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Giorno del ricordo: la memoria è fondamentale

Oggi si è svolta al Quirinale, alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, la celebrazione del ‘Giorno del Ricordo’, condotta dalla dott.ssa Valeria Ferrante edaperta dalla lettura, da parte dell’attrice Gaja Masciale, di due brani tratti dal libro ‘Le foibe spiegate ai ragazzi’ di Greta Sclaunich.

Durante l’evento sono stati proiettati estratti dal film ‘La bambina con la valigia’ e dal documentario ‘Rotta 230 – Ritorno alla terra dei Padri’, con l’invito del presidente della Repubblica italiana a far memoria di ciò che è avvenuto: “Ci incontriamo per rinnovare la Giornata del Ricordo: occasione solenne, che invita a riflettere su pagine buie del nostro passato, per conservare e rinnovare la memoria delle sofferenze degli italiani d’Istria, di Fiume, della Dalmazia, in un periodo tragicamente tormentato della storia d’Europa”.

Tutto è avvenuto a causa della guerra: “In quella zona a Oriente, così peculiare, dove, a fasi alterne, si erano incontrate, convivendo, comunità italiane, slave, tedesche e di tante altre provenienze, la violenza prese il sopravvento, trasformandola in una terra di sofferenza. La guerra porta sempre con sé conseguenze terribili: lutto, dolore, devastazione. Era stato così durante la Prima Guerra Mondiale, nella quale furono immolati, in una ostinata e crudele guerra di trincea, milioni di giovani d’entrambe le parti”.

Purtroppo la catastrofe causata dalla Prima Guerra mondiale non è servita da monito: “Ma quella lezione sanguinosa non aveva, purtroppo, indotto a cambiare. Perché ancor più disumani furono gli eventi del secondo conflitto mondiale, dove allo scontro tra eserciti di nazioni che si erano dichiarate nemiche, si sovrappose il virus micidiale delle ideologie totalitarie, della sopraffazione etnica, del nazionalismo aggressivo, del razzismo, che si accanì con crudeltà contro le popolazioni civili, specialmente contro i gruppi che venivano definiti minoranze”.

Fascismo e comunismo hanno condotto ad una violenza esacerbata, di cui le foibe sono il ‘simbolo’: “E, nelle zone del confine orientale, dopo l’oppressione fascista, responsabile di una politica duramente segregazionista nei confronti delle popolazioni slave, e la barbara occupazione nazista, si instaurò la dittatura comunista di Tito, inaugurando una spietata stagione di violenza contro gli italiani residenti in quelle zone. Di quella stagione, contrassegnata da una lunga teoria di uccisioni, arresti, torture, saccheggi, sparizioni, le Foibe restano il simbolo più tetro. E nessuna squallida provocazione può ridurne ricordo e dura condanna”.

Per questo il presidente Mattarella ha condannato la spietatezza dei ‘titini’: “Oltre a crudeli, inaccettabili casi di giustizia sommaria e di vendette contro esponenti del deposto regime fascista, la furia omicida dei comunisti jugoslavi si accanì su impiegati, intellettuali, famiglie, sacerdoti, anche su antifascisti, su compagni di ideologia, colpevoli soltanto di esigere rispetto nei confronti della identità delle proprie comunità. Di fronte al proposito del nuovo regime jugoslavo di sovranità sui territori giuliani, l’essere italiano diveniva un ostacolo, se non una colpa”.

Il monito è stato quello di non dimenticare: “La memoria storica è un atto di fondamentale importanza per la vita di ogni Stato, di ogni comunità. Ogni perdita, ogni sacrificio, ogni ingiustizia devono essere ricordati. Troppo a lungo ‘foiba’ ed ‘infoibare’ furono sinonimi di occultamento della storia. 

La memoria delle vittime deve essere preservata e onorata. Naturalmente (dopo tanti decenni e in condizioni storiche e politiche profondamente mutate) perderebbe il suo valore autentico se fosse asservita alla ripresa di divisioni o di rancori”.

Però è necessaria una memoria condivisa: “Ogni popolo, ogni nazione, porta con sé un carico di sofferenze e di ingiustizie subite. Apprezziamo gli sforzi, fatti dagli storici dell’una e dell’altra parte, per avvicinarsi a una memoria condivisa. Ma, ove questo non fosse facilmente conseguibile, e talvolta non lo è, dobbiamo avere la capacità di compiere gesti di attenzione, dialogo, rispetto. Dobbiamo ascoltare le storie degli altri, mettere in comune le sofferenze, e lavorare insieme per guarire le ferite del passato”.

Per questo la memoria deve trasformarsi in azioni di pace: “Soltanto così potremo trasmettere ai giovani, idealmente, in questa Giornata del Ricordo (insieme all’orgoglio di una conseguita identità europea, tanto propria alle culture dei popoli del confine orientale) il testimone della speranza, incoraggiandoli a mantenere viva la memoria storica delle sofferenze patite da loro connazionali, adoperandosi perché vengano evitati errori e colpe del passato, promuovendo, ovunque rispetto e collaborazione…

La Repubblica guarda alle vicende drammatiche vissute dagli italiani di Istria, Dalmazia, Fiume con rispetto e con solidarietà, e lavoriamo, nell’Unione Europea, insieme alla Slovenia, alla Croazia e agli altri Paesi amici per costruire, ogni giorno, nuovi percorsi di integrazione, amicizia e fratellanza tra i popoli e gli Stati”.

Qualche giorno prima il presidente Mattarella si era recato a Gorizia e Nova Gorica per l’inaugurazione della Capitale europea della Cultura aveva sottolineato il compito della cultura: “Se la cultura, per definizione, non conosce confini, essa nasce, pur sempre, come espressione di una comunità ma aperta alla conoscenza, alla ricerca comune, ai reciproci arricchimenti. Sconfitti gli orrori dell’estremismo nazionalista, che tanto male ha prodotto in Europa, riemergono i valori della convivenza e dell’accoglienza”.

Solo con la cultura si può sconfiggere la guerra: “Sono i valori che possono opporsi all’oscurantismo della guerra e del conflitto che si è riproposto con l’aggressione russa all’Ucraina. Essere Capitale europea della cultura transfrontaliera – la prima con questa esperienza – significa avere il coraggio di essere portatori di luce e di fiducia nel futuro del mondo, dove si diffondono ombre, incertezze e paure. Significa che Nova Gorica e Gorizia indicano una strada di autentico progresso”.

Per questo il vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi, ha invitato a fare scelte di cultura: “Abbiamo il dovere di prenderci cura del nostro cuore perché da esso sgorghino scelte di vita, per noi, per il nostro Paese e anche per altri Paesi e popoli. Scelte di cultura, di nobile politica. E queste, per natura loro, vogliono contaminare altri Paesi e popoli.

In Dio vogliamo ritrovare le energie e l’intelligenza, la sapienza per coniugare valori fondanti per una convivenza di giustizia e di pace, di libertà e di rispetto, anche per i più deboli, anche per chi non appartiene alla nostra lingua, cultura, religione. C’è un’appartenenza che Gesù ci ha insegnato: Dio si prende premura di questa umanità ferita.  Voglio imparare da Gesù, e questo rende la mia fede unica: essa, nella fedeltà a Dio, mi protrae al prendermi cura di tutte le vittime, di tutti gli umiliati, di tutti gli oppressi”.

E’ un invito alla speranza, come quello formulato dall’arcivescovo di Gorizia, mons. Carlo Roberto Maria Redaelli: “Non dobbiamo però essere pessimisti e perdere la speranza. Ci sono ancora dei segni positivi: un paio di ore fa ero in piazza Transalpina, con i due presidenti della repubblica italiano e sloveno e tante persone, per l’avvio ufficiale di Nova Gorica e Gorizia insieme capitale europea della cultura. Un bel segno che speriamo faccia crescere qui da noi la voglia e l’impegno per la pace, la giustizia, la riconciliazione”.

(Foto: Quirinale)

Un gesto di misericordia tra i massacri delle foibe

Il Giorno del ricordo (10 febbraio) è stato istituito in Italia nel 2004 per ‘conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale’.

Quando si avvicina il 10 febbraio, giorno del ricordo della tragedia delle Foibe, dei tanti morti e dei tanti istriani che sono dovuti scappare per non essere uccisi (tra cui mia nonna, mio padre e mia zia), mi assale la tristezza. Considero questo giorno come una tappa di memoria che dà dignità ad una verità per decenni non raccontata. Allo stesso tempo, però, sono anche felice, perché in tanto odio e violenza, la mia famiglia ha vissuto anche una storia di eroismo.

Il mio prozio Giordano Paliaga, fratello di mia nonna Maria, che era stato partigiano contro i nazi-fascisti, venne a sapere che sua sorella e i suoi figli piccoli, Arturo (che poi è divenuto mio padre) e Pierina, sarebbero stati uccisi e buttati nelle foibe; lui riuscì ad avvertirla in tempo e così lei riuscì a scappare con i bambini.

Maria, istriana, era sposata con il soldato italiano Ubaldo Rossi; dovette lasciare la casa e il lavoro nel panificio della madre Santa (che furono poi confiscati) ma mise in salvo la sua vita e quella dei figli, cosa non da poco. Fu un gesto eroico quello di Giordano che, pur sapendo che metteva a rischio la sua vita per avvisare la sorella con i figli, non indugiò neanche un istante.

Passarono tanti anni e Arturo, crescendo, mise su famiglia sposando Antonia; con lei ebbe tre figli, tra cui me, Riccardo, il più grande. Arturo portava in sé tutto il dolore del ricordo dell’avere lasciato la sua casa natale da piccolo, la sofferenza di un padre che lo martirizzava fisicamente e che lo aveva fatto crescere in un istituto minorile. Tutto questo malessere accumulato lo ha poi scaricato su di me e su mio fratello Maurizio, secondogenito.

Ogni giorno, tornava tardi e nervoso a casa, ci rompeva i giocattoli, ci picchiava, ci malediceva e ci umiliava; dopo 47 anni, abbiamo scoperto che prima di rientrare andava a trovare la sorella e i cuginetti. Ogni giorno era un tormento, fino alla fine dell’adolescenza.  Crescendo, nei suoi discorsi, percepivo tanto dolore, perché non poteva più tornare nella sua città, Rovigno di Pola in Istria, perché essendo stato anche lui un soldato italiano non era gradito.

Quando leggeva la sua tessera di riconoscimento, in cui si evinceva che era nato a Pola, in Iugoslavia (ora Croazia), vedevo lo smarrimento nei suoi occhi; lui si definiva italiano e non iugoslavo!

Insomma, queste ferite spirituali della mia giovinezza me le sono portate dietro fino all’età di 55 anni ( fino a due anni fa), momento in cui ho avuto la consapevolezza della mia guarigione, dopo il mio percorso spirituale sempre più profondo grazie alla lettura, ‘fuso in Gesù’, del libro ‘Le 24 Ore della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo’ (vergato da Luisa Piccarreta) e ai momenti di preghiera con i Piccoli figli di Palermo ( che leggono e meditano gli scritti – 36 volumi –  Libro di Cielo della mistica Luisa).

Ma la cosa anche più grande la dice Gesù nel ‘Volume 35 – Libro di Cielo’, sempre vergato da Luisa Piccarreta: “Credi tu che tutto ciò che hai sofferto, la mia Volontà non ne tiene conto? Affatto. Conserva nel suo Seno di Luce tutte le tue pene, piccole e grandi, i tuoi sospiri angosciosi e dolenti, le tue privazioni: anzi. Se n’è servita come materia per concepire, nascere e crescere la sua vita. In ogni pena era crescenza che faceva, le quali alimentava colla sua santità, le riempiva con la foga del suo amore, le abbelliva colla sua inarrivabile bellezza. Figlio mio, come devi ringraziarmi di tutto ciò che ho disposto di te e di tutto ciò che ti ho fatto soffrire, perché tutto è servito a formare la mia vita in te ed al trionfo della mia Volontà”.

Che meraviglia fare vivere Gesù in me! Con questa grande speranza, sono anche tornato a Rovigno dove ho incontrato il figlio di Giordano, Gianfranco, un uomo di circa 80 anni, con sua moglie Maria, la figlia Maela e la nipote. E’ stato bello incontrare dopo tanti anni parenti istriani e tessere ponti di amicizia, vedere i luoghi dove visse mio padre e pregare ‘fuso in Gesù e Maria’ in continuazione per l’avvento del Regno di Dio che metterà tutto in ordine.

Ho cercato di essere sempre a posto con la mia coscienza. Da adolescente e da giovane uomo, sono stato un ambientalista in prima linea; la mia famiglia era da generazioni nella Marina militare ed io, grazie ad un amico che mi ha aperto gli occhi, sono diventato un uomo di pace, disarmato (sono stato anche obiettore di coscienza). Ora, dopo anni di giornalismo, continuo a scrivere cercando di seminare solo la Verità. Da più di ventidue anni vivo di provvidenza.

Da 9 anni sono sposato con Barbara, che mi ha seguito. Siamo due missionari laici (ora alla Missione di Speranza e Carità di Palermo) e, insieme, aiutiamo tante persone. Diamo il nostro contributo per accogliere profughi e migranti. Cerco di essere sempre di più unito a Gesù e Maria, anche perché sono talmente fragile (GV 15,5) che da solo non sarei capace di fare nulla!

(Tratto dal sito Spazio Spadoni)

Il presidente della Repubblica: ricordare le foibe per ‘produrre’ anticorpi democratici

Alla vigilia della partenza per la ‘Visita ad limina’ fino ad oggi a Roma con tutti i vescovi del Triveneto, nei giorni scorsi il vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi, ha visitato il Sacrario della Foiba di Basovizza per un momento di preghiera di suffragio nel Giorno del Ricordo, accompagnato dal presidente del Comitato per i Martiri delle Foibe e della Lega Nazionale, Paolo Sardos Albertini, e da don Sergio Frausin, delegato per la cultura e l’Università:

“Sono grato al Presidente Paolo Sardos Albertini: se fin dal mio arrivo a Trieste in forma privata ero stato al Sacrario della Foiba di Basovizza (e poi tornato altre volte) questa visita e questo momento di preghiera sono stati ancora più intensi e ricchi di pensieri ed emozioni. Mi piace ripetere che la memoria deve essere una terra feconda, e dunque bonificata dall’odio e dal risentimento, perché possa generare un futuro pieno di speranza. Una memoria che non può dimenticare l’orrore di quanto subito ma che non resta nella gabbia del passato per edificare responsabilmente un mondo di giustizia e di fraternità”.

Mentre ieri il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, ha sottolineato che la tragedia delle foibe non può essere dimenticata, né minimizzata, ma allo stesso tempo va vista storicamente nel suo tragico contesto, come ultimo esito della guerra mossa dal fascismo: “Sono passati quasi 80 anni dai terribili avvenimenti che investirono le zone del confine orientale e 20 anni dall’istituzione del Giorno del Ricordo, deliberata dal Parlamento a larghissima maggioranza.

Giorno dedicato alla tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra. Lungo tempo è trascorso da quegli eventi ma essi sono emotivamente a noi vicini: questo consente (in una vicenda storica complessa e ancora soggetta a ricerche, dibattiti storiografici e politici) di stabilire dei punti fermi e di delineare alcune prospettive”.

Il presidente della Repubblica italiana ha invitato a non dimenticare i ‘simboli’ della storia: “In quelle martoriate ma vivacissime terre di confine, che da secoli ospitavano popoli, lingue, culture, alternando fecondi  periodi di convivenza a momenti di contrasto e di scontri, il secolo scorso ha riservato la tragica e peculiare sorte di vedere affiancati, a pochi chilometri di distanza, in una lugubre geografia dell’orrore, due simboli della catastrofe dei totalitarismi, del razzismo e del fanatismo ideologico e nazionalista: la Risiera di San Sabba, campo di concentramento e di sterminio nazista, e la Foiba di Basovizza, uno dei luoghi dove si esercitò la ferocia titina contro la comunità italiana”.

Le foibe sono un esempio di una negazione della libertà: “Quel territorio, intriso di storie e di civiltà, condivise lo stesso tragico destino di molti Paesi dell’Europa centro-orientale, che, dopo la sconfitta del nazifascismo, si videro negate le aspirazioni alla libertà, alla democrazia e all’autodeterminazione a causa dell’instaurazione della dittatura comunista, imposta dall’Unione Sovietica. Milioni di persone, in qui Paesi, si videro allora espulse dalla terra che avevano abitato, costrette a mettersi in cammino alla ricerca di una nuova patria”.

Storia che fu circondata dal silenzio: “Un muro di silenzio e di oblio (un misto di imbarazzo, di opportunismo politico e talvolta di grave superficialità) si formò intorno alle terribili sofferenze di migliaia di italiani, massacrati nelle foibe o inghiottiti nei campi di concentramento, sospinti in massa ad abbandonare le loro case, i loro averi, i loro ricordi, le loro speranze, le terre dove avevano vissuto, di fronte alla minaccia dell’imprigionamento se non dell’eliminazione fisica”.

Una causa da ricercare nel fascismo: “Il nostro Paese, per responsabilità del fascismo, aveva contribuito a scatenare una guerra mondiale devastante e fratricida; e fu grazie anche al contributo dei civili e dei militari alla lotta di Liberazione e all’autorevolezza della nuova dirigenza democratica, che all’Italia fu risparmiata la sorte dell’alleato tedesco, il cui territorio e la cui popolazione vennero drammaticamente divisi in due. Questo, tuttavia, non evitò che le istanze legittime di tutela della popolazione italiana residente nelle zone del confine orientale fossero osteggiate, frustrate e negate”.

Ed ha definito ‘muro di Berlino’ il confine tra Italia e l’allora Jugoslavia: “Il nostro ‘muro di Berlino’, certamente ben minore per dimensioni ma con grande intensità delle sofferenze provocate, passava per il confine orientale, per la cortina di ferro che separava in due Gorizia, allontanando e smembrando territori, famiglie, affetti, consuetudini, appartenenze. Il nuovo assetto internazionale, venutosi a creare con la divisione in blocchi ideologici contrapposti, secondo la logica di Yalta, fece sì che passassero in secondo piano le sofferenze degli italiani d’Istria, di Dalmazia e di Fiume”.

E gli italiani, abitanti quelle terre, furono costretti alla morte od all’esilio: “Furono loro a pagare il prezzo più alto delle conseguenze seguite alla guerra sciaguratamente scatenata con le condizioni del Trattato di pace che ne derivò. 

Dopo aver patito le violenze subite all’arrivo del regime di Tito, quei nostri concittadini, dopo aver abbandonato tutto, provarono sulla propria sorte la triste condizione di sentirsi esuli nella propria Patria. Fatti oggetto della diffidenza, se non dell’ostilità, di parte dei connazionali”.

Un silenzio collettivo che si è trasformato in uno ‘stravolgimento’ della verità: “Le loro sofferenze non furono, per un lungo periodo, riconosciute. Un inaccettabile stravolgimento della verità che spingeva a trasformare tutte le vittime di quelle stragi e i profughi dell’esodo forzato, in colpevoli (accusati indistintamente di complicità e connivenze con la dittatura) ed a rimuovere, fin quasi a espellerla, la drammatica vicenda di quegli italiani dal tessuto e dalla storia nazionale”.

Insomma furono perseguiti per il semplice fatto di essere italiani: “La ferocia che si scatenò contro gli italiani in quelle zone non può essere derubricata sotto la voce di atti, comunque ignobili, di vendetta o sommaria giustizia contro i fascisti occupanti; il cui dominio era stato – sappiamo – intollerante e crudele per le popolazioni slave, le cui istanze autonomistiche e di tutela linguistica e culturale erano state per lunghi anni negate e represse.

Le sparizioni nelle foibe o dopo l’internamento nei campi di prigionia, le uccisioni, le torture commesse contro gli italiani in quelle zone, infatti, colpirono funzionari e militari, sacerdoti, intellettuali, impiegati e semplici cittadini che non avevano nulla da spartire con la dittatura di Mussolini. E persino partigiani e antifascisti, la cui unica colpa era quella di essere italiani, di battersi o anche soltanto di aspirare a un futuro di democrazia e di libertà per loro e i loro figli, di ostacolare l’annessione di quei territori sotto la dittatura comunista”.

Le foibe furono un dramma per l’Italia: “Le foibe e l’esodo hanno rappresentato un trauma doloroso per la nascente Repubblica che si trovava ad affrontare l’eredità gravosa di un Paese uscito sconfitto dalla guerra. Quelle vicende costituiscono una tragedia, che non può essere dimenticata. Non si cancellano pagine di storia, tragiche e duramente sofferte. I tentativi di oblio, di negazione o di minimizzare sono un affronto alle vittime e alle loro famiglie e un danno inestimabile per la coscienza collettiva di un popolo e di una nazione”.

Per questo il ricordo deve produrre ‘anticorpi’ contro la tragedia della guerra: “Malgrado queste tragiche esperienze del passato, assistiamo con angoscia anche oggi, non lontano da noi, al risorgere di conflitti sanguinosi, in nome dell’odio, del nazionalismo esasperato, del razzismo. Dall’Ucraina al Medio Oriente ad altre zone del mondo, la convivenza, la tolleranza, la pace, il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale sono messi a dura prova. I soprusi e le violazioni si moltiplicano e chiamano quanti condividono i valori di libertà e di convivenza a una nuova azione di contrasto, morale e politica, contro chi minaccia la libertà, il corretto ordine internazionale e le conquiste democratiche e sociali”.

Il ricordo è essenziale per costruire una pace duratura, anche in Europa trafitta in questo momento dalla guerra: “Le divisioni, i conflitti, i drammi del passato, la cui memoria ci ferisce tuttora con forza e sofferenza, ci ammoniscono. Onorare le vittime e promuovere la pace, il progresso, la collaborazione, l’integrazione, aiuta a impedire il ripetersi di tragici errori, causati da disumane ideologie e da esasperati nazionalismi; e a non rimanere prigionieri di inimicizie, di rancori, di dannose pretese di rivalsa.

Se non possiamo cambiare il passato, possiamo contribuire a costruire un presente e un futuro migliori. All’Europa, e al suo modello di democrazia e di sviluppo avanzati, guardano nel mondo milioni di persone. L’unità dei suoi popoli è la sua forza e la sua ricchezza. Il buon senso e l’insegnamento della storia chiedono di non disperderla ma, al contrario, di potenziarla, nell’interesse delle nazioni europee e del futuro dei nostri giovani”.

Giorno del Ricordo: il racconto della letteratura

Si è svolta venerdì 10 febbraio al Quirinale, alla presenza del presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, la celebrazione del ‘Giorno del Ricordo’, aperta dalla proiezione di un video di Rai Storia, a cui sono intervenuti il presidente della Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati, prof. Giuseppe De Vergottini, lo storico prof. Giovanni Orsina, ordinario di Storia contemporanea alla Luiss ‘Guido Carli’, ed il ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Antonio Tajani. La cerimonia si è conclusa con il discorso del Presidente della Repubblica, che ha sottolineato la validità della legge che istituì nel 2004 questo ‘Giorno del Ricordo’:

Il presidente Sergio Mattarella invita a non dimenticare le foibe

“Sono passati quasi vent’anni da quando il Parlamento istituì, con una significativa ampia maggioranza, il Giorno del Ricordo, dedicato al percorso di dolore inflitto agli italiani di Istria, Dalmazia, Venezia Giulia sotto l’occupazione dei comunisti jugoslavi nella drammatica fase storica legata alla Seconda Guerra Mondiale e agli avvenimenti a essa successivi”.

Gli italiani ricordano gli infoibati

“Il Giorno del Ricordo richiama la Repubblica al raccoglimento e alla solidarietà con i familiari e i discendenti di quanti vennero uccisi con crudeltà e gettati nelle foibe, degli italiani strappati alle loro case e costretti all’esodo, di tutti coloro che al confine orientale dovettero pagare i costi umani più alti agli orrori della Seconda guerra mondiale e al suo prolungamento nella persecuzione, nel nazionalismo violento, nel totalitarismo oppressivo”.

Lo ha detto il presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, ricordando le vittime delle foibe e gli esuli giuliani-dalmati: è stata una delle pagine più tragiche della storia italiana, quando l’Istria e la Dalmazia tra il 1943 e il 1947 divennero teatro di stragi. Le foibe sono cavità carsiche di cui è costellato il territorio della Venezia Giulia ma a loro sono ormai associati i massacri contro le persone in fuga dai territori contesi della Venezia Giulia, del Quarnaro e della Dalmazia, firmati dai partigiani jugoslavi di Tito.

In quelle cavità furono gettati i corpi delle vittime, rendendo spesso difficile se non impossibile il loro ritrovamento. Secondo le stime furono tra i 5.000 e i 10.000 gli italiani vittime delle foibe. Agli eccidi seguì l’esodo giuliano dalmata, l’emigrazione forzata della maggioranza dei cittadini di etnia e di lingua italiana in Istria e nel Quarnaro, esodo che si concluse solo nel 1960: secondo le stime, sarebbero tra i 250.000 ed i 350.000 gli italiani costretti a lasciare le loro case.

Simbolo della tragedia nazionale è la foiba di Basovizza, località nel comune di Trieste, un pozzo minerario profondo oltre 200 metri e largo circa 4, che durante le fasi finali della seconda guerra mondiale divenne un luogo di esecuzioni sommarie da parte dei partigiani di Tito. Qui, in ricordo di tutte le vittime delle foibe è stato costruito un Sacrario. Il 3 novembre 1991 il presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, rese omaggio alle vittime lì sepolte e mai ritrovate: mentre nel 1992 il presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, dichiarò il pozzo monumento nazionale.

Per il presidente Mattarella è doveroso ricordare la tragedia: “E’ un impegno di civiltà conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli istriani, dei fiumani, dei dalmati e degli altri italiani che avevano radici in quelle terre, così ricche di cultura e storia e così macchiate di sangue innocente. I sopravvissuti e gli esuli, insieme alle loro famiglie, hanno tardato a veder riconosciuta la verità delle loro sofferenze. Una ferita che si è aggiunta alle altre”.

Però il presidente della Repubblica ha sottolineato le cause che ha causato tale odio: “La sciagurata guerra voluta dal fascismo e l’occupazione nazista furono seguite, per questi italiani, da ostilità, repressione, terrore, esecuzioni sommarie aggravando l’orribile succedersi di crimini contro l’umanità di cui è testimone il Novecento. Crimini che le genti e le terre del confine orientale hanno vissuto con drammatica intensità, generando scie di risentimento e incomprensione che a lungo hanno segnato le relazioni tra popoli vicini”.

In conclusione ha auspicato che tale memoria possa diventare un ‘seme di pace’: “Il ricordo, anche il più doloroso, anche quello che trae origine dal male, può diventare seme di pace e di crescita civile. Questo è l’impegno di cui negli ultimi anni il nostro Paese si è reso protagonista insieme alla Slovenia e alla Croazia per fare delle zone di confine una terra di incontro e prosperità, di collaborazione, di speranza”.

Infine ha sottolineato con favore la scelta di capitale della cultura europea una città di confine: “La scelta di Gorizia e Nova Gorica, che saranno congiuntamente Capitale della Cultura europea 2025, dimostra quanto importante sia per l’intera Unione che la memoria delle oppressioni disumane del passato sia divenuta ora strada dell’amicizia, della comprensione, del primato della dignità delle persone, nel rispetto delle diversità e dei diritti”.

Anche il presidente nazionale dell’ANLA, Edoardo Patriarca, ha sottolineato la necessità della memoria storica: “Oggi, rileggendo le dichiarazioni dei Presidenti Napolitano e di Mattarella, dei presidenti delle Camere e di tanti leader politici, condividiamo il ‘ricordo’ di quegli eventi drammatici nonostante le contrapposizioni ideologiche di alcune minoranze che annebbiano quel passato e non aiutano la comprensione di quanto è accaduto. Piccole frange ancora tentate di utilizzare la storia di quel dramma per un uso politico becero e strumentale”.

Però la memoria deve far emergere la verità sul periodo storico: “Al contrario le commemorazioni sono celebrate per unire nel nome della dignità inviolabile della persona, vero bersaglio di tutte le persecuzioni,  e del no alle guerre come strumento di risoluzione  dei conflitti internazionali. Noi di ANLA celebriamo questa giornata con compostezza, nel ricordo delle migliaia di connazionali uccisi, torturati e violentati. Vegliando soprattutto!

Rifuggendo dalla retorica stucchevole degli italiani ‘brava gente’: furono tanti quelli che accettarono la logica predatoria di un regime disumano come quello fascista, furono tanti quelli che simpatizzarono per un regime altrettanto disumano come quello comunista-titino. E ci opponiamo a coloro che vedono la tragedia delle Foibe come un improbabile contrappeso ai lager nazisti, o chi vorrebbe derubricarla a una punizione, tutto sommato meritata, ai fascisti”.

E’ un invito a non dimenticare per le generazioni future: “Noi siamo da un’altra parte, commossi e partecipi, vicini alle famiglie toccate da questa violenza inenarrabile. E vegliamo come ‘anziani’ (in latino antenaus o antianus deriva da antea che significa ‘prima’), di quelli ‘chi ci sono da prima’. A noi antianus spetta  il compito di vegliare e fare memoria, a tenere alto lo sguardo, aiutando coloro che sono ‘giunti dopo’ (i nostri figli, i nipoti, le giovani generazioni) a non dimenticare e a vigilare”.

Ed a Trieste mons. Giampaolo Crepaldi ha pubblicato una preghiera rivolta a tre martiri cristiani, vissuti in quel tragico periodo: “don Francesco Bonifacio, italiano, Lojze Grozde, sloveno e don Miroslav Bulesić, croato, le cui immagini ho collocato nella Cappella della Madre della Riconciliazione in via Cavana. La Chiesa li ha beatificati perché con il loro sangue di martiri, il sangue del perdono e dell’amore, essi riscattarono e purificarono le nostre terre imbrattate dal sangue dell’odio.

Dal loro martirio giunge a noi la condanna ferma dell’odio etnico che non è altro che il frutto velenoso di una visione distorta della civiltà, il monito ad operare instancabilmente per la riconciliazione tra i nostri popoli italiano, sloveno e croato e alcuni attualissimi e preziosi insegnamenti cristiani.

Questi: ogni uomo e ogni donna, creati ad immagine e somiglianza di Dio, esigono il massimo del rispetto; Dio è Padre e ogni uomo e ogni donna sono fratello e sorella in umanità; non si può mai usare la violenza per imporre la propria verità;

l vero martire non è quello che uccide in nome di Dio, ma quello che si lascia uccidere piuttosto che rinnegare la sua fede in Dio. Affidiamo questo Giorno del Ricordo alla Vergine Maria che invochiamo come Madre della riconciliazione”.

Foibe: dal ricordo la verità

Oggi le Istituzioni italiane hanno celebrato il ‘Giorno del Ricordo’, che ricorda i massacri delle foibe e l’esodo giuliano dalmata. Istituita con la legge 30 marzo 2004 n. 92, vuole conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. La data è il giorno in cui, nel 1947, furono firmati i trattati di pace di Parigi, che assegnavano alla Jugoslavia l’Istria, il Quarnaro, la città di Zara con la sua provincia e la maggior parte della Venezia Giulia, in precedenza facenti parte dell’Italia.

A Basovizza un passo verso la riconciliazione

Lunedì scorso il Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, ed il Presidente della Repubblica di Slovenia, Borut Pahor, si sono incontrati a Trieste, deponendo una corona presso la foiba di Basovizza e il monumento ai Caduti sloveni.

Ricordare le Foibe

“ll ‘giorno del Ricordo’, istituito con larghissima maggioranza dal Parlamento nel 2004, contribuisce a farci rivivere una pagina tragica della nostra storia recente, per molti anni ignorata, rimossa o addirittura negata: le terribili sofferenze che gli italiani d’Istria, Dalmazia e Venezia Giulia furono costretti a subire sotto l’occupazione dei comunisti jugoslavi. Queste terre, con i loro abitanti, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, conobbero la triste e dura sorte di passare, senza interruzioni, dalla dittatura del nazifascismo a quella del comunismo. Quest’ultima scatenò, in quelle regioni di confine, una persecuzione contro gli italiani, mascherata talvolta da rappresaglia per le angherie fasciste, ma che si risolse in vera e propria pulizia etnica, che colpì in modo feroce e generalizzato una popolazione inerme e incolpevole”.

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