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Papa Francesco ha il desiderio di recarsi a Nicea

“Siamo vicini, ormai, all’apertura della Porta Santa del Giubileo e abbiamo da poco concluso la XVI Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. A partire da questi due eventi desidero rivolgervi due pensieri: il primo è rimettere Cristo al centro, il secondo è sviluppare una teologia della sinodalità”: con questi pensieri papa Francesco oggi ha ricevuto i partecipanti all’assemblea plenaria della Commissione Teologica Internazionale, sottolineando la centralità di Gesù.
Anzi parlando del Concilio di Nicea ha espresso il desiderio di un viaggio apostolico: “Il Giubileo ci invita a riscoprire il volto di Cristo e a ricentrarci in Lui. E durante questo Anno Santo, avremo anche l’occasione di celebrare la ricorrenza dei 1700 anni del primo grande Concilio Ecumenico, quello di Nicea. Io penso di recarmi lì. Questo Concilio costituisce una pietra miliare nel cammino della Chiesa e anche dell’intera umanità, perché la fede in Gesù, Figlio di Dio fatto carne per noi e per la nostra salvezza, è stata formulata e professata come luce che illumina il significato della realtà e il destino di tutta la storia”.
Ripetendo l’invito di san Pietro, che invita a rispondere della ragione della propria fede il papa ha ribadito l’essenzialità evidenziata dal concilio niceno: “Questa esortazione, che è rivolta a tutti i cristiani, si può applicare in modo particolare al ministero che i teologi sono chiamati a svolgere come servizio al Popolo di Dio: favorire l’incontro con Cristo, approfondire il significato del suo mistero, affinché possiamo meglio comprendere ‘quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza’.
Il Concilio di Nicea, affermando che il Figlio è della stessa sostanza del Padre, mette in luce qualcosa di essenziale: in Gesù possiamo conoscere il volto di Dio e, allo stesso tempo, anche il volto dell’uomo, scoprendoci figli nel Figlio e fratelli tra di noi”.
Perciò ecco la necessità di un approfondimento di tale Concilio: “E’ importante, allora, che abbiate dedicato gran parte di questa Plenaria a lavorare su un documento che vuole illustrare il significato attuale della fede professata a Nicea. Tale documento potrà essere prezioso, nel corso dell’anno giubilare, per nutrire e approfondire la fede dei credenti e, a partire dalla figura di Gesù, offrire anche spunti e riflessioni utili a un nuovo paradigma culturale e sociale, ispirato proprio all’umanità di Cristo”.
Ecco il significato della centralità di Gesù: “Oggi, infatti, in un mondo complesso e spesso polarizzato, tragicamente segnato da conflitti e violenze, l’amore di Dio che si rivela in Cristo e ci viene donato nello Spirito diventa un appello rivolto a tutti, perché impariamo a camminare nella fraternità e a essere costruttori di giustizia e di pace. Solo in questo modo possiamo spargere semi di speranza là dove viviamo. Rimettere Cristo al centro significa riaccendere questa speranza e la teologia è chiamata a farlo, in un lavoro costante e sapiente, nel dialogo con tutti gli altri saperi”.
Da qui l’appello a sviluppare una ‘teologia della sinodalità’: “L’Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi ha dedicato un punto del documento finale al compito della teologia, nel contesto dei ‘carismi, vocazioni e ministeri per la missione’… Questa è stata una visione di san Paolo VI alla fine del Concilio, quando ha creato il Segretariato del Sinodo dei Vescovi. In quasi 60 anni si è sviluppata questa teologia sinodale, a poco a poco, e oggi possiamo dire che è matura. Ed oggi non si può pensare una pastorale senza questa dimensione di sinodalità”.
In questo modo si coglie meglio la visione ecclesiologica: “Perciò, insieme alla centralità di Cristo, vorrei invitarvi a tenere presente anche la dimensione ecclesiologica, per sviluppare al meglio la finalità missionaria della sinodalità e la partecipazione di tutto il Popolo di Dio nella sua varietà di culture e tradizioni. Direi che è venuto il momento di compiere un passo coraggioso: sviluppare una teologia della sinodalità, una riflessione teologica che aiuti, incoraggi, accompagni il processo sinodale, per una nuova tappa missionaria, più creativa e audace, che sia ispirata dal kerygma e che coinvolga tutte le componenti della Chiesa”.
Ed ha concluso sollecitando all’umorismo affinché la teologia possa essere feconda: “Rimanendo, per così dire, appoggiata al Cuore del Signore, la vostra teologia attingerà alla fonte e porterà frutti nella Chiesa e nel mondo. E una cosa fondamentale per fare una teologia feconda è non perdere il senso dell’umorismo, per favore! Questo aiuta tanto. Lo Spirito Santo è quello che ci aiuta in questa dimensione di gioia e di umorismo”.
In precedenza aveva ricevuto in udienza i religiosi e le religiose della Famiglia Calasanziana, in occasione del 75° anniversario di fondazione, con l’invito ad essere docili alla Provvidenza, come ha sperimentato san Giuseppe Calasanzio: “Il vostro Fondatore, di famiglia agiata, destinato probabilmente a una ‘carriera ecclesiastica’ (termine che mi ripugna e che andrebbe abolito), venuto a Roma con incarichi di un certo livello, non ha esitato a stravolgere programmi e prospettive della sua vita per dedicarsi ai ragazzi di strada incontrati in città”.
Egli, infatti, è stato attento ai poveri dell’epoca: “Così sono nate le Scuole Pie: non tanto per un piano predefinito e garantito, quanto per il coraggio di un bravo prete che si è lasciato coinvolgere dalle necessità del prossimo, là dove il Signore gliele ha poste davanti. Questo è molto bello, e io vorrei invitare anche voi a mantenere, nelle vostre scelte, la stessa apertura e la stessa prontezza, senza calcolare troppo, vincendo timori e titubanze, specialmente di fronte alle tante nuove povertà dei nostri giorni.
Le nuove povertà. Sarebbe bello che uno di questi giorni, nella vostra riunione, cercaste di descrivere le nuove povertà, quali sono le nuove povertà. Non temete di avventurarvi, per rispondere ai bisogni dei poveri, in sentieri diversi da quelli già battuti nel passato, anche a costo di rivedere schemi e di ridimensionare aspettative. È in questo abbandono fiducioso che affondano le vostre radici, e rimanendo fedeli ad esse manterrete vivo il vostro carisma”.
L’altro aspetto riguarda la cura per la crescita integrale della persona: “La grande novità della Scuole Pie era di insegnare ai giovani poveri, assieme alle verità della fede, anche le materie di istruzione generale, integrando formazione spirituale e intellettuale per preparare adulti maturi e capaci. E’ stata una scelta profetica a quei tempi, pienamente valida anche adesso.
A me piace parlare, in proposito, di fare unità, nella persona, tra le ‘tre intelligenze’: quella della mente, quella del cuore e quella delle mani (le mani sono intelligenti!) e così noi possiamo fare con le mani quello che si sente e si pensa, sentire quello che si pensa e si fa, pensare quello che si sente e si fa. Le tre intelligenze”.
Per questo ha chiesto un aiuto affinché i ragazzi possano fare una ‘sintesi armonica’: Oggi è molto urgente aiutare i ragazzi a fare questo tipo di sintesi, unità armonica delle tre intelligenze, a ‘fare unità’ in sé stessi e con gli altri, in un mondo che li spinge invece sempre più nella direzione della frammentarietà nei sentimenti e nelle cognizioni e dell’individualismo nelle relazioni… Le tre intelligenze. Questo è importante, che i ragazzi facciano questa unità in sé stessi, con gli altri e con il mondo. Lo stile educativo integrale è un “talento carismatico” importantissimo che Dio vi ha affidato, perché lo mettiate a frutto al meglio delle vostre capacità per il bene di tutti”.
(Foto: Santa Sede)
P. Aucone e la ‘risorsa’ san Tommaso d’Aquino

Quest’anno ricorrono 750 anni dalla morte, mentre nel 2025 800 anni dalla nascita; e nello scorso anno 700 anni della canonizzazione di san Tommaso d’Aquino, che a distanza di secoli ha ancora molto da dire all’uomo contemporaneo. Per questo papa Francesco, nel luglio dello scorso anno aveva inviato una lettera ai vescovi di Latina-Terracina-Sezze-Priverno, mons. Mariano Crociata, di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo, mons. Gerardo Antonazzo, e di Frosinone-Veroli- Ferentino, mons. Ambrogio Spreafico, sottolineando che l’eredità di san Tommaso d’Aquino “è anzitutto la santità, caratterizzata da una particolare speculazione che non ha però rinunciato alla sfida di farsi provocare e misurare dal vissuto, anche da problematiche inedite e dalle paradossalità della Storia, luogo drammatico e insieme magnifico, per scorgere in essa le tracce e la direzione verso il Regno che viene… Proprio per questo il Doctor communis è una risorsa, un bene prezioso per la Chiesa di oggi e di domani”.
Partendo dalla lettera del papa, ci facciamo spiegare da p. Daniele Aucone, docente all’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘Mater Ecclesiæ’ e invitato presso la Facoltà di teologia della PUST (Pontificia Università di San Tommaso) e docente LUMSA (Libera Università Maria Santissima Assunta) a Roma, il motivo per cui san Tommaso d’Aquino è una ‘risorsa’:
“Il riferimento al pensiero del grande Maestro domenicano è sempre stato raccomandato dai papi lungo i secoli (papa Francesco stesso ha ricordato la definizione di papa san Paolo VI ‘luminare della Chiesa e del mondo intero’), ma dopo la lunga stagione dei razionalismi, oggi siamo più attenti a radicare questa riflessione anzitutto in vissuto biografico e testimoniale dell’uomo e del religioso che è stato Tommaso, non a caso anche modello autorevole di vita cristiana proposto dalla Chiesa (santità).
E’ quanto ha fatto anche papa Francesco scrivendo ai vescovi di Latina, Sora e Frosinone, all’inizio dei triennio di celebrazioni giubilari (700 anni dalla canonizzazione, 750 dalla morte e 800 dalla nascita) dedicate all’Aquinate, richiamandone questa speculazione feconda ‘non sganciata dal vissuto’, approfondimento cioè di un mistero sperimentato anzitutto in prima persona”.
Perché è stato definito ‘dottore angelico’?
“Il titolo risale alla metà del XV secolo (probabilmente si deve a sant’Antonino Pierozzi il primo utilizzo) e sta a indicare la particolare purezza (intellettuale e di vita) di Tommaso, che sarà poi annoverato tra i “dottori della Chiesa” un secolo più tardi (1567). Non è peraltro l’unico appellativo legato al Maestro, né il più antico: qualche anno dopo la sua morte si parla già di lui come ‘Doctor eximius’, mentre all’università di Parigi era noto semplicemente come ‘Doctor communis’.
Nell’ottica di inseparabilità tra dottrina e vita a cui si accennava, è tuttavia interessante notare come un profondo conoscitore di Tommaso del calibro di Jean-Pierre Torrell, abbia potuto concludere la sua ricognizione dei titoli ecclesiali conferiti all’Aquinate proprio con l’appellativo più semplice (‘frater’), indicandolo come quello che l’interessato stesso avrebbe probabilmente preferito, da vero figlio di fraDomenico e quale icona luminosa del suo stesso fondatore”.
Descrivendo il dogma mariano dell’Assunzione lei ha scritto: ‘Il singolare dono concesso alla Vergine di partecipare fin da subito nella piena interezza personale (corpo e anima) alla beatitudine definitiva diviene in tal senso icona di due tratti specifici della speranza cristiana’: quale venerazione ha san Tommaso per la Madonna?
“Nel suo rapporto alla Vergine, Tommaso dà prova di una devozione sobria, ma autentica e profonda, formata in modo particolare nel solco della tradizione liturgico-spirituale dei Frati Predicatori: basti pensare alla solenne processione della Salve Regina al termine della preghiera di Compieta, introdotta a Bologna già nel 1221-1222 e poi estesa gradualmente a tutto l’Ordine. In quest’ottica, le belle riflessioni mariane contenute ad esempio nel Commento all’Ave Maria, nella Somma teologica o nei commenti biblici, rimandano anzitutto a un vissuto biografico e personale del Maestro: il manoscritto autografo della ‘Summa contro i Gentili’, conservato nella Biblioteca Vaticana, in cui la parola ‘Ave’ compare spesso in margine alle pagine del testo, rivela questa autentica tenerezza filiale di Tommaso verso la Vergine, elevata e raffinata ulteriormente dalla meditazione teologica”
Quale apporto può fornire san Tommaso al pensiero della sinodalità nella Chiesa?
“Il termine ‘sinodalità’, utilizzato per indicare uno stile ecclesiale inclusivo e partecipativo, aperto al contributo dei laici nella vita e nella missione della Chiesa, è un conio tutto sommato recente e non fa meraviglia quindi non poterlo riscontrare testualmente nelle opere dell’Aquinate. Ciò non significa però che manchi l’attenzione ai princìpi di coinvolgimento e compartecipazione che la parola esprime (la ‘res’…). La riflessione ecclesiologica di Tommaso ha un timbro fraterno e comunionale a sfondo trinitario, che è la radice stessa della sinodalità: la Chiesa è definita ‘assemblea dei fedeli’ (congregatio fidelium), legati dal vincolo di reciproca fraternità in Cristo e da lui guidati verso la Gerusalemme celeste. Il tema dell’insieme dei credenti come ‘viatores’,compagni di viaggio’ (synodoi), secondo la bella formula di sant’Ignazio di Antiochia, è già abbozzato in tale prospettiva, anche se non esplicitato in tutte le sue virtualità”.
A 750 anni dalla morte ed a 800 anni dalla nascita quanto è attuale il pensiero dell’Aquinate?
“In un tempo in cui la sfida della complessità ci invita a cogliere con sempre più chiarezza i limiti dell’astrattismo scientifico moderno, il pensiero di Tommaso si impone all’attenzione anzitutto come una ‘critica della ragione concreta’, capace di conciliare analisi e sintesi, astrazione e contestualizzazione logica e ‘dia-logica’ (per dirla con Morin). Il principio dell’ ‘hic homo intelligit’, (‘questo uomo concreto intende’), esprime proprio tale centralità del concreto vivente, in opposizione all’astrattismo disincarnato degli averroisti. La complessità del reale è onorata da Tommaso con un’autentica ‘conversazione’ tra i saperi del suo tempo (filosofia, teologia, storia, diritto, scienze naturali), che risulta illuminante anche per noi oggi. L’approccio interdisciplinare ai vari temi, raccomandato anche in ambito teologico da papa Francesco nella costituzione ‘Veritatis Gaudium’del 2018, non solo non costituisce un inedito alla luce delle migliori espressioni della teologia cattolica, ma trova proprio nell’Aquinate una realizzazione eminente e sempre vitale”.
Papa Francesco: missione e sinodalità essenza della Chiesa

“Questo è certamente un giorno di gioia nella lunga storia delle nostre Chiese, perché è la prima volta che il Santo Sinodo della venerabile Chiesa Siro-malankarese Mar Thoma visita la Chiesa di Roma per scambiare l’abbraccio di pace con il Vescovo. Grato per la vostra presenza e per le vostre parole di amicizia, porgo a ciascuno di voi il benvenuto e vi chiedo di trasmettere i miei migliori auguri di buona salute al vostro Metropolita, Sua Beatitudine Teodosius Mar Thoma; così come i miei saluti vanno a tutti i fedeli”: così papa Francesco ha salutato in apertura di settimana i membri del Santo Sinodo della Chiesa Siro-Malankarese Mar Thoma, sorta grazie all’azione evangelizzatrice dell’apostolo Tommaso.
Il papa ha ricordato l’eredità di questa Chiesa: “La vostra Chiesa, erede sia della tradizione siriaca dei cristiani di San Tommaso sia di quella riformata, si definisce giustamente una ‘Chiesa ponte’ tra Oriente e Occidente. Come Vostra Grazia ha sottolineato, la Chiesa Mar Thoma ha una vocazione ecumenica e non è un caso che si sia impegnata ben presto nel movimento ecumenico, stabilendo molti e vari contatti bilaterali con cristiani di diverse tradizioni. I primi incontri con la Chiesa di Roma sono stati ripresi al tempo del Concilio Vaticano II, al quale Sua Grazia Philipose Mar Chrysostom, futuro Metropolita, partecipò come osservatore. E’ l’avvicinamento dei piccoli passi che si fanno”.
Ed ha messo in evidenza le relazioni instaurate: “In questi ultimi anni la Provvidenza ha permesso che si sviluppassero nuove relazioni tra le nostre Chiese. Ricordo in particolare quando nel novembre 2022 ho avuto la gioia di riceverLa, caro Metropolita Barnabas. Questi nostri contatti hanno portato all’avvio di un dialogo ufficiale: il primo incontro si è tenuto lo scorso dicembre in Kerala e il prossimo avrà luogo tra qualche settimana. Mi rallegro per l’inizio di tale dialogo, che affido allo Spirito Santo e che spero possa affrettare il giorno in cui potremo condividere la stessa Eucaristia”.
Tale cammino può avvenire nella prospettiva della missione e della sinodalità, che si realizza attraverso il battesimo: “Riguardo alla sinodalità, è significativo che abbiate voluto compiere questa visita come Santo Sinodo, perché la vostra Chiesa è per tradizione essenzialmente sinodale. Come forse sapete, pochi giorni fa la Chiesa Cattolica ha concluso un Sinodo sulla sinodalità, al quale hanno partecipato anche Delegati fraterni di altre tradizioni cristiane che hanno arricchito le nostre riflessioni. Una delle convinzioni espresse è che la sinodalità è inseparabile dall’ecumenismo, perché entrambi si basano sull’unico Battesimo che abbiamo ricevuto, sul sensus fidei a cui tutti i cristiani partecipano in virtù del Battesimo stesso”.
Quindi è un cammino verso l’unità, che coinvolge le Chiese, riprendendo una frase del vescovo ortodosso Ioannis Zizioulas: “La vostra Chiesa, ne sono sicuro, può aiutarci in questo cammino di sinodalità ecumenica. E mi viene in mente quello che il grande Zizioulas diceva sull’unità dei cristiani. Era un grande quell’uomo, un uomo di Dio. Diceva: “Io so bene la data dell’incontro totale, dell’unione totale fra le Chiese. Qual è la data? Il giorno dopo il giudizio finale”. Così diceva Zizioulas. Ma nel frattempo dobbiamo camminare insieme, pregare insieme e lavorare insieme. All together. All together”.
Per questo la missione non può essere estranea alla sinodalità: “Infatti, sinodalità ed ecumenismo sono inseparabili anche perché entrambi hanno come obiettivo una migliore testimonianza dei cristiani. Tuttavia, la missione non è solamente il fine del cammino ecumenico, ne è anche il mezzo. Sono convinto che lavorare insieme per testimoniare Cristo Risorto sia il modo migliore per avvicinarci.
Per questo, come ha proposto il nostro recente Sinodo, mi auguro che un giorno si possa celebrare un Sinodo ecumenico sull’evangelizzazione, tutti insieme. E questo Sinodo sarà per garantire, per pregare, per riflettere e impegnarsi insieme per una migliore testimonianza cristiana, ‘affinché il mondo creda’. Anche in questo caso, sono certo che la Chiesa Mar Thoma, che porta in sé questa dimensione missionaria, possa offrire molto. Ma tutti insieme, all together”.
Anche nel saluto ai membri del ‘Catholic Philanthropy Network’ il papa ha sottolineato la ‘natura’ del Sinodo: “Recentemente, come sapete, la Chiesa è stata impegnata in un processo di riflessione sulla sua natura di comunità ‘sinodale’, fondata sulla nostra comune dignità di battezzati e sulla corresponsabilità per la sua missione; e questo mentre affrontiamo un momento di cambiamento epocale, con le sue conseguenze per il futuro della famiglia umana.
Sono particolarmente grato del sostegno che date agli uffici della Santa Sede, che cercano di discernere i segni dei tempi e di aiutare la Chiesa universale a rispondere con sapienza, carità e lungimiranza ai bisogni e alle sfide del presente. Al tempo stesso, vi ringrazio per il vostro silenzioso appoggio a tante iniziative che arricchiscono la vita e l’apostolato della Chiesa negli Stati Uniti”.
La giornata ‘papale’ è proseguita con il saluto ai tecnici ed ai partners della Fabbrica di San Pietro: “A proposito, ricordiamo che il nucleo originario della Basilica è la tomba di Pietro, il discepolo che il Signore Gesù ha eletto come primo tra gli Apostoli, affidandogli le chiavi del Regno dei cieli. Lo testimoniano le enormi iscrizioni greche e latine che dall’alto accompagnano i fedeli all’altare della Cattedra.
I lavori in progetto dovranno avere lo stesso scopo: accompagnare gli uomini e le donne di oggi; sostenere il loro cammino di discepoli, sull’esempio di Simon Pietro. Perciò vorrei lasciarvi tre criteri, che guidino la vostra opera: l’ascolto della preghiera, lo sguardo della fede, il tatto del pellegrino. Siano questi sensi, al contempo corporei e spirituali, a ordinare con intelligenza le iniziative da compiere”.
Infine ha chiesto che ci siano i confessori: “E c’è un’altra opera d’arte che si svolge nella Basilica, nascosta: i confessori. Per favore, che ci siano sempre, a portata di mano, i confessori. La gente va, sente qualcosa, anche i non cristiani si avvicinano per chiedere una benedizione… In questo mondo così artistico e bello, c’è anche l’arte della comunicazione personale. E per favore, dite ai confessori di perdonare tutto, tutto! Tutto va perdonato… Perdonare, non tanto predicare; qualche parola si deve dire, ma perdonare; che nessuno vada fuori (senza benedizione)… Date la benedizione sempre a tutti, e coloro che vogliono confessarsi, perdonare tutti, tutti, tutti!”
Infine alla delegazione della diocesi di Aosta ed a quella dei canonici del Gran san Bernardo ha ricordato le caratteristiche dell’arcidiacono di Aosta: “Prima di tutto l’annuncio. Bernardo, arcidiacono della diocesi di Aosta, era un predicatore capace di toccare anche i cuori più induriti, aprendoli al dono della fede e alla conversione”.
Altra caratteristica era l’accoglienza: “L’avventura caritativa che lo avrebbe reso famoso è però legata a un’altra missione affidatagli dall’obbedienza: quella di prendersi cura dei pellegrini e dei viandanti che traversavano i passi alpini vicini al Monte Bianco (valichi che ancora oggi portano il suo nome) per venire in Italia dalla Francia e dalla Svizzera e viceversa, in un cammino di viaggi internazionali. Il viaggio era impervio e comportava il rischio di perdersi, di essere assaliti e di morire tra i ghiacci. Per prendersi cura di queste persone, Bernardo fondò i due noti Ospizi, raccogliendo attorno a sé la vostra comunità di Canonici, che ancora oggi si dedica a tale servizio, fedele al motto: Qui Cristo è adorato e nutrito”.
La terza caratteristica riguarda la pace: “Annuncio, accoglienza e, terzo punto, operatore di pace. Bernardo operatore di pace. L’episodio emblematico, in proposito, è il suo viaggio a Pavia, già malato, per cercare di convincere l’Imperatore Enrico IV a desistere dal proposito di far guerra a Papa Gregorio VII. Fu un viaggio che gli costò la vita. Sarebbe infatti morto poco tempo dopo il ritorno… Promuovere la pace, senza scoraggiarsi, neanche di fronte agli insuccessi. E quanto c’è bisogno anche adesso di questo coraggio!”
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco chiede ai movimenti l’apertura alla sinodalità

“Più volte ho ripetuto che il cammino sinodale richiede una conversione spirituale, perché senza un cambiamento interiore non si raggiungono risultati duraturi. Il mio desiderio, infatti, è che, dopo questo Sinodo, la sinodalità rimanga come modo di agire permanente nella Chiesa, a tutti i livelli, entrando nel cuore di tutti, pastori e fedeli, fino a diventare uno ‘stile ecclesiale’ condiviso. Tutto ciò, però, richiede un cambiamento che deve avvenire in ognuno di noi, una vera e propria ‘conversione’”.
Questo è stato l’invito di papa Francesco ai partecipanti all’incontro annuale con i moderatori delle associazioni di fedeli, dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità, promosso dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita sul tema ‘La sfida della sinodalità per la missione’, raccontando che è stato un lungo cammino:
“Pensate che il primo che ha visto che c’era bisogno della sinodalità nella Chiesa latina è stato San Paolo VI, quando dopo il Concilio ha creato il Segretariato per il Sinodo dei Vescovi. La Chiesa orientale aveva conservato la sinodalità, invece la Chiesa latina l’aveva persa. E’ stato san Paolo VI ad aprire questa via. Ed oggi, a quasi 60 anni, possiamo dire che la sinodalità è entrata nel modo di agire della Chiesa. La cosa più importante di questo Sinodo sulla sinodalità non è tanto trattare questo problema o quell’altro. La cosa più importante è il cammino parrocchiale, diocesano e universale nella sinodalità”.
L’invito del papa è stato quello di pensare secondo Dio: “Dopo il primo annuncio della Passione, l’Evangelista ci riferisce che Pietro rimprovera Gesù. Proprio lui, che doveva essere di esempio e aiutare gli altri discepoli ad essere pienamente a servizio dell’opera del Maestro, si oppone ai piani di Dio, rifiutandone la passione e la morte”.
Quindi occorre effettuare il passaggio da un pensiero umano ad un pensiero di Dio: “Ecco il primo grande cambiamento interiore che ci viene chiesto: passare da un ‘pensiero solo umano’ al ‘pensiero di Dio’. Nella Chiesa, prima di prendere ogni decisione, prima di iniziare ogni programma, ogni apostolato, ogni missione, dovremmo sempre chiederci: cosa vuole Dio da me, cosa vuole Dio da noi, in questo momento, in questa situazione? Quello che io ho in mente, quello che noi come gruppo abbiamo in mente, è veramente il ‘pensiero di Dio’? Ricordiamoci che il protagonista del cammino sinodale è lo Spirito Santo, non noi. Lui solo ci insegna ad ascoltare la voce di Dio, individualmente e come Chiesa”.
Il secondo atteggiamento è l’invito a superare ogni ‘chiusura’ verso chi non è concordo con il nostro pensiero: “Stiamo attenti per favore alla tentazione del ‘cerchio chiuso’. I Dodici erano stati scelti per essere il fondamento del nuovo popolo di Dio, aperto a tutte le nazioni della terra, ma gli Apostoli non colgono questo orizzonte grande: si ripiegano su sé stessi e sembrano voler difendere i doni ricevuti dal Maestro (guarire i malati, cacciare i demoni, annunciare il Regno) come se fossero dei privilegi”.
Insomma è stato un invito a liberarsi dalle ‘appartenenze’ e di aprirsi al mondo: “State attenti: il proprio gruppo, la propria spiritualità, sono realtà per aiutare a camminare con il Popolo di Dio, ma non sono privilegi, perché c’è il pericolo di finire imprigionati in questi recinti.
La sinodalità ci chiede invece di guardare oltre gli steccati con grandezza d’animo, per vedere la presenza di Dio e la sua azione anche in persone che non conosciamo, in modalità pastorali nuove, in ambiti di missione in cui non ci eravamo mai impegnati prima; ci chiede di lasciarci colpire, anche ‘ferire’ dalla voce, dall’esperienza e dalla sofferenza degli altri: dei fratelli nella fede e di tutte le persone che ci stanno accanto. Aperti, cuore aperto”.
E la terza virtù ‘sinodale’ è quella dell’umiltà: “Comprendiamo qui che la conversione spirituale deve partire dall’umiltà, che è la porta d’ingresso di tutte le virtù… Ed anche questa tappa della conversione spirituale è fondamentale per edificare una Chiesa sinodale: solo la persona umile infatti valorizza gli altri, e ne accoglie il contributo, i consigli, la ricchezza interiore, facendo emergere non il proprio ‘io’, ma il ‘noi’ della comunità”.
Infine ha sottolineato il ruolo dei movimenti nella Chiesa: “I movimenti ecclesiali sono per il servizio, non per noi stessi. E’ triste quando si sente che ‘io appartengo a questo, all’altro, all’altro’, come se fosse una cosa superiore. I movimenti ecclesiali sono per servire la Chiesa, non sono in sé stessi un messaggio, una centralità ecclesiale. Sono per servire…
Sempre guardate questo: la mia appartenenza è al movimento ecclesiale, è all’associazione o è alla Chiesa? E’ nel mio movimento, nella mia associazione per la Chiesa, come uno ‘stadio’ per aiutare la Chiesa. Ma i movimenti chiusi vanno cancellati, non sono ecclesiali”.
(Foto: Santa Sede)
La Chiesa italiana sostiene la popolazione del Myanmar

Restare accanto a quanti soffrono, sostenere le comunità locali, incoraggiare i giovani con iniziative nel campo educativo e professionale, promuovere un processo di riconciliazione. Sono queste le principali sfide che la Chiesa si trova ad affrontare in Myanmar, un Paese alle prese con una crisi politica prolungata, con scontri e violenze tra le truppe del governo militare e gruppi etnici armati, con milioni di sfollati e ingenti danni provocati dalle calamità naturali. A questo si aggiunge la drammatica situazione dei Rohingya, i musulmani del Rakhine, rifugiati nei campi profughi in Bangladesh da dove molti cercano di fuggire, spesso perdendo la vita.
Quindi dopo quello su Haiti, il Servizio per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli, in collaborazione con l’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali, presenta il dossier ‘Myanmar, abbracciare l’alba della pace’ che racconta, attraverso dati e testimonianze, l’impegno della Chiesa in Italia. Sul campo operano religiose, sacerdoti e volontari che, con i vescovi, cercano ogni giorno di ravvivare la speranza e lo spirito di solidarietà tra la popolazione cattolica ed appartenente ad altre religioni.
Dal 1991, la Chiesa italiana ha sostenuto interventi in Myanmar per circa € 23.000.000, inclusi € 4.500.000 provenienti direttamente da Caritas Italiana per attività in vari settori: sono stati 238 i progetti approvati dalla CEI attraverso il Servizio per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli. Grazie ai fondi 8xmille che i cittadini destinano alla Chiesa cattolica, “con quasi € 18.500.000 si è potuto intervenire in diversi settori, in particolare accoglienza, istruzione e accompagnamento principalmente di bambini e ragazzi, assistenza, formazione e sensibilizzazione in ambito sanitario, sviluppo integrato economico e sociale a favore delle comunità rurali, promozione della microimprenditorialità, agricoltura, riforestazione.
Significativo l’impegno per percorsi di uscita dalla tossicodipendenza e per attività di sostegno e inclusione comunitaria dei disabili. Così come le risposte a situazioni di emergenza quali l’assistenza umanitaria ai più vulnerabili, interventi di aiuti d’urgenza per calamità naturali e di riduzione del rischio da fenomeni alluvionali”.
Nel dossier Patrizia Caiffa ha chiesto al card. Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon e presidente della Conferenza episcopale del Myanmar e della Federazione della Conferenza episcopale asiatica (Fabc), ha chiesto di raccontare il cammino sinodale: “Il nostro viaggio sinodale in Myanmar riguarda la guarigione e la riconciliazione del mondo nella giustizia e nella pace. Il nostro cammino di fede è piuttosto messo alla prova dall’attuale crisi politica. Stiamo dunque vivendo una nuova esperienza di esodo dentro e fuori il Paese.
Molte case e chiese vengono bruciate, e tutti noi incontriamo una crudeltà continua. Il recente attacco al prete cattolico p. Paul Khwi Shane Aung da parte di uomini armati non identificati mostra quanto siamo vulnerabili: viviamo una Via Crucis permanente, una realtà dolorosa e ferita in diverse zone del Myanmar. E’ qui che abbiamo bisogno della riconciliazione con Dio, con la natura e con gli altri. E’ qui che dobbiamo diventare una Chiesa in ascolto, come Gesù, degli sfollati e delle persone ferite. Conoscendo il Myanmar con i suoi vari gruppi etnici, dobbiamo continuare ad essere una Chiesa missionaria con una cultura del rispetto reciproco e di una convivenza pacifica con tutti, con una chiara azione profetica collettiva”.
Nella conclusione mons. Andrea Ferrante, incaricato della Nunziatura della Santa Sede, ha sottolineato il lavoro della ‘sinodalità’: “La sinodalità qui è visibile e tangibile nel vissuto quotidiano. Lasciandosi guidare dall’ispirazione dello Spirito Santo, vescovi, sacerdoti, religiose, religiosi, catechisti, volontari e comunità parrocchiali sono all’opera per non lasciare soli i fratelli più in difficoltà, donando loro la speranza e creando occasioni di incontro e di crescita.
Grazie alla eredità dei grandi missionari che hanno attraversato il Paese (PIME, MEP, Colombani) ci sono radici profonde di una fede viva e creativa, un vero amore all’adorazione eucaristica e una sincera devozione alla Beata Vergine Maria. Questi sono i pilastri del tessuto ecclesiale e della speranza che anima l’azione pastorale in un clima di forti tensioni e conflitti armati. In un contesto di destrutturazione del tessuto sociale, la sfida più grande è mantenere viva la speranza che ha radici nel passato, nel presente e lascia guardare con fiducia verso il futuro”.
(Foto: CEI)
Mettere la vita in gioco: convegno sulla spiritualità nello sport

Lunedì scorso si è svolta la presentazione del convegno internazionale su sport e spiritualità (‘Mettere la vita in gioco’) in programma dal 16 al 18 maggio per iniziativa del Dicastero per la cultura e l’educazione e l’Ambasciata di Francia presso la Santa Sede con interventi dell’ambasciatrice di Francia presso la Santa Sede, Florence Mangin; Emanuele Isidori, professore di Filosofia dello Sport all’università di Roma Foro Italico) e l’atleta atleta paralimpico Antonio Mariani; e del card. José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, il quale ha osservato che l’organizzazione di un convegno che parla di sport da parte della Chiesa può sembrare ‘strano’, ma in fondo non lo è, come è stato affermato in un’intervista alla Gazzetta dello Sport da papa Francesco:
“Ma partendo dalle parole di Papa Francesco, quando paragona lo sport alla santità, ci rendiamo conto dei tanti punti di connessione che esistono tra sport e spiritualità. Papa Francesco ce lo dice in un’intervista rilasciata nel 2021 a due giornalisti della Gazzetta dello Sport… L’organizzazione di questo Convegno si propone di fare proprio questo: osservare lo sport oggi. Capire perché è così popolare. Identificare i suoi rischi. Valutare la sua rilevanza per la costruzione di una società più fraterna, tollerante ed equa. Discernere come Dio si manifesta in questa manifestazione culturale”.
Anzi tra storia dello sport e storia della Chiesa ci sono molti contatti, ricordando le parole di san Giovanni Paolo II nel 2000 durante il Giubileo degli sportivi: “Se guardiamo alla storia dello sport in parallelo con la storia della Chiesa, ci sono stati molti momenti in cui lo sport è stato un’ispirazione e una metafora per la vita dei cristiani, oppure il cristianesimo stesso ha arricchito lo sport con la sua visione umanistica”.
Ed ha citato il motto olimpico, introdotto alle Olimpiadi del 1924 svoltesi a Parigi su proposta di un religioso: “Ecco un breve esempio a proposito: quest’anno si celebra il centenario dell’introduzione del motto olimpico ‘citius, altius, fortius’ (più veloce, più alto, più forte) ai Giochi Olimpici di Parigi del 1924. Un motto che era stato ideato da un ecclesiastico, il frate domenicano Henri Didon, e proposto a Pierre de Coubertin, il fondatore dei Giochi Olimpici moderni (Atene – 1896).
L’esempio di Fra Henri Didon esprime così il desiderio della Chiesa nei confronti dello sport: la Chiesa non vuole controllare lo sport o creare uno sport alternativo, ma umanizzarlo attraverso una visione cristiana dello sport”.
Insomma, tra lo sport e la Chiesa intercorre la ‘sinodalità sportiva’: “E’ vero, la figura di Gesù, nel suo messaggio e nei suoi gesti, ha molto da offrire allo sport. Allo stesso modo, la Chiesa ha molto da imparare dal fenomeno sportivo. Questo è essenzialmente ciò che vogliamo ottenere con questo Convegno internazionale, portando qui non solo voci dall’interno della Chiesa, ma anche voci esterne alla Chiesa che ci aiuteranno con le loro riflessioni. Si tratta di un bellissimo esercizio di ‘sinodalità sportiva’. E così si rischia una cultura dell’incontro, come sottolinea papa Francesco”.
Mentre l’ambasciatrice francese, mademoiselle Mangin, ha sottolineato che “i Giochi di Parigi del 1924 si aprirono, al pari dei precedenti, con una messa olimpica celebrata nella Cattedrale Notre-Dame. Nel 2024, la Chiesa dei Giochi sarà quella della Madeleine a Parigi, dove si celebrerà a partire dal 19 luglio la messa di apertura della Tregua Olimpica, mentre il 4 agosto un evento interreligioso si svolgerà sul sagrato della Cattedrale Notre-Dame, ancora chiusa”.
Inoltre ha richiamato al preambolo della Carta olimpica (‘L’Olimpismo è una filosofia di vita, che esalta e unisce in un insieme equilibrato le qualità del corpo, della volontà e della mente. Mescolando lo sport con la cultura e l’educazione, l’Olimpismo vuole essere creatore di uno stile di vita basato sulla gioia nello sforzo, sul valore educativo del buon esempio, sulla responsabilità sociale e sul rispetto dei principi etici fondamentali universali’) che si coniuga con l’enciclica di papa Francesco, ‘Fratelli tutti’:
“I Giochi di Parigi 2024 riprenderanno questi grandi orientamenti, ponendo l’accento sulla sobrietà delle installazioni, sull’inclusività, con una sola squadra di Francia che riunisce gli atleti olimpici e paralimpici e con un’attenzione particolare ai più poveri. S’impegneranno ad essere anche durevoli, con la promozione dello sport nella vita quotidiana dei giovani e come mezzo di inclusione sociale. Infine, saranno completamente paritari riguardo agli atleti olimpici, con tanti atleti uomini quante atlete donne”.
Infine il prof. Isidori ha presentato la struttura dell’incontro: “Il convegno che abbiamo organizzato mira a riflettere su questo fenomeno da un punto di vista telescopico e microscopico, in altre parole: vedere lo sport oltre lo sport. Più precisamente, per comprenderne le radici culturali, individuarne i rischi, apprezzarne l’importanza nella costruzione di una società più fraterna, valutarne il potenziale pedagogico e, soprattutto, approfondirne la rilevanza spirituale”.
Questo il programma delle giornate: “La prima giornata (16 maggio) affronterà il rapporto tra ‘Chiesa e Sport’, attraverso la condivisione della testimonianza di atleti di alto livello e di alcune esperienze pastorali concrete che mettono lo sport al servizio del Vangelo e il Vangelo al servizio dello sport…
La seconda giornata (17 maggio) si concentrerà sul rapporto tra ‘Uomo e Sport’, attraverso la riflessione di un gruppo di relatori altamente qualificati provenienti da università italiane e francesi, che discuteranno dello sport in termini di rilevanza pedagogica, filosofica, sociologica e teologica…
La terza giornata (18 maggio) avrà una dimensione più pratica, e vedrà l’organizzazione di un evento sportivo di solidarietà (la staffetta della fraternità) per mostrare alla società civile la rilevanza sociale dello sport stesso”.
(Foto: Vatican Media)
Papa Francesco ai cattolici di rito siro malankarese: camminiamo nella sinodalità

Ieri papa Francesco ha incontrato Baselios Marthoma Mathews III, Catholicos dell’Oriente e Metropolita della Chiesa Ortodossa sira malankarese, in India, che discende da san Tommaso Apostolo e la sua professione di fede “fonda, nella preghiera e nello stupore, la nostra fede comune. E’ questa stessa fede che celebreremo, auspico insieme, in occasione del 1700° anniversario del primo Concilio Ecumenico, quello di Nicea; io voglio che lo celebriamo tutti insieme”.
Per una reale sinodalità efficace
Papa Francesco: il martirio conduce alla sinodalità
Papa Luciani è stato fedele al Concilio Vaticano II

“Cosi papa Luciani ha ripetuto che la cosa più urgente, più all’altezza dei tempi, dei nostri tempi, non era il prodotto di un suo pensiero o un suo progetto generoso, ma il semplice camminare nella fede degli Apostoli. La fede da lui ricevuta come un dono nella sua famiglia di operai ed emigranti, che conosceva la fatica della vita per portarsi a casa il pane. Gente che camminava sulla terra, non tra le nuvole. Faceva parte di questo dono anche l’umiltà. Il riconoscersi piccoli non per sforzo o per posa, ma per gratitudine. Perchè si può essere resi umili solo nella gratitudine per aver provato la misericordia senza misura di Gesù e il Suo perdono”.