”.
Quindi rivolgendosi alle Forze armate consegna una missione: “A voi è affidata una grande missione, che abbraccia molteplici dimensioni della vita sociale e politica: la difesa dei nostri Paesi, l’impegno per la sicurezza, la custodia della legalità e della giustizia, la presenza nelle case di reclusione, la lotta alla criminalità e alle diverse forme di violenza che rischiano di turbare la pace sociale. E ricordo anche quanti offrono il loro importante servizio nelle calamità naturali, per la salvaguardia del creato, per il salvataggio delle vite in mare, per i più fragili, per la promozione della pace”.
Quei tre verbi di Gesù ben si addicono alle forze armate: “Anche a voi il Signore chiede di fare come Lui: vedere, salire, sedersi. Vedere, perché siete chiamati ad avere uno sguardo attento, che sa cogliere le minacce al bene comune, i pericoli che incombono sulla vita dei cittadini, i rischi ambientali, sociali e politici cui siamo esposti.
Salire, perché le vostre divise, la disciplina che vi ha forgiato, il coraggio che vi contraddistingue, il giuramento che avete fatto, sono tutte cose che vi ricordano quanto sia importante non soltanto vedere il male per denunciarlo, ma anche salire sulla barca in tempesta e impegnarsi perché non faccia naufragio, con una missione al servizio del bene, della libertà, e della giustizia.
Ed infine sedervi, perché il vostro essere presenti nelle nostre città e nei nostri quartieri, il vostro stare sempre dalla parte della legalità e dalla parte dei più deboli, diventa per tutti noi un insegnamento: ci insegna che il bene può vincere nonostante tutto, ci insegna che la giustizia, la lealtà e la passione civile sono ancora oggi valori necessari, ci insegna che possiamo creare un mondo più umano, più giusto e più fraterno, nonostante le forze contrarie del male”.
Anche i cappellani hanno un ‘nuovo’ ruolo di ‘sostegno’: “Essi non servono (come a volte è tristemente successo nella storia) a benedire perverse azioni di guerra. No. Essi sono in mezzo a voi come presenza di Cristo, che vuole accompagnarvi, offrirvi ascolto e vicinanza, incoraggiarvi a prendere il largo e sostenervi nella missione che portate avanti ogni giorno. Come sostegno morale e spirituale, essi fanno la strada con voi, aiutandovi a svolgere i vostri incarichi alla luce del Vangelo e al servizio del bene”.
E’ un’esortazione a guardare il loro ruolo con occhi nuovi: “Cari fratelli e sorelle, vi siamo grati per quanto operate, a volte rischiando personalmente. Grazie perché salendo sulle nostre barche in pericolo, ci offrite la vostra protezione e ci incoraggiate a continuare la nostra traversata. Ma vorrei anche esortarvi a non perdere di vista il fine del vostro servizio e delle vostre azioni: promuovere la vita, salvare la vita, difendere la vita sempre.
Vi chiedo per favore di vigilare: vigilare contro la tentazione di coltivare uno spirito di guerra; vigilare per non essere sedotti dal mito della forza e dal rumore delle armi; vigilare per non essere mai contaminati dal veleno della propaganda dell’odio, che divide il mondo in amici da difendere e nemici da combattere. Siate invece testimoni coraggiosi dell’amore di Dio Padre, che ci vuole fratelli tutti. Ed, insieme, camminiamo per costruire una nuova era di pace, di giustizia e di fraternità”.
(Foto: Santa Sede)
Dall’Assemblea sinodale una Chiesa missionaria

La prima giornata prima Assemblea sinodale della Chiesa italiana si è conclusa con l’intervento di Erica Toscani, componente della presidenza del Comitato Nazionale del Cammino sinodale, che ha meditato sul brano evangelico di Luca in cui si esaltano gli ‘occhi che vedono ciò che voi vedete’: “Beati gli occhi che vedono ciò che noi vediamo! E ciò che noi stiamo vedendo, ciò a cui stiamo prendendo parte, è il venire alla luce di un nuovo volto di Chiesa, auspicato e desiderato dal Concilio Vaticano II, di cui in questo luogo fu piantato il germe iniziale… Il nascere di un nuovo volto di Chiesa: è questo ciò che noi stiamo vedendo ed accompagnando oggi. Niente di meno!”
Camminando si impara a camminare insieme: “Tutti noi abbiamo ben presente le fatiche che questo processo di apprendimento ha comportato e comporta: la fatica, prima e primitiva, di viaggiare con compagni che ‘ci siamo ritrovati’ e che, probabilmente, in partenza non avremmo scelto; la fatica di riconoscerci reciprocamente e di far spazio al contributo di ognuno; la fatica di capire come armonizzare passi e velocità che appaiono e che rimangono diversi; la fatica di imparare ad abitare con pacatezza, ma anche con parresia e grande libertà interiore, gli ostacoli, le resistenze date da processi, strutture, prassi, mentalità, che chiedono la pazienza della goccia che scava la roccia; la frustrazione di non aver ben chiare tappe, metodi, meta e di non riuscire sempre ad immaginare i passi possibili”.
Anche la Chiesa ha cominciato a fare un cammino insieme dall’ascolto: “Il Cammino sinodale, quello italiano così come quello universale, ha preso avvio dall’ascolto: ascolto della vita delle persone, ascolto delle esperienze delle Chiese locali, ascolto della realtà e delle istanze del mondo. Ascolto certo perfettibile, ma che dice ed è già un passo concreto e fondamentale per una Chiesa che vuol essere missionaria, cioè ‘nel mondo e per il mondo’, e che dunque non può non partire dalle domande, dalle sofferenze, dalle gioie e dai desideri degli uomini e delle donne di questo tempo. E’ dalla vita reale che siamo partiti per capire, alla luce del Vangelo, dove andare; ed è alla vita reale che questo processo deve e vuole tornare”.
Ed il coinvolgimento non si può trascurare: “E’ un segno del Regno che c’è già e che viene! Ci dice che è possibile, anche se faticoso, continuare a tendere, a credere e a dar corpo a questa possibilità di camminare insieme in quell’ ‘armonia delle differenze’ che lo Spirito rende possibile, come ci ricorda papa Francesco”.
Tale coinvolgimento avviene attraverso il dialogo: “Tenere aperto il dialogo, continuare a stare seduti allo stesso tavolo attraversando gli inevitabili conflitti che emergono e mettendo in discussione le proprie certezze, senza cedere alla facile scorciatoia di far saltare il banco, è forse la più grande profezia che possiamo essere e portare al nostro tempo: un tempo in cui pare che, dinnanzi alle differenze, le uniche opzioni possibili siano l’assimilazione, la divisione o la guerra”.
Mentre la giornata odierna si è aperta con la ‘lectio divina’ di don Dionisio Candido, responsabile dell’Apostolato Biblico della CEI, che ha approfondito il racconto degli Atti degli Apostoli, in cui si racconta la Pentecoste: “Con la sua Ascensione al cielo si chiude definitivamente l’esperienza terrena di Gesù. Non bisogna più stare a guardare il cielo. I discepoli devono imparare a lasciarlo andare. Devono avere il coraggio della sua assenza… L’allontanamento di Gesù dalla vista dei discepoli, per quanto drammatico per i discepoli, è in fondo un gesto di fiducia verso di loro, chiamati adesso a vivere in autonomia e creatività la loro vita di fede”.
L’Ascensione segna un nuovo protagonismo: “D’ora in poi i discepoli dovranno riuscire a tenere pura la loro coscienza per ascoltare la voce interiore dello Spirito e dovranno assumersi la responsabilità di essere testimoni adulti e affidabili. Il libro degli Atti comincia a mettere in rilievo i primi segni di questa nuova stagione della Chiesa e dell’umanità. Tra questi primi segni c’è la comunità dei discepoli stessa, insieme variegata e unita: al suo interno gli apostoli, ma anche Maria, le donne (probabilmente le stesse che avevano seguito Gesù dalla Galilea), e altri familiari di Gesù”.
E la Chiesa inizia da una casa: “Lo strano gruppo misto e compatto insieme, dove spicca Maria, si ritrova nella stanza ‘al piano superiore’. Forse è un modo che Luca usa per indicare la stanza dell’Ultima Cena, il Cenacolo. Di certo, in Atti la nuova comunità riparte da una casa, non dal tempio. Proprio qui, l’Eucaristia, il dono che Cristo ha fatto di sé in un contesto familiare, consente a tutti di essere concordi nella preghiera. E’ la fede che unisce”.
Dopo le testimonianze delle buone pratiche la giornata si è conclusa con la recita dei vespri e la preghiera per le vittime di abusi, in cui il segretario generale della Cei, mons. Giuseppe Baturi, il valore del cammino insieme: “Adesso comprendiamo che il nostro camminare insieme è sempre un lasciarci attrarre da Colui che per questo è stato innalzato sulla croce, proprio per attirare i nostri desideri, muovere i passi, farci volgere lo sguardo e rendere attenti gli orecchi. Per imparare ad amare.
La Chiesa, comunità di coloro che confidano nel Signore, cammina insieme, nella ricchezza e varietà dei carismi e dei ministeri, perché Gesù Cristo ci tiene a sé come una mamma il bambino, come un padre che ci tiene per mano mentre ci insegna a camminare: con le braccia aperte, la mano salda e il sorriso sulle labbra. Guardiamo Gesù. E’ lui l’ospite dolce dell’anima, la nostra dolce memoria”.
Per questo l’arcivescovo di Cagliari ha evidenziato che non bisogna distogliere lo sguardo dalle vittime di abusi: “Il tema ‘Ritessere fiducia’ dice la necessità di non lasciar cadere alcun filo dei rapporti. Tutti i sussidi di questa Giornata sono stati redatti da vittime di abusi e da loro familiari cosicché leggere, meditare e pregare questi testi è come un cammino verso la cisterna buia e vuota in cui si sono sentiti scaraventati, soli e spogliati di tutto, ma anche verso l’aurora di speranza di un cambiamento possibile per grazia. Per-dono.
Come è ben descritto nel commento biblico offerto per l’occasione, uno strappo come l’abuso non può essere sanato da una nuova toppa ma solo da una nuova veste, da un cambiamento radicale di cultura, di metodo, di cuore, un cambiamento che richiede l’infinita pazienza del dolore espresso e ascoltato, la speranza alimentata e valorizzata, la fiducia riannodata. E tutto perdonato”.
Papa Francesco invita a vedere

Nel Messaggio per la 55^ Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, che si celebra oggi, sul tema ‘Vieni e vedi. Comunicare incontrando le persone dove e come sono’, papa Francesco mette in guardia dal rischio di un’informazione sempre uguale, esortando ad andare ‘laddove nessuno va’ e non raccontare la pandemia solo con gli occhi del mondo più ricco, perché la chiamata a ‘venire e vedere’ è anche ‘il metodo di ogni autentica comunicazione umana’.
Sofia Novelli e l’arte sacra, la bellezza comunica nel movimento

Quest’anno il messaggio per la 55^ giornata mondiale delle comunicazioni sociali, che si celebra domenica 16 maggio, è dedicato al vedere, ‘Comunicare incontrando le persone dove e come sono’, che prende avvio dal vangelo di san Giovanni, ‘Vieni e vedi’, ed il papa invita ad ‘uscire dalla comoda presunzione del ‘già saputo’ e mettersi in movimento’:
Da Gerusalemme un invito a vedere Gesù risorto

Da Gerusalemme, cuore della Pasqua cristiana, anche quest’anno, seppur in pandemia è risuonato il suono della resurrezione trasmesso dall’Angelo alle donne recatesi al sepolcro, come ha sottolineato il patriarca di Gerusalemme, mons. Pierbattista Pizzaballa, riprendendo il canto dell’antifona ‘Sono risorto e sono ancora con voi, alleluia’, tratto dal salmo 139: