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Il popolo introvabile e la democrazia di sabbia

Dov’è passato il popolo nei Paesi del Sahel? Si tratta dei bambini, i giovani e gli adulti che hanno riempito lo stadio un paio di volte dopo il golpe di fine luglio dell’anno scorso? Oppure dei gruppi di vigilanza nelle rotonde della capitale? O allora delle migliaia di cittadini che hanno ottenuto la partenza incondizionata dei militari francesi prima e americani poi nella piazza battezzata della ‘Resistenza’?
Parliamo delle qualche decine di militanti delle organizzazioni della società civile che hanno ‘sposato ‘ e ‘orientato’ la causa della giunta? C’è popolo e popolo, come dappertutto in giro per il mondo, beninteso. Coloro che ne accaparrano i vizi e le virtù e coloro che, diciamo così, non ne faranno mai parte.
Ad esempio i bambini e adulti che a centinaia mendicano sulle strade della capitale o che sono ‘esportati’ nei Paesi confinanti per esercitare il mestiere di salvare le anime dei peccatori. In effetti, anche grazie a loro i fedeli potranno praticare la virtù dell’elemosina e sperare nella misericordia divina. Nella zona ‘grigia’ tra il popolo e il non popolo ci sono le moltitudini dei contadini, degli allevatori di bestiame e la folla immensa di giovani che sopravvivono del lavoro informale per il cibo quotidiano. A meno che non si chiami ‘popolo’ solo chi sta dalla parte’ giusta’.
C’è il popolo dei commercianti, i grandi che vanno a Dubai o altrove, i medi che si industriano per riemergere dalla crisi, i piccoli delle frontiere e i minimi che vendono i sacchetti d’acqua di un’improbabile sorgente del Sahel, pura e minerale per tutti i gusti. Ci si ricorda del popolo dei politici del passato, in situazione di stallo con la sospensione delle attività dei partiti politici o per via dei compromessi con l’antico regime presidenziale del Rinascimento.
Il popolo dei funzionari statali, gli insegnanti, gli impiegati nelle Ong locali, i superstiti delle cooperazioni bilaterali e l’indefinita lista di chi cerca lavoro e colleziona domande di assunzione per concorsi che non arrivano mai a tempo. Si dovrebbe aggiungere il popolo degli imprenditori religiosi che organizzano la vita religiosa del popolo dei credenti a sua volta suddiviso tra stranieri e autoctoni.
Poi c’è il popolo dei migranti, dei rifugiati, degli sfollati espropriati delle terre, le case e il futuro che immaginavano diverso. Il popolo dei militari fa storia a sé soprattutto se si prendono in considerazioni i gradi, le affinità, le conoscenze e l’attuale posto nell’amministrazione politica del Paese. Anche le donne formano, a modo loro, un popolo a parte speciale coi suoi riti, attese, prerogative e poteri sul quotidiano dei figli e quello, meno evidente, sui mariti.
Il popolo è dunque un’idea nata da qualche parte tra il concetto di nazione e quello di stato. Oppure non si tratta che di un’invenzione che solo la scelta di nominarlo permette di farlo esistere. ‘In nome del popolo sovrano’ suona quasi come un proclama assoluto dal sapore divino. La giustizia, la legge e la carta costituzionale si fondano sul popolo e così la sovranità che gli appartiene per natura.
Sono i cittadini riconosciuti come tali che sembrano costituire il popolo in base all’appartenenza storica, geografica, culturale e politica ad un ordinamento accettato e riconosciuto. C’è poi, infine, il popolo di sabbia o meglio il popolo che della sabbia è una creatura a parte.
Spazzato via dal vento e dai pulitori di strade, ai margini delle corsie transitabili dai veicoli oppure allontanato dagli orientamenti strategici del Paese, venduto e occasionalmente ostaggio delle nuove bandiere sistemate nelle rotonde della capitale. Fanno bella mostra quelle dei Paesi dell’Alleanza del Sahel assieme a quella della Russia. Forse il popolo introvabile si trova, nascosto, nella polvere che il vento porta lontano.
E la nave va. Navigazioni nel Sahel

Dove non si sa. Difficile dire dove sta andando la nave di sabbia salpata l’anno scorso, a luglio dopo il golpe. Navigazione interrotta per ammutinamento, ripresa e orientata verso una destinazione sconosciuta ai più. La stagione del Ramadan che cade di questo tempo, appare propizia alle domande di fondo. La preghiera, il digiuno e soprattutto le opere di carità caratterizzano il cammino dei fedeli che si riconoscono in questo itinerario spirituale e sociale.
Navigare domandando dove si va appare come un’esigenza per i passeggeri del veliero che lo spirito di penitenza invita alla sincerità e alla verità. L’azione più semplice parrebbe quella di indirizzare la domanda al capitano della nave. Anche in questo caso pochi avrebbero la risposta che cercano. L’ equipaggio indicherebbe al popolo l’orizzonte perché il capitano sembra introvabile.
C’è chi assicura di conoscere la meta della navigazione e chi non teme di condividere i dettagli dell’isola verso la quale si dirigerebbe il battello in questione. Secondo alcuni in questa terra sembra scorrere latte e miele perché, finalmente, la sovranità sarebbe l’unica maniera di assicurare sicurezza ai confini ben difesi da torri di polvere che il vento rende inespugnabili.
Sembravano solcare un mondo differente, simile a quello che i padri della nazione avevano concepito nella loro ingenuità. Nel viaggio non mancavano i segni premonitori di ciò a cui avrebbe assomigliato l’isola verso la quale, presumibilmente, si dirigevano. Nel frattempo, sulla nave, la vita politica convenzionale, quella dei partiti e delle elezioni a scadenze regolari, era stata sospesa fino a nuovo ordine assieme alla carta costituzionale.
Si favorivano però gli scambi informali tra amici, simpatizzanti, passeggeri e financo tra la ciurma. Le notizie del mondo esterno al bastimento erano saggiamente selezionate e i viaggiatori sembravano accontentarsi di ciò che la radio di bordo, costantemente in funzione, propinava. Si era infatti costituito, in modo del tutto informale, un ufficio o ministero delle ‘verità’ utili, possibili, probabili o inaccettabili a seconda del soggetto in discussione.
Nella navigazione non mancavano i pirati, i commercianti e i venditori di sogni. Questi ultimi, peraltro, erano riusciti a ritagliarsi una grossa fetta nel mercato dell’ascolto. Nelle lunghe notti di bonaccia, sotto una luna complice, i venditori non mancavano mai di orecchie attente ai loro racconti pieni di futuro. Assicuravano all’uditorio che nell’isola lontana avrebbero trovato tutto ciò che era stato loro negato e del quale avevano il pieno diritto di usufruire.
Ciò di cui era stati ignobilmente derubati sarebbe diventato loro proprietà. Un mondo libero dove la dignità e la giustizia per tutti sarebbero diventati l’unica legge. Quanto ai pirati e i commercianti di armi erano entrambi parte del sistema che solo fingevano di combattere. Intanto, l’isola in questione, anelata e temuta, sembrava allontanarsi e avvicinarsi allo stesso tempo a seconda dello sguardo del mozzo che funge da vedetta.
Proprio lui, una mattina di buonora, avvistò ciò che gli sembrava un lembo di terra. Cominciò a gridare di eccitazione per svegliare il capitano e i membri dell’equipaggio. Poco dopo però, con disappunto, si accorse che si trattava di gruppi di naufraghi appesi a scialuppe di salvataggio. Uno di loro, portato a bordo, disse che la loro nave aveva abbandonato l’isola dove avevano creduto di trovare il mondo nuovo.
Papa Francesco: la missione di santa Teresa è la preghiera

A conclusione dell’udienza generale odierna è stato annunciato dal direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni, che ci sarà un nuovo ricovero al Policlinico Gemelli di Roma per papa Francesco, che sarà operato per il rischio di un’occlusione intestinale. L’intervento, considerato urgente, segue quello al colon a cui il papa Pontefice fu sottoposto il 4 luglio 2021: