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P. Giuseppe Scalella: chi ci aiuta a vivere?

“Lo disse Galileo quando scoprì con sorprendente evidenza che la terra girava intorno al sole e non il contrario. Fino ad allora (e siamo nel 1633) tutti credevano il contrario, tanto che i suoi calcoli scientifici gli costarono torture e condanne. La frase potrebbe essere usata ora. Ora che ci si attarda sul conservare abitudini e riti e non ci si accorge che il mondo gira in tutt’altra parte. Sono in tanti a sbraitare e a dire che il mondo di oggi è sordo ai richiami della fede. Io non sono per niente dell’avviso. Al contrario: credo che mai come oggi sia evidente un grido che sale dalla terra e diventa sempre più forte. Dall’altra parte, però, si è sordi ad ascoltarlo e ci si ostina a conservare quello che ormai non risponde più a quel grido. Queste piccole pagine possono aiutare a vincere quella sordità”.

Così inizia  l’opuscolo pro manuscripto, ‘Eppur si muove’, dell’agostiniano p. Giuseppe Scalella, che raccoglie alcuni articoli apparsi nei giornali, che affrontano il senso del cristianesimo nella società contemporanea, tra cui un saggio del 2006 scritto dal card. Joseph Ratzinger, ‘Chi ci aiuta a vivere? Su Dio e l’uomo’: “Forse, nella storia dell’autoemancipazione dell’uomo negli ultimi 150 anni vi furono realmente dei momenti in cui sorse irresistibile l’impressione che l’uomo potrebbe non curarsi del problema di Dio, senza per questo subire danno alcuno; potrebbe lasciarlo da parte, perché si tratta di una questione superflua”.

Partendo da questa ‘tesi’ chiediamo all’autore dell’opuscolo di spiegarci cosa si muove oggi: “Per i più distratti e indifferenti di fronte a quello che sta accadendo sembra che la vita e il mondo si siano fermati. Dal momento che non sanno darsi una spiegazione pensano che chi governa il mondo l’abbia messo in stand by, in attesa che qualcosa cambi in meglio. Intanto loro, i distratti e gli indifferenti, se ne stanno alla finestra a guardare.

Chi invece la vita e il mondo li vivono si accorgono del contrario: che, cioè, ci si sta muovendo verso una nuova epoca che, certamente, non ha ancora mostrato la sua vera identità, ma comunque mostra con evidenza i segni di un cambiamento. Forse la fatica più grossa che si fa è che i cambiamenti sono veloci, non lenti come ci si aspetterebbe, e questo non aiuta a capire bene. C’è però un’altra considerazione da fare: i cambiamenti ci sono ma i più fanno fatica ad adattarsi e allora, con una certa nostalgia, tentano di ritornare a un passato che non può più tornare, e questo crea non pochi problemi, anche a livello psicologico.

Non ritrovare quasi più un tempo in cui le cose non erano come sono adesso crea estraneità e indifferenza. Comunque il sentimento comune che domina non è bello perché tende a demonizzare il presente e a rifiutarlo, senza guardarci dentro. Bisogna guardare dentro la vita per capire il buono che c’è, non limitarsi a quello che appare. Io vedo attualmente un grande bisogno di umanità, che è un guardarsi e accogliersi per quello che si è, con molta libertà. Viviamo in un mondo finto e la gente, specie i più giovani, non lo sopportano.

Ho riscontrato più volte che spesso basta un abbraccio, un sorriso per dare serenità e libertà. C’è un enorme bisogno di essere ascoltati, accolti, amati per quello che si è. Molti pensano che questa sia un’epoca buia, triste, che va verso la rovina. È vero che i fatti ce lo dimostrano, ma dentro i fatti tristi che accadono io vedo un grande grido, una domanda di senso che diventa sempre più evidente. È grande e bella per questo”. 

Il mondo è sordo alla fede?

“Io non direi. Certo, la pratica religiosa sta crollando in modo vertiginoso. Se si guardano le statistiche si rimane davvero sconcertati. Ma è la pratica religiosa in difficoltà, non la fede. La fede non è la pratica religiosa. Troppo spesso le abbiamo identificate ma non è così. La fede fa parte dell’esperienza umana e nasce sempre dopo un incontro. Mai prima. La fede di quelli che seguivano Gesù è nata man mano che lo seguivano. Prima però c’è stato l’incontro con lui, poi la fede. Essa consiste nel dar credito a un incontro nel quale uno scopre se stesso, che cosa si agita nel suo cuore e per che cosa vale la pena vivere.

Quando uno, dentro quell’incontro, scopre che c’è una risposta alle domande della vita, allora scatta la fede. Bisogna dire che proprio questo dinamismo incontro-fede è scomparso quasi del tutto dal tessuto delle nostre comunità cristiane. Oggi andare in una chiesa o in una parrocchia vuol dire trovare tante cose che si praticano e che si ripetono tutti i giorni (la messa, le preghiere, la Caritas…) ma non sempre vuol dire fare un incontro. Non sempre chi fa parte di una comunità cristiana è capace e disposto ad ascoltare ed accogliere l’umanità di una persona che gli si presenta davanti.

La ragione della cosiddetta scristianizzazione io lo vedo solo lì. Non è vero che non si è più cristiani perché il mondo è ateo. Anche se oggi io preferirei definirlo pagano più che ateo. E l’esperienza di Paolo e dei primi cristiani non ci insegna più nulla? Loro sono andati tra i pagani e lì è iniziata l’esperienza del cristianesimo. I primi cristiani hanno avuto problemi con gli ebrei convertiti più che con i pagani, perché gli ebrei avevano già la loro religione da cui facevano fatica a staccarsi. Oggi si può dire la stessa cosa: i cristiani che vivono la missione si trovano in mezzo ai nuovi pagani, che non sono altro che i cristiani diventati pagani. Per questo la missione è difficile. Ma io non direi mai che il mondo è sordo alla fede. Direi piuttosto che è sordo a certe pratiche religiose che non dicono più nulla, ma non alla fede”.

I giovani hanno fame di Dio?

“Certo che ne hanno fame, come tutti. Basterebbe guardare non superficialmente quello che è accaduto a Lisbona ad agosto scorso. Più di 1.000.000 di giovani, accorsi lì da tutto il mondo, per ascoltare un vecchio papa ultraottantenne. E’ chiaro che la fame di Dio non si vede solo lì. Uno ha fame di Dio quando si accorge che la vita gli va stretta, anche se non lo capisce. Siamo soliti puntare il dito contro i giovani perché si drogano e vanno in cerca dello sballo: ma non è fame di Dio quella?

Il problema è che non trovano nessuno in grado di ascoltare quella fame e dare il nutrimento necessario. I giovani che abbandonano la scuola è in crescente aumento – almeno secondo le statistiche. Ci domandiamo mai perché? Non è forse perché non trovano adulti (genitori e insegnanti) capaci di ascoltarli e di amarli? Se io non ascolto un grido o faccio finta di non sentire, come posso rispondere?”

Con il ritorno nelle classi scolastiche torna anche la inquietudine adolescenziale

A fine giugno un report della Polizia ha evidenziato che nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2023 e febbraio 2024, a Roma sono stati registrati ben 133 casi di aggressione fisica di non lieve entità, denunciati nelle scuole medie superiori: in tutti i casi, gli insegnanti coinvolti hanno dovuto recarsi in ospedale per farsi refertare, come ha riportato il sito ‘OrizzonteScuola’. Analizzando i 133 episodi, emerge un quadro complesso: ben 70 di questi atti di violenza sono stati commessi da studenti.

Partendo da questi dati ad inizio del nuovo anno scolastico abbiamo chiesto una riflessione sul disagio giovanile al prof. Tonino Cantelmi, medico-chirurgo, psichiatria e psicoterapeuta, componente del Comitato Nazionale per la Bioetica e consultore del dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale: “Milioni di utenti, soprattutto i più giovani, sentono un irrefrenabile desiderio, un bisogno imperante di essere sempre connessi.

Come risulta evidente, anche le relazioni sociali si vedono compromesse da tale dinamica. Sebbene internet possa essere un fantastico strumento per facilitare i contatti con amici e familiari, presenta anche un aspetto negativo, come la creazione e il mantenimento di ‘vincoli liquidi’. Tali vincoli causano una sensazione di vuoto e malessere, provocando un forte impatto sull’autostima, in particolar modo tra gli adolescenti”.

Allora cosa sta avvenendo nei giovani?

“Già prima del Covid, in un libro dal titolo molto evocativo, ‘L’epoca delle passioni tristi’, Miguel Benasayag e Gerard Schmit, denunciavano l’inesorabile e crescente malessere dei nostri figli e la frattura con il mondo adulto. Oggi questa crisi è evidente: da un lato abbiamo ragazzi e adolescenti sempre più rabbiosi, oppositivi, autolesionisti e poveri di empatia e dall’altro abbiamo adulti e genitori adultescenti, cioè incapaci di contenere l’esplosività dei loro figli ed immersi in problemi adolescenziali non risolti. Figli rabbiosi e genitori adultescenti costituiscono un mix micidiale ed a volte incontenibile proprio nell’ambiente scolastico, dove insegnanti coraggiosi cercano di imporre qualche limite e qualche regola, evocando il bisogno di una educazione alla responsabilità”.

Quindi siamo in emergenza educativa?

“Si, da molto tempo. I nostri ragazzi sono esplosivi, rabbiosi e a volte crudeli perché il mondo degli adulti è troppo deludente, inconsistente e insignificativo. In realtà c’è bisogno di adulti coraggiosi capaci di offrirsi come educatori responsabili”.

Gli adolescenti di oggi sono più tristi rispetto a quelli degli anni ‘90?

“Tutto il mondo è più infelice e già da molto tempo: l’OMS ha dichiarato che in questo decennio la depressione sarebbe stata la prima causa di invalidità a livello globale. Purtroppo stiamo costruendo un mondo più ansioso, più depresso e più legato a dipendenze e questo fenomeno non riguarda solo i più giovani, ma anche gli adulti e gli anziani. Le dipendenze da sostanze, da alcol e soprattutto le nuove dipendenze da comportamenti scorretti come per esempio quelle da tecnologia, da gioco d’azzardo, da sesso, da shopping, incatenano l’uomo e lo rendono triste”.

Quanto influiscono le dipendenze (soprattutto quella affettiva) nella mente dei giovani?

“Come è noto, il cervello di un adolescente è sbilanciato a causa dell’immaturità delle aree cerebrali corticali, quelle deputate al ragionamento, alla programmazione, alla riflessione e alla motivazione. Ne consegue una maggiore impulsività e al tempo stesso c’è un bisogno di stimoli più forti per produrre dopamina. Alla fine l’adolescente cerca stimoli sempre più intensi che attivino il sistema del piacere.

La cannabis e le droghe, il gioco d’azzardo nelle sue forme virtuali, la tecnologia e i social, l’alcol, il sesso sono tutti stimoli in grado di agire sul sistema cerebrale della ricompensa e del piacere. Questi eccessi creano un cervello sempre più predisposto alla dipendenza. Qui si vede proprio l’assenza degli adulti, il cui compito sarebbe quello di porre limiti salutari. Ma gli adultescenti non riescono a regolare nemmeno se stessi, figuriamoci i ragazzi”.

I ragazzi capiscono di essere tristi e chiedono aiuto?

“Lo fanno ma non sempre nel modo canonico. La loro richiesta arriva attraverso comportamenti disfunzionali ed a volte nemmeno loro si rendono conto che stanno chiedendo aiuto. Per questo è fondamentale che gli adulti siano capaci di vedere e comprendere i veri bisogni dei ragazzi. Purtroppo però non sempre questo accade perché viviamo in una società in cui ci sono sempre più adulti non autorevoli, compassionevoli e interessati davvero ad aiutare i giovani in un percorso di crescita”.

L’inasprimento delle pene può essere un deterrente?

“Si, se inserito in una globale educazione alla responsabilità. I sistemi educativi attuali sono troppo deresponsabilizzanti: penso a quei genitori che sostengono i figli nelle devastanti occupazioni scolastiche, nostalgici dei tempi passati, quando l’ideologia muoveva passioni. Penso a quei genitori capaci di insultare e denigrare gli insegnanti e persino di aggredirli, sostenendo le irragionevoli richieste dei loro figli. Penso a quei genitori pronti a fare ricorso al TAR per le bocciature o per ogni insuccesso scolastico. Insomma c’è un clima deresponsabilizzante, nel quale poi maturano comportamenti sempre più antisociali ed a volte criminali dei minorenni”.

Allora, in quale modo leggere gli avvenimenti di questi mesi (su tutti la tragedia avvenuta a Pescara), che vedono coinvolti i giovani?

“Come il grande fallimento del mondo adulto, troppo adultescente e incapace di prendersi cura dei giovani”.

In quale modo possono intervenire le Istituzioni (politica, scuola, chiesa)?

“Un patto educativo globale, condiviso e volto all’educazione alla responsabilità, tra agenzie educative e famiglie: ecco ci vuole questo. Ci vuole un patto in ogni territorio che metta intorno ad un tavolo gli adulti impegnati nell’educazione: oratori, scuole, società sportive, associazioni ricreative e famiglie potrebbero costituire in ogni territorio il tavolo per l’educazione”.

(Tratto da Aci Stampa)

Da Milano un ‘grido’ contro il peccato e la guerra

“Sinceramente dimoriamo nello stupore e pratichiamo la riconoscenza: viviamo, infatti, di una vita ricevuta. Ogni risveglio è il tempo per lodare il Signore, come ci insegna la Chiesa che propone le Lodi come preghiera del mattino. Veramente il criterio del nostro agire è la docilità al Signore che dona il suo Santo Spirito perché tutto cooperi al bene di coloro che amano Dio e in ogni situazione aiuta a riconoscere l’occasione per amare. L’atteggiamento spirituale della docilità allo Spirito di Dio (Spirito di verità, di sapienza, di fortezza) convince a vivere le celebrazioni liturgiche e la preghiera in modo che siano principio di conformazione a Gesù, costante risposta alla vocazione, deciso proposito di conversione”.

Inizia in questo modo la proposta pastorale del prossimo anno che l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, propone per resistere al male continuando con tenacia e sapienza a educare e operare per la pace, richiamando la Lettera di san Paolo ai Corinzi e gli scritti di santa Teresa d’Avila e sant’Ignazio di Loyola, in quanto “lo smantellamento della nostra superbia apre uno spazio in cui si fa percepibile in modo limpido che tutto è frutto del dono del Signore, potenza sua che si manifesta proprio nella nostra debolezza… Questo ci dona anche la chiarezza e il coraggio di dire ‘basta’ a quanto fa dimenticare il dono del Signore o a quanto lo contrasta esplicitamente”.

Ed ha ricordato anche l’importanza del Concilio di Nicea, in cui è ribadito che Gesù è Figlio di Dio: “Questa drammatica vicenda ha condotto alla professione di fede del Concilio di Nicea, nell’anno 325, che è parte fondamentale del simbolo niceno-costantinopolitano proclamato nelle nostre assemblee durante le celebrazioni domenicali e festive. Si compiono nel 2025 i 1700 anni dal Concilio di Nicea: è provvidenziale ricordare e celebrare quell’evento e approfondire la parola difficile e irrinunciabile che i padri di Nicea hanno formulato per dire la loro fede: il Figlio è della stessa sostanza del Padre.

Come possiamo dire questa verità perché non sia solo una formula da ripetere? Come può l’affermazione della verità della relazione del Figlio con il Padre essere fonte di vita e di pensiero per il nostro tempo e per la proclamazione della verità cristiana a coloro che ci domandano ragione della nostra fede?”

E’ un richiamo a vivere la canonizzazione di Carlo Acutis: “L’anno liturgico ci fa celebrare anche la ricchezza e la fecondità della grazia nella vita dei santi. A questo proposito condividiamo la gioia per la notizia tanto attesa della canonizzazione del beato Carlo Acutis. Nella vita di Carlo si realizza la parola di Paolo che ho voluto richiamare all’inizio di questa mia lettera.

In Carlo Acutis adolescente vedo l’espressione di questa debolezza umana, che è nostro tratto caratteristico: una fragilità (come affermiamo comunemente) che non smentisce la grazia di Dio ma, al contrario, diventa la condizione fondamentale per poterla accogliere e ospitare. In Carlo Acutis adolescente vedo la sincera sensibilità e attenzione verso i più poveri: non ha fatto delle fragilità altrui l’occasione di un giudizio, ma le ha vissute come una vocazione. In Carlo Acutis adolescente vedo i segni di una malattia improvvisa e spietata, vissuta come occasione per decidersi nell’amicizia di Gesù”.

Però il prossimo anno sarà caratterizzato, soprattutto, dal Giubileo della Chiesa universale con un richiamo alla tradizione biblica della sospensione dello sfruttamento intensivo della terra, a cui dedica un capitolo intitolato ‘Lasciate riposare la terra’: “La tradizione operosa che caratterizza le nostre comunità e l’inclinazione spontanea degli operatori pastorali sono esposte alla tentazione di diventare un protagonismo frenetico. Ritengo pertanto doveroso richiamare a riconoscere il primato della grazia e quindi l’irrinunciabile dimorare nella dimensione contemplativa della vita, nell’ascolto della Parola e nella centralità della Pasqua di Gesù che si celebra nell’Eucaristia”.

Quindi ha avanzato alcune proposte: “Nell’anno giubilare è opportuno che ci sia un tempo, per esempio il mese di gennaio, non tanto per ulteriori riunioni e discussioni, ma per sospendere, per quanto è possibile, le attività ordinarie e vivere un ‘tempo sabbatico’, dedicato non a fare qualche cosa, ma a raccogliersi in una preghiera più distesa, in conversazioni più gratuite, in serate familiari più tranquille”.

Perciò dalla dimensione personale e comunitaria del peccato, la riflessione si sposta poi su quella sociale, con riferimento in particolare ai conflitti in corso: “Noi figli e figlie di Dio, discepoli di Gesù e tutti gli uomini e le donne di buona volontà e di buon senso, dobbiamo essere uniti nel gridare: basta con la guerra! La fiducia nell’umanità, nelle istituzioni, nella cultura, nelle religioni è messa a dura prova. Ci sembra di essere inascoltati da politici impotenti e forse inclini piuttosto a incrementare gli armamenti che a costruire la pace”.

Il documento è completato da una seconda parte (‘Annuncio, missione, sinodalità: ricordati del cammino percorso’) in cui mons. Delpini ripercorre i passi compiuti dalla Chiesa ambrosiana “con l’intenzione di mettere al centro la missione, così da farne memoria riconoscente, per rilanciare il suo cammino, in obbediente ascolto a quanto il Sinodo dei Vescovi e il cammino sinodale delle Chiese in Italia ci stanno proponendo”.

Infine sono ricordate tappe fondamentali come la creazione delle Comunità pastorali (sotto l’episcopato del card. Tettamanzi), la celebrazione del Sinodo minore “Chiesa dalle genti” e più recentemente la creazione delle Assemblee sinodali decanali e il rinnovo dei Consigli pastorali di Parrocchie e Comunità pastorali, che è un incoraggiamento a non abbandonare l’impegno civile: “Ci sentiamo incoraggiati dallo Spirito del Signore (continuamente lo invochiamo) che mantiene viva la fiducia, motiva moltissime persone all’impegno generoso e lieto e fa emergere risorse e disponibilità inattese.

In questa terra, terra di santi e di futuro, la comunità cristiana si confronta con una società innovativa, operosa, aperta e insieme incerta, spaventata, disperata (di cui si sente parte) e, come il Concilio Vaticano II testimonia, prova simpatia per gli uomini e le donne di questo tempo e di questo luogo in cui convergono persone da ogni parte del mondo. Insieme con tutta la Chiesa italiana la comunità cristiana ambrosiana vive la fecondità del seme, del sale, del lievito perché si conferma e si riconosce come il tralcio unito alla vite che solo così può portare molto frutto, secondo la promessa e lo stile di Gesù”.

(Foto: Diocesi di Milano)

 Lasciate cadere le armi dalle vostre mani ossia il grido nel deserto

“… Basta ricordare che il sangue di milioni di uomini e innumerevoli e inaudite sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine sanciscono il patto che vi unisce, con un giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: mai più la guerra, mai più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell’intera umanità! Se volete essere fratelli, lasciate cadere le armi dalle vostre mani. Non si può amare con armi offensive in pugno.

Le armi, quelle terribili, specialmente, che la scienza moderna vi ha date, ancor prima che produrre vittime e rovine, generano cattivi sogni, alimentano sentimenti cattivi, creano incubi, diffidenze e propositi tristi, esigono enormi spese, arrestano progetti di solidarietà e di utile lavoro, falsano la psicologia dei popoli”: era il 4 ottobre del 1965. Il papa Paolo VI indirizzava questo messaggio ai 166 Paesi rappresentati in quel momento all’Assemblea delle Nazioni Unite.

La quotata organizzazione svedese ‘Uppsala Conflict Data Program’ registrava, nel 2022, 55 conflitti armati nel mondo dei quali  otto considerati come guerre. Ci risiamo! In tutti questi anni, nella complice adesione di Paesi e Comunità Internazionale, i fabbricanti di armi hanno pienamente risposto alle aspettative e attese delle elite politico-finanziarie che vogliono ad ogni costo perpetuarsi al potere.

Le guerre sono il mezzo privilegiato che garantisce perennità e guadagni alle industrie degli armamenti e all’ideologia letale che le crea. Non dovremmo però lasciarci illudere o fuorviare dalle necessarie analisi geopolitiche o macroeconomiche. Il Sistema di Dominazione  che a tutt’oggi continua a governare il mondo, trova ispirazione e giustificazione in un malessere di natura che potremmo definire religiosa. Le divisioni e contraddizioni del mondo e delle strutture portanti delle società evidenziano  le conseguenze di un rapporto distorto degli umani col loro destino. La rottura del legame con l’origine è il nostro dramma.

Il vuoto che, soprattutto nell’occidente, sembra  condurlo al nichilismo, si esprime in particolare nel declino demografico che appare come uno dei sintomi della perdita del senso e fiducia nella vita. Ridurre le persone a meri consumatori, carne da cannone, elettori occasionali di una politica asservita al capitale, sudditi di un progetto imperiale, merce di scambio per un potere ammalato di arroganza o servitori volontari del dio denaro non può che condurre alla riarmamento del mondo. Si tratta, infatti, di una risposta violenta alla violenza radicale perpetrata sulla dignità della persona umana.

Ciò a cui assistiamo nello spazio del Sahel, da secoli luogo di convivenze serene e conflitti anche armati, non si distacca dalla prospettiva citata. Infatti, solo nel 2023 sono 11.643 i morti da attribuire alla violenza dei gruppi ‘islamisti’. I decessi sono triplicati dal 2020, data del primo colpo di stato giustificato proprio per motivi di sicurezza. 

Da allora sono seguiti altri ‘putch’ con una graduale militarizzazione della vita politica e sociale. Le spese negli armamenti sono andate a scapito di quelle sociali e non casualmente sono i militari ad aver preso il potere in questi Paesi. Il totalitarismo nel pensiero sulle armi come unica salvezza è la storia antica di una sconfitta annunciata.

Da Roma le religioni chiedono pace nel mondo

“Riuniti a Roma nello spirito di Assisi, abbiamo pregato per la pace, secondo le varie tradizioni ma concordi. Ora noi, rappresentanti delle Chiese cristiane e delle Religioni mondiali, ci rivolgiamo pensosi al mondo e ai responsabili degli Stati. Ci facciamo voce di quanti soffrono per la guerra, dei profughi e delle famiglie di tutte le vittime e dei caduti”.

La Comunità di Sant’Egidio 54 anni di ascolto del grido dei poveri

Il ‘popolo’ della Comunità di Sant’Egidio, raccolto nella basilica di San Giovanni in Laterano, ha suggerito al card. Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, un’immagine di universalità, sia per le diverse nazionalità, ma anche rispetto al Vangelo che porta il sogno di popoli e di generazioni che vivono insieme in fraternità in occasione della liturgia di ringraziamento per il 54° anniversario della stessa, fondata il 7 febbraio 1968 da Andrea Riccardi.

Mons. Delpini: don Gianola disponibile per tutti

“Insieme con il Figlio crocifisso, insieme con don Graziano, gridiamo anche noi, grida la Chiesa: perché? E nel grido la protesta e la preghiera ostinata: Padre! Padre!”: prendendo spunto dal grido lanciato da Cristo in croce, è iniziata così l’omelia che l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, ha pronunciato durante il funerale di don Graziano Gianola, celebrati a Premana, paese natale del sacerdote ambrosiano vittima di una sciagura in montagna.

Santa Sede: una piattaforma d’azione per ‘Laudato Sì’

“Con l’enciclica ‘Laudato sì’, promulgata nel 2015, invitavo tutte le persone di buona volontà a prendersi cura della Terra, che è la nostra casa comune. Da tempo, ormai, questa casa che ci ospita soffre per ferite che noi provochiamo a causa di un atteggiamento predatorio, che ci fa sentire padroni del pianeta e delle sue risorse e ci autorizza a un uso irresponsabile dei beni che Dio ci ha dato”.

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