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Cei: costruire un’architettura di pace

“Cari Confratelli, ci ritroviamo per questa sessione straordinaria del Consiglio Permanente in un momento di grande cambiamento nel mondo e nella Chiesa. Abbiamo salutato l’amato Papa Francesco che, fino all’ultimo, ha speso la sua vita per il gregge che gli era stato affidato. La sua morte ha addolorato tutti, grandi e piccoli, i potenti e gli ultimi della terra, credenti e non credenti. Tanti leader cristiani e di altre religioni; un popolo numeroso che, senza organizzazione, ma con intuito spirituale, ha reso omaggio a Francesco. In tanti hanno espresso, nei giorni passati, il senso di mancanza perché lui non era più con noi”: con queste parole sono stati aperti dal presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, i lavori del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana.
Nell’introdurre i lavori dei vescovi il card. Zuppi ieri ha reso omaggio a papa Francesco: “La sua non è stata una popolarità effimera; Francesco ha veramente avvicinato la Chiesa alla gente. Sono cadute parecchie preclusioni, anche consolidate, verso la Chiesa e il Papa, grazie a Francesco. La Chiesa in Italia, nella larga prospettiva della storia, ha un forte debito verso di lui. Abbiamo, vorrei sottolinearlo, la responsabilità di cogliere le strade che ha aperto, le domande esplicite e implicite che oggi si manifestano”.
Il papa defunto ha sempre ricordato che bisogna annunciare Cristo: “Ha chiesto a tutti di parlare di Cristo, ha parlato di Cristo con commovente insistenza e tanta sapienza umana, riproponendo l’essenzialità del kerygma, da cuore a cuore, mostrando l’umanità del Vangelo perché incontri oggi la ricerca di speranza, di senso, di futuro delle persone. Ci ha chiesto di farlo senza paura e senza supponenza, forti della santità, sempre con quella simpatia che attrae, comunica, crea relazioni con tutti, senza paura di farsi contaminare perché con identità chiara e con purezza di cuore, mettendo in circolo la fede nelle vene dell’umanità”.
Ma l’annuncio cristiano continua con papa Leone XIV: “Il passaggio di un Vescovo, soprattutto nella Chiesa di Roma che presiede nella carità, è un’esperienza di fede e non può essere ridotto alle sole interpretazioni umane, spesso distorcenti, esteriori, interessate, polarizzate. L’elezione del successore di Pietro (e quindi anche di papa Francesco) è un vero atto di tradizione, gesto con cui la Chiesa trasmette ‘tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede’. E’ stata una vera e propria epifania della Chiesa, manifestazione evidente della sua universalità”.
E’ stato un richiamo all’unità, ricordando il prossimo incontro con papa Leone XIV: “Al di là delle letture troppo politologiche della Chiesa, tutto si ricompone nell’unità, per opera dello Spirito e per la disponibilità dei cristiani alla sua azione… Sin d’ora, mi sia permesso di confermare a Papa Leone la nostra gratitudine per il dono dell’udienza che ha concesso alla Conferenza Episcopale Italiana per il prossimo 17 giugno: sarà un’occasione preziosa per pregare insieme, rinnovare la nostra professione di fede e ascoltare la sua parola alle Chiese in Italia”.
Richiamando l’appello di papa Leone XIV è stato rivolto un richiamo alla pace: “Chiediamo il rispetto del diritto internazionale umanitario, l’ingresso di aiuti senza restrizioni, l’apertura di corridoi umanitari e, soprattutto, la promozione di un dialogo che possa realizzare la soluzione ‘due popoli, due Stati’. Il nostro sguardo si rivolge anche all’Ucraina nell’auspicio che i fili del dialogo, già così difficili, siano rafforzati, trovino le garanzie necessarie inserite in un quadro che permetta una pace giusta e sicura. Non possiamo però dimenticare i tantissimi conflitti che insanguinano il pianeta. Abbiamo a cuore i popoli di Asia, Africa, America Latina piegati dalla tragedia delle armi, che portano morte e sofferenze, generando odio e ulteriori ingiustizie”.
Il cristiano è artigiano di pace: “Il cristiano è un artigiano di pace, che dal suo cuore trae la forza di una pace disarmata e disarmante. Ci aiutano due intense memorie storiche, tra loro correlate: l’80° della fine della Seconda guerra mondiale e il 75° della Dichiarazione Schuman (9 maggio 1950), con la quale i ‘padri fondatori’ dell’Europa avviarono il processo di pacificazione post-bellica e di integrazione comunitaria con l’obiettivo, esplicito, di riportare la pace nel continente e nel mondo intero.
Perché la pace non sia una tregua occorre imparare a pensarci non solo vicini ma insieme, a difendere la soluzione pacifica dei conflitti e rafforzare le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. Per questo occorre costruire un’architettura di pace, frutto di quei valori e della dolorosa consapevolezza che sono a fondamento dell’Europa, che non può essere ridotta a diritti individuali o burocrazia, perché fondata sulla difesa della persona nel suo valore indiscutibile e nella sua relazione con la comunità”.
Per questo la Chiesa opererà sempre per la pace: “Ecco perché la Chiesa in Italia continuerà a impegnarsi per tessere relazioni, per alimentare il dialogo, per iniziare percorsi di riconciliazione e di sviluppo, anche attraverso le attività e i progetti che i fondi dell’8xmille destinati alla Chiesa cattolica rendono possibili. Vogliamo contribuire a realizzare un mondo unito e in pace, dove non si senta più il rumore delle armi e dove tutti possono dirsi fratelli. La lotta alla povertà, l’educazione che la stessa presenza della Chiesa anima con le sue diverse realtà, l’impegno per lo sviluppo e gli aiuti al mondo, sono una parte del nostro sforzo”.
Quindi opere di pace sono realizzate grazie anche all’ottoxmille: “Per questo, esprimiamo gratitudine a quanti scelgono di destinare l’8xmille alla Chiesa cattolica: ciò consente di realizzare migliaia di progetti in Italia e nel mondo. Siamo poi fiduciosi che si agisca a correzione, secondo gli impegni assunti, sugli interventi apportati unilateralmente dal Governo, come anche da diversi altri precedenti, sul sistema dell’8xmille, ripristinandolo così come originariamente stabilito, nel rispetto della realtà pattizia dell’Accordo. Su questo tema torneremo in futuro”.
Quindi ha spiegato anche il motivo del rinvio delle votazioni sinodali: “Il cammino della Chiesa in Italia merita certamente una riflessione attenta, esaminando le reazioni che con accentuazioni differenti hanno fatto seguito alla Seconda Assemblea Sinodale… Tutti coloro che hanno partecipato ai lavori assembleari hanno visto nel rinvio ad ottobre per l’approvazione delle Proposizioni uno snodo che ha permesso allo Spirito di parlare ancora. Sin dall’inizio del percorso, abbiamo chiesto partecipazione e l’abbiamo avuta. E’ il segno, concreto, che nulla era stato prestabilito, confezionato, imposto dall’alto, ma frutto del discernimento delle Chiese che si sono messe in ascolto e hanno attivato processi inediti e forse, addirittura, inattesi”.
Infine ha sottolineato la dignità della vita di ogni persona: “In questa prospettiva, esprimiamo il pressante auspicio che le recenti sentenze con le quali la Corte costituzionale è nuovamente intervenuta sulla vita umana al suo sorgere e nella fase conclusiva non conducano a soluzioni legislative che finiscono col ridimensionare l’infinita dignità della persona dal concepimento alla morte naturale. Uno sguardo non parziale sui diritti della persona umana in ogni fase della sua vita, e in particolare nei momenti di massima vulnerabilità, ci induce poi a ribadire in materia di fine vita quanto già espresso nella nota della Presidenza CEI il 19 febbraio, con una duplice sottolineatura”.
Mattarella: dalla sussidiarietà nasce una ‘cultura’ di libertà

“Ringrazio di questa opportunità di riflessione che viene offerta dalla prima edizione del Premio, che la Fondazione per la Sussidiarietà, generosamente, ha ritenuto di assegnarmi. Rivolgo i complimenti al maestro Steiner per la raffigurazione artistica del premio. Ringrazio molto dei cortesi riferimenti che mi riguardano e sottolineo che, nelle parole del Presidente, professor Vittadini, si delinea una visione della società che fa perno sulla centralità della persona e della comunità in cui essa si riconosce e opera. Una visione coerente con le prospettive delineate dalla Costituzione, e tuttavia, assai impegnativa nell’attuale contesto, così incerto”.
Con queste parole il presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, ha ricevuto al Quirinale la delegazione della Fondazione per la Sussidiarietà, guidata dal presidente Giorgio Vittadini, illustrando la centralità per la politica italiana di un principio cardine della storia culturale e sociale occidentale: “La sussidiarietà è un principio che lega e rafforza il rapporto tra istituzioni e società. Lega tra loro anche gli stessi ordinamenti delle istituzioni pubbliche, ciascuna nella sua autonomia e complementarietà. E’ nel vivo della società che la sussidiarietà trova la sua radice più profonda, e la sua ragione più esigente, perché essa è strettamente connessa con due valori di fondamentale rilievo: la libertà della persona e la solidarietà che essa esprime nell’ambito delle comunità in cui vive e realizza la propria esistenza”.
Quindi la sussidiarietà garantisce la libertà: “La sussidiarietà è, cioè, in primo luogo, espressione e garanzia di libertà per le persone e i corpi sociali che concorrono all’interesse generale e che, nella pluralità degli apporti, si adoperano per rigenerare continuamente quei valori di umanità e di corresponsabilità che rappresentano uno dei portati più preziosi del nostro modello sociale, del modello sociale europeo”.
Garantisce la libertà, in quanto è garante di autonomia: “Un modello che assicura spazi di autonomia, di partecipazione, di concorso delle persone, che trovano nelle formazioni espressive di valori e interessi delle comunità lo strumento per la loro affermazione, sconfiggendo sia le pretese di massificazione delle ideologie autoritarie del ‘900, che hanno portato all’oppressione dell’uomo sull’uomo, sia quelle nuove, con la verticalizzazione del potere e la prevalenza di quello finanziario”.
Per questo ha chiesto di non indebolire questo principio: “E’ importante irrobustire il principio di sussidiarietà: l’alternativa sarebbe introdurre arbitrari criteri gerarchici, addirittura favorendo, di fatto, poteri separati dalla società o concentrazioni che indeboliscono l’impianto democratico. La rete delle comunità e dei corpi intermedi tiene alta la stessa qualità della democrazia, rinvigorisce la libertà di ciascuno, perché la libertà si realizza insieme a quella degli altri, si realizza in quella degli altri”.
Ed ha ripercorso il tragitto compiuto da questo principio nella Costituzione italiana: “La sussidiarietà è uno dei vettori del percorso che abbiamo davanti e, ben prima che la parola entrasse nella Costituzione nel 2001, il principio della sussidiarietà è maturato lungo tutta la storia della Repubblica.
La nostra, come altre Costituzioni nate dalla Liberazione del continente dal nazifascismo, viene definita Costituzione ‘personalista’, perché colloca la dignità della persona, e non la ragione di Stato, al centro dell’azione della Repubblica. E sono proprio il principio personalistico e quello comunitario a farci dire che la sussidiarietà (sussidiarietà verticale ma, a maggior ragione, sussidiarietà orizzontale) è, dalle origini, pienamente dentro il disegno costituzionale, anzi ne è una sua esplicazione”.
Tale principio di sussidiarietà è un rimando alle autonomie, che contribuiscono alla vita democratica: “Le autonomie, territoriali e sociali, sono con evidenza incompatibili con i regimi autoritari, e proprio la loro inibizione è spesso la cartina di tornasole di restringimento delle libertà.
Ecco allora il contributo che esse recano vivificando libertà e democrazia di un popolo con la loro semplice esistenza. Contributo che trascende le finalità specifiche che le ha mosse, per divenire collante di una identità comune”.
E da queste ‘identità’ nasce la democrazia: “Le comunità che si organizzano, la solidarietà che prende forma associativa, la mutualità, il volontariato, il Terzo Settore costituiscono risorsa insostituibile. Lo spazio pubblico non vive di polarizzazione tra il potere delle istituzioni da un lato e il singolo individuo dall’altro. Senza comunità intermedie anche il riconoscimento dei diritti viene messo a rischio”.
Solo attraverso il principio di sussidiarietà si può rilanciare una cultura di comunità: “Per affrontare le sfide locali come quelle nazionali, come quelle globali, è indispensabile rilanciare la cultura che viene espressa dal ‘noi’. ‘Noi’ come responsabilità comune, ‘noi’ come volontà di partecipazione, “noi” come costruzione di comunità larghe e aperte. L’albero della sussidiarietà ha molti rami. Coltivarlo è un grande servizio al nostro Paese”.
(Foto: Quirinale)
La sofferenza, il dolore, la morte come affrontarle da cristiani

I temi del dolore, della malattia e della morte sono racchiusi in un libro di don Francesco Scanziani, docente di antropologia teologia ed escatologia alla Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale di Milano e della psicologa Cecilia Pirrone, docente di psicologia dello sviluppo alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, dal titolo ‘Vorrei starti vicino’, presentato al monastero ‘Santa Teresa’ delle Carmelitane Scalze di Tolentino nell’incontro ‘Accompagnare bambini ed adolescenti di fronte a sofferenza, malattia e morte’.
I relatori si sono interrogati su ‘cosa genera la sofferenza in un bambino, in un ragazzo o in un adolescente? Come stare loro accanto nella dura stagione della malattia? E’ possibile affrontare la morte, con parole di speranza?’ Domande essenziali per gli adulti, che diventano fondamentali nella vita di un bambino e bambina ed essenziali per ragazze e ragazzi,per cui i relatori hanno messo in evidenza che a nessuno ‘piace’ soffrire: “Nemmeno a Dio piace la sofferenza. Gesù sapeva piangere e arrabbiarsi, si prendeva cura dei malati e ha resuscitato Lazzaro. Egli stesso è passato attraverso la sofferenza e al morte, vincendola con la Resurrezione”.
Al termine dell’incontro abbiamo incontrato don Francesco Scanziani partendo dal messaggio della XXXIII Giornata mondiale del Malato: “Il messaggio di questa Giornata mondiale del Malato si colloca all’interno dell’anno giubilare, che ha come motto: ‘Pellegrini di speranza’. La stretta relazione tra malattia e speranza viene evocata nella riflessione dell’Apostolo ai Romani, rileggendo la condizione umana alla luce dell’evento pasquale di Gesù Cristo, il Figlio di Dio crocifisso e risorto. Il tema di questa Giornata ripropone a tutti i credenti la forza della speranza nel mistero pasquale di Gesù Cristo. In esso si coglie la pienezza dell’annuncio cristiano. Il tempo presente è caratterizzato dalle prove e dalle tribolazioni che segnano l’esistenza dei singoli e delle comunità. Il rischio più grande è rappresentato dalla mistificazione operata dei ‘falsi profeti’ e dalle loro illusorie speranze”.
Cosa significa ‘avere il limite’ come orizzonte cristiano?
“Innanzitutto significa riconoscere anzitutto quello che noi siamo: la nostra identità e la nostra natura. Ma non guardarle con uno sguardo pessimistico. Abbiamo voluto osservarla con quella provocazione di Baricco in ‘Oceano’, in cui dice che la natura ha le sue perfezioni proprio perché è limitata e fa il paragone di dove finiscono i giorni e le notti: lì esplode lo spettacolo, l’alba ed il tramonto. Allora, conoscere i limiti vuol dire scoprire qualcosa di profondo di noi stessi. Nella visione cristiana la notizia più sconvolgente è quella di Dio che è infinito si è incarnato, cioè si è fatto limitato. Il finito è un luogo dove Dio si è rivelato”.
Perché la società contemporanea evita temi come la sofferenza e il dolore?
“Rimuove il confronto con questi argomenti perché li ostenta; in questo modo la nostra cultura, che si vanta di aver superato tabù ancestrali, ne ha creato uno insuperabile. La paura della morte. Succede sempre di più anche in famiglia, certamente nel sincero desiderio di proteggere i figli. Il rischio, però, è che i figli si troveranno soli e impreparati, quando sofferenza e morte busseranno inevitabilmente alla loro porta”.
Che consigli offrite a tal proposito ai genitori, che debbono affrontare tali temi con i figli?
“La sofferenza fa parte della vita, la morte è l’altra faccia della vita. La nostra cultura esorcizza e allontana questi temi, poiché sembrano il fallimento della medicina o della tecnologia. E’ importante educare al tema del limite. E’ un discorso realista, non pessimista. Occorre avvicinarsi a chi soffre entrando in colloquio diretto con lui, oppure accompagnando chi è più piccolo per avvicinarlo gradualmente alla malattia con verità rassicuranti”.
Per quale motivo la Chiesa dedica una giornata al malato?
“La Chiesa mette al centro la persona. La malattia è un tratto della vita ed è l’occasione per dire che ognuno è persona anche nella malattia. Per valorizzare l’atteggiamento di Gesù, che ha dedicato tantissima parte della sua vita a stare accanto, ad ascoltare, ad entrare in contatto con il malato ed addirittura nel capitolo 25 dell’evangelista Matteo si è addirittura identificato con coloro che avevano fame e sete, con gli ammalati ed i carcerati. Più vicino di così si muore, verrebbe da dire. Gesù ha fatto anche quello: è morto per noi”.
Come si pone la fede di fronte alle pagine dolorose della vita?
“Il cristiano non ha soluzioni da offrire; tanto meno parole consolanti che pretendono di rispondere ai ‘perché’ drammatici della vita. Ha solo una storia da narrare quella di Gesù. Come scriveva lo scrittore francese Paul Claudel: Dio non è venuto a spiegare la sofferenza, è venuto a riempirla della sua presenza”.
Esiste un nesso tra il significato della morte ed il significato della vita?
“La prima cosa è domandarsi se hanno un senso il male, la sofferenza o la morte. Forse dovremmo accettare la durezza di esperienze che non hanno un senso. La Pasqua ci aiuta a capire che il male è il nemico dell’uomo e di Dio. Gesù è venuto nel mondo per combattere questo male, riempiendolo del Suo senso, cioè l’Amore. Nella Pasqua scopriamo la rivelazione di Dio ed il senso della vita”.
Quindi è più ‘facile’ rimettere i peccati o dire ‘alzati e cammina’?
“Solo Gesù può fare questo e soprattutto ci ha mostrato che Lui non ‘lega’ la malattia al peccato, ma mostra che sono tutte e due ‘nemici’ dell’uomo e di Dio. Quello che ci consola è che Dio è sempre in lotta contro il male in ogni sua forma: il peccato, la sofferenza e la morte”.
Quale è la ‘genesi di questo libro?
“Questo libro è nato dalla conoscenza e dalla stima reciproca maturata nell’esperienza parrocchiale e affinata dal lavoro comune nell’equipe dei coniugi Mariateresa Zattoni e Gilberto Gillini, pedagogisti lecchesi, noti per un approccio sistematico, ma anche dalla ricchezza di uno sguardo che unisse il taglia femminile a quello maschile, lo sguardo di una donna, moglie e madre confrontato con quello di un prete, la competenza psicologica e quella teologica. E’ uno stile che aiuta entrambi a crescere, arricchente per le proprie ricerche, ma anche uno stimolante stile di chiesa. Questo libro è nata dalle domande, spesso tacitate delle persone che incontriamo di fronte al dolore della morte e al dramma della sofferenza, accentuate in modo unico con l’esplosione della pandemia. Il desiderio non è dare soluzioni, ma accompagnare con rispetto le persone”.
(Tratto da Aci Stampa)
Papa Francesco ai vescovi statunitensi: lottare per la dignità umana

“Vi rivolgo alcune parole in questi momenti delicati che state vivendo come Pastori del Popolo di Dio che cammina negli Stati Uniti d’America”: con questo inizio di lettera papa Francesco ha scritto ai vescovi statunitensi, che si trovano ad affrontare una ‘crisi’ con il programma di ‘deportazione di massa’ di immigrati e rifugiati clandestini, voluto dall’amministrazione del presidente Trump, esortandoli in dieci punti a non cedere a ‘narrazioni’ discriminatorie.
Dopo la presa di posizione dei vescovi statunitensi il papa ha sottolineato che la storia del popolo ebreo è un esempio per la società contemporanea: “Il cammino del popolo d’Israele dalla schiavitù alla libertà, narrato nel libro dell’Esodo, ci invita a guardare alla realtà del nostro tempo, così marcatamente segnata dal fenomeno delle migrazioni, come a un momento decisivo della storia per riaffermare non solo la fede in un Dio sempre vicino, incarnato, migrante e rifugiato, ma anche l’infinita e trascendente dignità di ogni persona umana”.
Quindi ha voluto evidenziare che le sue parole non sono inventate, ma poggiano sulla Sacra Scrittura: “Le parole con cui inizio non sono pronunciate artificialmente. Anche un esame superficiale della Dottrina sociale della Chiesa mostra con grande forza che Gesù Cristo è il vero Emmanuele e che Egli non ha vissuto senza la difficile esperienza di essere espulso dalla propria terra a causa di un rischio imminente per la sua vita, e senza l’esperienza di dover rifugiarsi in una società e in una cultura estranee alla sua. Il Figlio di Dio, facendosi uomo, ha scelto di vivere anche il dramma dell’immigrazione”.
Ed ha ricordato anche le espressioni di papa Pio XII sulla cura dei migranti, che parla della famiglia di Nazareth costretta alla fuga: “Mi piace ricordare, tra le altre, le parole con cui Papa Pio XII iniziò la sua Costituzione apostolica sulla cura dei migranti, considerata la Magna Carta del pensiero della Chiesa sulle migrazioni:
La famiglia di Nazareth in esilio, Gesù, Maria e Giuseppe, emigranti in Egitto e lì profughi per sfuggire all’ira di un re empio, sono il modello, l’esempio e la consolazione degli emigranti e dei pellegrini di ogni età e paese, di tutti i profughi di qualsiasi condizione che, spinti dalla persecuzione o dalla necessità, sono costretti ad abbandonare la loro patria, i loro amati familiari e i loro cari amici per recarsi in terre straniere”.
Queste ‘deportazioni’ ledono la dignità umana, a cui i cristiani devono conformarsi: “Allo stesso modo, Gesù Cristo, amando tutti con un amore universale, ci insegna a riconoscere permanentemente la dignità di ogni essere umano, senza eccezioni. Infatti, quando parliamo di ‘dignità infinita e trascendente’, vogliamo sottolineare che il valore più decisivo che la persona umana possiede supera e sostiene qualsiasi altra considerazione giuridica che possa essere fatta per regolare la vita nella società. Pertanto, tutti i fedeli cristiani e le persone di buona volontà sono chiamati a considerare la legittimità delle norme e delle politiche pubbliche alla luce della dignità della persona e dei suoi diritti fondamentali, e non viceversa”.
Il messaggio è un invito ad esprimere un pensiero critico a seguito di una giusta informazione: “Ho seguito da vicino la grande crisi che si sta verificando negli Stati Uniti a causa dell’avvio di un programma di deportazioni di massa. Una coscienza debitamente formata non può esimersi dal formulare un giudizio critico e dall’esprimere il proprio dissenso nei confronti di qualsiasi provvedimento che identifichi, tacitamente o esplicitamente, la condizione di illegalità di alcuni migranti con la criminalità”.
Però riconosce anche il diritto di uno Stato a proteggere i propri cittadini senza ferire la dignità di una persona: “Allo stesso tempo, deve essere riconosciuto il diritto di una nazione a difendersi e a proteggere le proprie comunità da coloro che hanno commesso crimini violenti o gravi mentre si trovavano nel paese o prima di arrivarci. Detto questo, l’atto di deportare persone che in molti casi hanno abbandonato la propria terra per motivi di estrema povertà, insicurezza, sfruttamento, persecuzione o grave degrado ambientale, ferisce la dignità di molti uomini e donne, di intere famiglie, e li pone in uno stato di particolare vulnerabilità e indifesa”.
La giustizia di uno Stato si fonda su questo principio: “Non si tratta di una questione di poco conto: un autentico Stato di diritto si verifica proprio nel trattamento dignitoso che tutti gli uomini meritano, soprattutto i più poveri ed emarginati. Il vero bene comune si promuove quando la società e il governo, con creatività e rigoroso rispetto dei diritti di tutti (come ho affermato in numerose occasioni) accolgono, proteggono, promuovono e integrano i più fragili, indifesi e vulnerabili.
Ciò non impedisce lo sviluppo di una politica che regoli la migrazione ordinata e legale. Tuttavia, la suddetta ‘maturazione’ non può essere costruita attraverso il privilegio di alcuni e il sacrificio di altri. Ciò che si costruisce sulla base della forza, e non sulla base della verità sulla pari dignità di ogni essere umano, inizia male e finirà male”.
In ciò consiste l’amore cristiano che si differenzia da quello filantropico: “Noi cristiani sappiamo bene che solo affermando l’infinita dignità di tutti può giungere a maturazione la nostra identità come persone e come comunità. L’amore cristiano non è un’espansione concentrica di interessi che si estendono gradualmente ad altre persone e gruppi.
In altre parole: la persona umana non è un semplice individuo, relativamente espansivo, con qualche sentimento filantropico! La persona umana è un soggetto dotato di dignità che, attraverso la relazione costitutiva con tutti, specialmente con i più poveri, può maturare gradualmente la sua identità e vocazione. Il vero ‘ordo amoris’ da promuovere è quello che scopriamo meditando costantemente la parabola del ‘buon samaritano’, cioè meditando sull’amore che costruisce la fraternità”.
Per il papa risulta pericoloso riflettere solo su se stessi, riconoscendo il ‘lavoro’ svolto dalla Conferenza episcopale statunitense: “Preoccuparsi dell’identità personale, comunitaria o nazionale, al di fuori di queste considerazioni, introduce facilmente un criterio ideologico che distorce la vita sociale e impone la volontà del più forte come criterio di verità.
Riconosco i preziosi sforzi di voi, cari vescovi degli Stati Uniti, mentre lavorate a stretto contatto con i migranti e i rifugiati, annunciando Gesù Cristo e promuovendo i diritti umani fondamentali. Dio ricompenserà abbondantemente tutto ciò che fai per proteggere e difendere coloro che sono considerati meno preziosi, meno importanti o meno umani!”
Il messaggio è un’esortazione alla costruzione di ‘ponti’ di fraternità: “Esorto tutti i fedeli della Chiesa cattolica e tutti gli uomini e le donne di buona volontà a non cedere a narrazioni che discriminano e causano inutili sofferenze ai nostri fratelli migranti e rifugiati. Con carità e chiarezza siamo tutti chiamati a vivere in solidarietà e fraternità, a costruire ponti che ci avvicinino sempre di più, a evitare muri di ignominia e a imparare a donare la nostra vita come Gesù Cristo ha offerto la sua, per la salvezza di tutti”.
Ed ha invitato a pregare la Madonna di Guadalupe: “Chiediamo alla Beata Vergine Maria di Guadalupe di proteggere le persone e le famiglie che vivono nella paura o nel dolore a causa della migrazione e/o della deportazione. La ‘Vergine oscura’, che ha saputo riconciliare i popoli quando erano in conflitto, ci conceda di rincontrare tutti come fratelli, nel suo abbraccio, e di fare così un passo avanti nella costruzione di una società più fraterna, inclusiva e rispettosa della dignità di tutti”.
Persona, cura, dedizione e solidarietà: i quattro pilastri dell’ecosistema Gemelli

‘Persona, cura, dedizione e solidarietà sono i pilastri sui quali si fonda l’ecosistema Gemelli’, cui danno vita il Policlinico insieme alla Facoltà di Medicina e chirurgia: ‘un sistema integrato di condivisione ideale e competenza scientifica’: nel suo discorso inaugurale nella sede di Roma dell’Università Cattolica del Sacro Cuore il rettore Elena Beccalli ha proposto l’orizzonte ideale che fa del Gemelli ‘un punto di riferimento per la sanità nazionale’.
Nel suo discorso il rettore ha tratteggiato il ‘quadro difficile e articolato’ della sanità italiana: “La sanità è una questione nevralgica per il paese… Eppure, una sanità accessibile è una forma di “diritto di cittadinanza” riconosciuto dalla nostra Carta Costituzionale nell’articolo 32, che recita: ‘La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività’. Un principio che trova attuazione nel Servizio Sanitario Nazionale istituito nel 1978 proprio da una nostra laureata”,
Ed ha sottolineato l’importanza del Servizio sanitario: “Tina Anselmi, prima donna a ricoprire l’incarico di Ministro della Salute della Repubblica italiana. Un Servizio finemente definito dallo stesso Presidente Matterella «presidio insostituibile di unità del paese» e pertanto ‘un patrimonio prezioso da difendere ed adeguare’. Un diritto che dobbiamo salvaguardare con ancora maggiore tenacia di fronte alle forti disuguaglianze, alle laceranti polarizzazioni e alle crescenti povertà che sempre più riscontriamo nei nostri territori”.
Però ha sottolineato che il Servizio sanitario è ad un bivio: “Senza i giusti interventi, non certo semplici da individuare data la complessità delle questioni sanitarie, il rischio che ne consegue è un aumento delle già profonde divaricazioni presenti nella nostra società. Come sottolinea l’articolo che ricordavo, una riforma sistemica rappresenta l’unica via per garantire un’assistenza equa ed efficiente, preservando la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale”.
Ed ecco i quattro pilastri a cui l’Università Cattolica non può rinunciare: “Dunque, se dovessi riassumere l’orizzonte ideale verso il quale auspico debba rivolgersi la nostra azione, sarei propensa a utilizzare quattro termini: persona, cura, dedizione, solidarietà. Nelle attività del Policlinico presupposto imprescindibile è l’avere un’attenzione alla persona nella sua interezza, che può essere assicurata solo da una genuina vocazione alla cura di medici e operatori sanitari.
Tutto ciò deve avvenire, giorno dopo giorno, con quella dedizione che muove coloro che sono al servizio delle istituzioni nell’ottica di contribuire al bene comune. E, allo stesso tempo, con spirito di solidarietà, uno dei cardini della Dottrina sociale della Chiesa, cui il personale docente e sanitario è chiamato a ispirare il lavoro quotidiano per l’edificazione propria e di tutta la società”.
Da qui lo sviluppo di un piano per l’Africa: “Declinata in questo modo, la solidarietà diviene il presupposto principale per l’ideazione e l’attuazione del Piano Africa dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Si tratta di una struttura d’azione, in coerenza con l’indirizzo di apertura proprio di una Università che vuole essere la migliore per il mondo, con l’intento di porre il continente africano al cuore delle progettualità sanitarie, assistenziali, educative, di ricerca e di terza missione. In uno spirito di reciprocità con l’Africa, l’Ateneo intende diventare polo educativo dalla triplice finalità: formare medici in Africa, offrire ai giovani africani di seconda generazione opportunità di studio, integrare le esperienze di volontariato dei nostri studenti nei percorsi accademici”.
Il preside della Facoltà di Medicina e chirurgia, prof. Antonio Gasbarrini, ha sottolineato che “un aspetto cruciale del nostro operato risiede nella collaborazione costante con le istituzioni sanitarie, in particolare con la Regione Lazio, nostro principale committente in ambito sanitario pubblico, e con il ministero della Salute, che stabilisce le regole e crea le opportunità per garantire una sanità pubblica nazionale equa e accessibile…
Oltre al nostro ruolo nelle patologie elettive, infatti, stiamo sviluppando con entrambe le istituzioni, regionale e nazionale, politiche al servizio della cruciale rete dell’emergenza/urgenza, quella rete che rappresenta la colonna portante delle politiche sanitarie», «fondamentale per salvare vite, ridurre le complicanze e garantire la presa in carico integrata del paziente, dal primo intervento alla riabilitazione”.
All’inaugurazione dell’anno accademico è intervenuto anche il direttore di ‘Medici con l’Africa Cuamm’, organizzazione che da 75 anni è impegnata in Africa, don Dante Carraro: “Nel nostro nome è racchiuso lo stile che guida il nostro intervento: non ‘per’ ma ‘con’ l’Africa. Camminiamo a fianco delle popolazioni locali, all’interno del sistema sanitario cercando di esserne lievito, intervenendo in partnership con le autorità locali e partendo dai bisogni reali. Non caliamo interventi dall’alto, ma costruiamo insieme delle risposte che possano essere sostenibili e possano garantire futuro.
Ci stanno a cuore, soprattutto, le mamme e i bambini, fragili tra i fragili, specie nel momento del parto e nei primi mesi di vita. Infine, crediamo che una leva fondamentale di cambiamento sia l’investimento in formazione, dei giovani italiani e anche africani, per questo collaboriamo con 39 università italiane e con tanti partner di ricerca nel mondo, così da poter dare solidità al nostro intervento, perché siamo convinti che una medicina per i poveri, non debba essere una medicina povera”.
(Foto: Università Cattolica)
Papa Francesco: la cura illumina il futuro

Questa mattina, nella festa di san Giovanni della Croce, papa Francesco ha ricevuto in Aula Paolo VI l’Associazione Italiana contro le Leucemie Linfomi e Mieloma, in occasione per il suo 55^ compleanno, ricordando loro di non dimenticare la solidarietà e la prossimità per superare l’individualismo e ringraziandoli per l’attività di volontariato:
“Grazie per la vostra visita e soprattutto grazie per quello che fate. Oltre a finanziare la ricerca per la cura delle leucemie, dei linfomi e del mieloma, e lo sviluppo di centri specializzati sul territorio, offrite accoglienza a pazienti e familiari, cure a domicilio e prossimità a tante persone con migliaia di volontari. Prossimità, è una delle qualità di Dio: prossimo, compassionevole e tenero. E voi fate lo stesso: essere prossimi con tanta compassione e tanta tenerezza. Prossimità, non dimenticatevi questo. La vostra è una testimonianza di solidarietà e di vicinanza, ancora più importante in un mondo segnato dall’individualismo”.
Ed ha ‘consegnato’ loro tre parole, di cui la prima è ‘illuminare’, tema al centro del loro incontro, ‘Insieme illuminiamo il futuro: “Infatti la malattia spesso fa precipitare la persona e la sua famiglia nel buio del dolore e dell’angoscia, generando solitudine e chiusura. A livello sociale, è spesso percepita come una sconfitta, qualcosa da nascondere, eliminare: si scartano i malati in nome dell’efficienza e della forza, si emargina la sofferenza perché fa paura e ostacola i progetti”.
E’ stato un invito a mettere al ‘centro’ la persona: “In altre culture addirittura si eliminano i malati, si eliminano, e questo è brutto! Invece, è urgente rimettere al centro la persona malata, con la sua storia, le relazioni familiari, quelle amicali, quelle terapeutiche per trovare senso al dolore e dare risposta ai tanti ‘perché’. Anche quando tutto sembra perduto, è possibile sperare. Ma ci vuole qualcuno che porti un po’ di luce, una fiamma di speranza, con l’amicizia, la vicinanza e l’ascolto”.
Però per mettere al ‘centro’ la persona è necessario il dono: “La seconda parola è dono. Queste persone che portano un po’ di luce sono i “donatori”. La logica del dono è il principale antidoto alla cultura dello scarto. Ogni volta che si dona, la cultura dello scarto viene indebolita, anzi, annullata; e il consumismo, che apparentemente vorrebbe impossessarsi anche delle nostre vite, viene sconfitto da questa logica virtuosa”.
Da qui l’invito a ‘guardare’ la tenerezza di Dio incarnato in Gesù: “Il primo a donarsi è Dio stesso, nel suo amore creatore; è Gesù, nella sua Incarnazione. Tra pochi giorni sarà Natale: guardiamo a quel Bimbo donato al mondo perché tutti possiamo essere salvati. Traiamo forza dalla sua fragilità, conforto dal suo pianto, coraggio dalla sua tenerezza. Ecco di nuovo la parola tenerezza: non dimenticatela!”
Ed infine la piazza per essere accanto alle persone: “La terza parola è piazza. La vostra Associazione è presente nelle piazze, con un’opera di diffusione capillare. E’ l’impegno di non restare chiusi nel proprio orticello a coltivare solo i propri interessi, ma di animare il territorio, di essere segno tangibile, presenza visibile, mai invadente. Nella piazza si manifesta la volontà di stare con la gente, di condividere il dolore, di essere buoni samaritani. Questo è un dono che fate a tutta la società. Siete visibili ma non per voi stessi, per le persone che ne hanno bisogno”.
Ciò permette anche di sostenere la ricerca scientifica: “E così contribuite a sostenere la ricerca scientifica, ad aumentare la conoscenza che fa parte della migliore tradizione sanitaria italiana, e ad assicurare l’attenzione alle persone che hanno bisogno di sentirsi accompagnate nella terapia. Siete un tassello della costruzione di due speranze: speranza della cura, sempre, e speranza della terapia, nelle modalità più aggiornate”.
Inoltre ha incontrato musicisti e cantanti che nel pomeriggio si esibiscono sul palco dell’Auditorium della Conciliazione, il papa ha sottolineato l’importanza di questo concerto di Natale: “Il Natale ci ricorda che la speranza è prima di tutto dono di Dio, e che come tale ‘si fonda sulla fede ed è nutrita dalla carità’. Ha bisogno perciò, da una parte, di affondare le sue radici nel terreno fertile della comunione con il Signore e, dall’altra, di crescere e fiorire in scelte concrete d’amore, così da colmare di senso il presente aprendo nuovi orizzonti per il domani”.
(Foto: Vatican News)
Francesca Di Maolo, presidente dell’Istituto Serafico: ‘attenzione per i diritti dei disabili’

La Giornata internazionale delle persone con disabilità, celebrata il 3 dicembre, è stata proclamata nel 1981 con lo scopo di promuovere i diritti e il benessere dei disabili. Dopo decenni di lavoro delle Nazioni Unite, la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, adottata nel 2006, ha ulteriormente promosso i diritti e il benessere delle persone con disabilità, ribadendo il principio di uguaglianza e la necessità di garantire loro la piena ed effettiva partecipazione alla sfera politica, sociale, economica e culturale della società.
La Convenzione invita gli Stati ad adottare le misure necessarie per identificare ed eliminare tutti quegli ostacoli che limitano il rispetto di questi diritti imprescindibili. La Convenzione (Articolo 9, accessibilità) si focalizza sulla necessità di condizioni che consentano alle persone con disabilità di vivere in modo indipendente e di partecipare pienamente a tutti gli aspetti della vita e dello sviluppo.
All’avv. Francesca Di Maolo, presidente dell’Istituto Serafico di Assisi, abbiamo chiesto di raccontare l’importanza di questa giornata: “E’ importante per richiamare l’attenzione sui diritti delle persone con disabilità e per ricordarci che il cammino è ancora lungo e non dobbiamo arrestarci”.
Nello scorso ottobre al Castello di Solfagnano, in Umbria, si è svolto il ‘G7 Inclusione e Disabilità, con la sottoscrizione di una ‘Carta’. Questa ‘Carta di Solfagnano’ può segnare un passo avanti per l’inclusione delle persone con disabilità?
“Segna l’inizio di un processo. L’impegno dei Paesi del G7 su alcune priorità aprono la strada a delle politiche concrete per le persone con disabilità. Siamo chiamati a ripensare i nostri edifici, strade, trasporti, telecomunicazioni, Web, scuole e ospedali con un approccio nuovo, che è quello dei diritti umani e della progettazione universale. Ma il G7 di Assisi e Solfagnano ci ha lasciato soprattutto un metodo per affrontare il tema dell’inclusione, che è quello del coinvolgimento delle persone con disabilità e delle loro organizzazioni rappresentative in tutti i processi decisionale e a ogni livello”.
In quale modo è possibile l’inclusione?
“L’inclusione è una bellissima tessitura che si compone intrecciando i fili disgiunti in movimenti verticali e orizzontali. Anche se, fondamentalmente, la ‘Carta di Solfagnano’ e la politica delle istituzioni non saranno sufficienti per riportare le persone con disabilità al centro della vita, ma occorrerà l’impegno di ciascuno di noi in un movimento orizzontale capace di coinvolgere i singoli, le associazioni in continuo dialogo con la politica. Dobbiamo maturare la consapevolezza che ciascuno di noi può fare la differenza”.
E’ possibile garantire una vita autonoma ed indipendente?
“E’ certamente possibile, ma solo se non confonderemo l’autonomia con l’assenza dell’altro. Nessuno di noi può essere libero di vivere una vita piena in solitudine. E’ all’interno di una relazione, che può essere di tipo affettivo, di aiuto, di amicizia, che possono svilupparsi quelle opportunità che colmano il limite della disabilità. Dobbiamo essere pronti a stare alla necessità del bene delle persone che abbiamo accanto. E’ questa disposizione d’animo che apre la porta alla libertà di vivere delle persone che entrano in relazione con noi”.
Come è possibile cambiare il nostro sguardo verso la persona disabile?
“E’ possibile solo attraverso un riconoscimento: il valore incommensurabile della vita e la dignità unica e senza limiti di ogni persona. Siamo chiamati non tanto a vedere le persone che incrociamo nella nostra vita, ma a riconoscerle”.
‘Insieme, possiamo costruire un mondo dove la dignità di ogni persona sia pienamente riconosciuta e rispettata’, ha affermato papa Francesco ai ministri del G7: siamo pronti?
“La dignità ed il valore della vita umana sono l’architrave della ‘Carta di Solfagnano’ e della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, ma c’è bisogno dell’impegno di tutti e di un lavoro integrato e multisettoriale per dare concretezza alla parola dignità. Anche se facciamo fatica a recuperare questa dimensione del vivere e del collaborare insieme: oggi tendiamo sempre di più a chiuderci in noi stessi e in un marcato individualismo. Le persone con disabilità possono insegnarci a ritrovare il gusto della relazione e della fiducia per l’altro che non è mai una minaccia, ma la porta che ci apre a un mondo giusto”.
Quale è la mission dell’Istituto Serafico?
“Da oltre 150 anni la nostra missione non è cambiata e consiste nel rendere piena la vita di persone con disabilità grave. Quando una finestra si è chiusa sulla vita, a causa della disabilità, noi siamo pronti a spalancarne tante altre”.
(Tratto da Aci Stampa)
Lorenzo Zardi: narrare le esperienze della cultura del ‘noi’

“Siamo qui per rinnovare la nostra fedeltà al Vangelo in questo cambiamento di epoca che ci chiede una creativa e lungimirante lettura dei segni dei tempi… I punti di riferimento essenziali per l’Ac si riscontrano nel magistero della Chiesa, nella storia e nell’oggi associativo, nella rinnovata capacità di ‘leggere i segni dei tempi’. Consapevoli che il momento storico presente mostra elementi di forte complessità. Quando pensiamo alla pace, alla democrazia, allo sviluppo integrale della persona e alla cura della casa comune, ai diritti umani e alle disuguaglianze: abbiamo però innanzi, allo stesso tempo, un periodo favorevole a costruire nuovi cammini di fede e nuovi percorsi di santità popolare”: così il presidente nazionale Ac, Giuseppe Notarstefano, ha chiuso i lavori del Convegno dei presidenti e assistenti unitari diocesani e delle delegazioni regionali di Azione Cattolica Italiana svoltosi nel penultimo fine settimana di ottobre a Sacrofano, vicino Roma.
A questo invito alla lettura dei ‘segni dei tempi’ ha risposto con convinzione il vicepresidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana, Lorenzo Sardi, che ha ribadito l’impegno dei giovani nella custodia della vita democratica: “Vogliamo impegnarci a custodire la democrazia nella bellezza di un confronto paziente e a promuovere la partecipazione in ogni sua forma. Come Azione Cattolica siamo convinti della bellezza che può nascere dal contribuire a realizzare un Paese che vive nelle braccia aperte del confronto e dell’approfondimento, della discussione e della ricerca comune del bene.
Ci impegniamo a custodire la democrazia perché siamo profondamente convinti che il bene comune non sia altro che la ricerca comune del bene e che l’esperienza della democrazia, che noi sperimentiamo ed esercitiamo in associazione, scoprendone la fatica e la bellezza fin da adolescenti, insegna costantemente che non è vero che nessuno è indispensabile. Semmai è vero il contrario: tutti siamo indispensabili ma nessuno è la soluzione”.
In quale modo è possibile vivere da protagonisti nella complessità di questo tempo?
“Non con ricette preconfezionate, ma nella disponibilità a un cambio di rotta che parta dall’ascolto della vita e dalla fedeltà al Vangelo… Farsi coinvolgere vuol dire sicuramente farsi cambiare. E cambiare non è snaturare, ma servire meglio. Il nostro compito, come diceva Bachelet, è aiutare tutti i giovani ‘ad amare Dio e ad amare i fratelli’ mettendo al centro l’ascolto della vita. Farsi prossimi significa assumersi la responsabilità di non lasciare soli i giovani nel cammino verso il diventare adulti”.
Quali conseguenze ha la parola ‘noi’ nella società?
“In questo tempo su questa parola c’è bisogno di un investimento, che non significa porlo in contrapposizione con la parola ‘io’. Investire sul ‘noi’ significa, da un lato, dedicarsi ad un tempo di riflessione personale ed all’approfondimento culturale, sapendo fare un passo indietro nel confronto con la comunità. Tenendo insieme l’approfondimento culturale ed il confronto comunitario si può costruire una società, che vada oltre le polarizzazioni e riesca a riconoscere che la costruzione del bene comune è la ricerca comune del bene”.
Quali implicazioni ha nella cultura e nella fede questo pronome di prima persona plurale?
“Sempre più abbiamo bisogno di vivere esperienze comunitarie di fede, nelle quali possiamo condividere non solo dubbi ma anche esperienze di festa. Il cammino di fede non è un cammino per solitari, ma è sempre un cammino condiviso, che passa attraverso il convertirsi tramite le persone che ci pone accanto. Quindi in una società sempre più liberalista è liberante che nessuno ha verità ‘in tasca’ per risolvere i problemi del nostro tempo ed occorre, da un lato, l’approfondimento personale ed un riposo ‘contemplativo’; dall’altro, occorre far risuonare il riposo ‘contemplativo’ nella cassa di risonanza della comunità, che aiuta a trovare le armonie giuste attraverso suoni differenti, in modo da rendere il ‘mosaico’ della società interessante”.
Oggi la parola ‘comunità’ è stata sostituita dalla parola ‘comunity’: in quale modo è possibile non confondere il significato delle due parole?
“Abbiamo bisogno di comunità incarnate e non solo quelle digitali, oppure comunità all’interno delle quali abbiamo un solo pensiero. Questa è la comunity, un gruppo di persone tra uguali. La comunità, invece, permette l’ascolto delle voci differenti ed è fatta di volti e di relazioni”.
L’Azione Cattolica Italiana ha capacità di narrare la comunità?
“L’Azione Cattolica Italiana è una grande palestra di comunità, all’interno della quale si trova tante esperienze differenti e tanti cammini diversi, ma condivisi. Da sempre l’Azione Cattolica Italiana è attraente. Tutti dobbiamo crescere nella capacità di narrare meglio la bellezza di vivere in comunità. Nello stesso tempo ognuno di noi è nella comunità cristiana, perché ha incontrato una narrazione bella ed entusiasmante della comunità. Quindi l’Azione Cattolica ha la capacità di narrare”.
(Foto: Azione Cattolica Italiana)
Papa Francesco invita a studiare la storia per riscoprire i martiri

“Sono ben consapevole che, nel percorso formativo dei candidati al sacerdozio, viene destinata una buona attenzione allo studio della storia della Chiesa, così come è giusto che sia. Ciò che vorrei sottolineare ora va piuttosto nella direzione di un invito a promuovere, nei giovani studenti di teologia, una reale sensibilità storica. Con quest’ultima espressione voglio indicare non solo la conoscenza approfondita e puntuale dei momenti più importanti dei venti secoli di cristianesimo che ci stanno alle spalle, ma anche e soprattutto il sorgere di una chiara familiarità con la dimensione storica propria dell’essere umano. Nessuno può conoscere veramente chi è e che cosa intende essere domani senza nutrire il legame che lo connette con le generazioni che lo precedono. E questo vale non solo a livello di vicenda dei singoli, ma anche ad un livello più ampio di comunità”.
Lo ha scritto papa Francesco nella lettera sul ‘Rinnovamento dello studio della storia della Chiesa’, in continuità con la lettera sulla importanza della letteratura nella formazione dello scorso agosto, sottolineando che “una corretta sensibilità storica aiuta ciascuno di noi ad avere un senso delle proporzioni, un senso di misura e una capacità di comprensione della realtà senza pericolose e disincarnate astrazioni, per come essa è e non per come la si immagina o si vorrebbe che fosse. Si riesce così ad intessere un rapporto con la realtà che convoca alla responsabilità etica, alla condivisione, alla solidarietà”.
Infatti nella presentazione di ieri il card. Lazzaro You Heung-sik, prefetto del dicastero per il Clero, ha sottolineato l’importanza della lettera: “Ho iniziato questo mio breve intervento dicendo che con questa Lettera il Santo Padre prosegue un discorso di formazione sacerdotale, cristiana e umana che va verso una piena consapevolezza dell’essere sacerdoti, cristiani, esseri umani che cercano di comprendere e di comprendersi nel portare avanti il piano di Dio”.
Ed ha sottolineato tre caratteristiche fondamentali della fede cristiana: “La prima: Dio entra in punta di piedi nella storia dell’umanità e dei singoli per innestarci nella Sua storia salvifica. La seconda, conseguenza della prima, comporta la necessità di conseguire una ‘dimensione storica dell’essere umano’ attraverso ‘una reale sensibilità storica’ che deve portare ad una ‘Chiesa che riconosce se stessa anche nei suoi momenti più oscuri’, che ‘diventa capace di comprendere le macchie e le ferite del mondo in cui vive, e se cercherà di sanarlo e di farlo crescere, lo farà nello stesso modo in cui tenta di sanare e far crescere se stessa’…
Terza caratteristica: il Dio di Gesù Cristo che entra nella nostra storia come Persona, che parla, vive, agisce, piange, sorride, accarezza, si adira. Costruisce cioè storia con noi per portarci ad un livello di comunione e consapevolezza con Lui, affinché ritroviamo noi stessi come figli suoi che hanno i suoi tratti, fatti ‘a sua immagine e somiglianza’ (Gen. 1,26), secondo la sua essenza che è comunione. Dio stesso è maestro di Storia, oltre che Signore delle nostre storie”.
Mentre il segretario dello stesso dicastero, mons. Andrés Gabriel Ferrada Moreira, ha sottolineato la cura del papa per la formazione dei giovani: “Il Santo Padre ha particolarmente a cuore alcune attuali debolezze e limiti nella formazione dei giovani, particolarmente nei percorsi formativi agli Ordini ministeriali nei Seminari e nelle altre Case di formazione, dove si tende a considerare di meno la memoria del passato, la ricerca della verità e l’appartenenza a una cultura che si esprime attraverso molti modi, di cui l’arte letteraria è uno dei privilegiati. Tra l’altro, la superficialità delle letture e dello studio e il fascino compulsivo dell’immediato offerto da uno schermo, non poche volte, lascia prendere il sopravvento a banalità e fake news”.
Infine il prof. Andrea Riccardi, presidente della ‘Società Dante Alighieri’, ha sottolineato la continuità con il Concilio Vaticano II: “In linea con il Concilio, papa Francesco chiede di maturare una ‘reale sensibilità storica’. Non una difesa trionfalista. Non una storia ideologica, né manipolatrice degli eventi (i conflitti talvolta si giustificano con ricostruzioni tendenziose della storia). Per il papa bisogna conoscere la storia, ma avere una mentalità storica nel vivere il presente e nella Chiesa: ‘Senza memoria non si va mai avanti’, dice”.
Tale Lettera è un collegamento con la memoria dei martiri: “Del resto, il recupero della memoria dei martiri del Novecento, voluto da Giovanni Paolo II per il Grande Giubileo, ha salvato dall’oblio questi ultimi sepolti dalla violenza. Ne è emersa dal recupero della memoria una Chiesa di martiri. La storia libera e restituisce alla realtà. Ha fatto emergere storicamente l’autocoscienza della Chiesa dei martiri. Francesco ha voluto una nuova commissione per i martiri del XXI secolo. La storia della Chiesa non è solo di papi o grandi personaggi, ma anche storia degli umili, della loro preghiera, della carità, della pietà popolare. Abbiamo già una grande storiografia in proposito”.
Ed infatti nella conclusione della lettera il papa ha chiesto di studiare la storia per recuperare l’esperienza martiriale della Chiesa: “In quest’ultima osservazione, desidero ricordare che la storia della Chiesa può aiutare a recuperare tutta l’esperienza del martirio, nella consapevolezza che non c’è storia della Chiesa senza martirio e che mai si dovrebbe perdere questa preziosa memoria. Anche nella storia delle sue sofferenze ‘la Chiesa confessa che molto giovamento le è venuto e le può venire perfino dall’opposizione di quanti la avversano o la perseguitano’. Proprio lì dove la Chiesa non ha trionfato agli occhi del mondo, è quando ha raggiunto la sua maggiore bellezza”.
Papa Francesco: l’intelligenza artificiale non è neutrale

“Mi rivolgo oggi a Voi, leader del Forum Intergovernativo del G7, con una riflessione sugli effetti dell’intelligenza artificiale sul futuro dell’umanità. ‘La Sacra Scrittura attesta che Dio ha donato agli uomini il suo Spirito affinché abbiano ‘saggezza, intelligenza e scienza in ogni genere di lavoro’ (Es. 35,31’. La scienza e la tecnologia sono dunque prodotti straordinari del potenziale creativo di noi esseri umani. Ebbene, è proprio dall’utilizzo di questo potenziale creativo che Dio ci ha donato che viene alla luce l’intelligenza artificiale”: con la citazione dell’ultimo messaggio per la Giornata mondiale per la pace papa Francesco ha iniziato il discorso al G7, riunito in Puglia, sottolineando il valore della dignità umana.
Il tema centrale del discorso del papa ha riguardato, infatti, la dignità umana che si deve confrontare con l’intelligenza artificiale: “Il tema dell’intelligenza artificiale è, tuttavia, spesso percepito come ambivalente: da un lato, entusiasma per le possibilità che offre, dall’altro genera timore per le conseguenze che lascia presagire. A questo proposito si può dire che tutti noi siamo, anche se in misura diversa, attraversati da due emozioni: siamo entusiasti, quando immaginiamo i progressi che dall’intelligenza artificiale possono derivare, ma, al tempo stesso, siamo impauriti quando constatiamo i pericoli inerenti al suo uso”.
Il pensiero del papa non è un atto di condanna nei confronti dell’intelligenza artificiale: “Il tema dell’intelligenza artificiale è, tuttavia, spesso percepito come ambivalente: da un lato, entusiasma per le possibilità che offre, dall’altro genera timore per le conseguenze che lascia presagire. A questo proposito si può dire che tutti noi siamo, anche se in misura diversa, attraversati da due emozioni: siamo entusiasti, quando immaginiamo i progressi che dall’intelligenza artificiale possono derivare, ma, al tempo stesso, siamo impauriti quando constatiamo i pericoli inerenti al suo uso”.
E ne ha sottolineato i vantaggi pur richiamandone i ‘pericoli’ di creare una più larga ingiustizia: “Non possiamo, del resto, dubitare che l’avvento dell’intelligenza artificiale rappresenti una vera e propria rivoluzione cognitivo-industriale, che contribuirà alla creazione di un nuovo sistema sociale caratterizzato da complesse trasformazioni epocali. Ad esempio, l’intelligenza artificiale potrebbe permettere una democratizzazione dell’accesso al sapere, il progresso esponenziale della ricerca scientifica, la possibilità di delegare alle macchine i lavori usuranti; ma, al tempo stesso, essa potrebbe portare con sé una più grande ingiustizia fra nazioni avanzate e nazioni in via di sviluppo, fra ceti sociali dominanti e ceti sociali oppressi, mettendo così in pericolo la possibilità di una cultura dell’incontro a vantaggio di una cultura dello scarto”.
Quindi il papa ha chiesto di ridare rilievo alla dignità della persona: “Oltre la complessità di legittime visioni che caratterizzano la famiglia umana, emerge un fattore che sembra accomunare queste diverse istanze. Si registra come uno smarrimento o quantomeno un’eclissi del senso dell’umano e un’apparente insignificanza del concetto di dignità umana. Sembra che si stia perdendo il valore e il profondo significato di una delle categorie fondamentali dell’Occidente: la categoria di persona umana..
Non dobbiamo dimenticare infatti che nessuna innovazione è neutrale. La tecnologia nasce per uno scopo e, nel suo impatto con la società umana, rappresenta sempre una forma di ordine nelle relazioni sociali e una disposizione di potere, che abilita qualcuno a compiere azioni e impedisce ad altri di compierne altre. Questa costitutiva dimensione di potere della tecnologia include sempre, in una maniera più o meno esplicita, la visione del mondo di chi l’ha realizzata e sviluppata”.
Ed ha rimesso al centro la necessità dell’azione politica: “Non possiamo, quindi, nascondere il rischio concreto, poiché insito nel suo meccanismo fondamentale, che l’intelligenza artificiale limiti la visione del mondo a realtà esprimibili in numeri e racchiuse in categorie preconfezionate, estromettendo l’apporto di altre forme di verità e imponendo modelli antropologici, socio-economici e culturali uniformi.
Il paradigma tecnologico incarnato dall’intelligenza artificiale rischia allora di fare spazio a un paradigma ben più pericoloso, che ho già identificato con il nome di ‘paradigma tecnocratico’. Non possiamo permettere a uno strumento così potente e così indispensabile come l’intelligenza artificiale di rinforzare un tale paradigma, ma anzi, dobbiamo fare dell’intelligenza artificiale un baluardo proprio contro la sua espansione”.
(Foto: Santa Sede)