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Luca Diotallevi spiega perché la Messa è sbiadita

“In questo tempo non una piccola porzione di cristiani, ma una larga maggioranza è consapevole che ‘il tempo si è fatto breve’… Oggi possiamo vederlo ancora più chiaramente questo kairos della fede, a condizione di saper affrontare con onestà la domanda con cui il Gesù del quarto Vangelo mise con le spalle al muro i discepoli inviatigli dal Battista, forse ancora un po’ appannati da un entusiasmo che ancora non sapevano essere nel loro interesse dismettere. ‘Cosa cercate?’ gli chiese Gesù poco prima delle quattro di quel pomeriggio”.

Così iniziava la prolusione dell’inaugurazione dell’anno accademico della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna del prof. Luca Diotallevi, docente di Sociologia all’Università Roma Tre, autore del volume ‘La messa è sbiadita. La partecipazione ai riti religiosi in Italia dal 1993 al 2019’, incontrato a Macerata, invitato dall’Azione Cattolica diocesana.

Durante l’incontro il prof. Luca Diotallevi, presidente diocesano dell’Azione Cattolica di Terni, ha sottolineato le possibili ‘cause’ della diminuzione della partecipazione dei fedeli alla messa domenicale: “Oltre a calare di volume ed a perdere di rilevanza extra-religiosa, l’appartenenza ecclesiale risente di una elevatissima e crescente frammentazione. A cause storiche ben note, di recente se ne è aggiunta una nuova.

Un vero e proprio consumismo religioso non solo è dilagato, ma è stato assecondato dall’azione pastorale. Dalle risposte raccolte l’arcipelago di gruppi, movimenti, santuari, feste patronali, modalità e luoghi di culto i più vari, viene giudicato un fattore di frammentazione del tessuto ecclesiale e una minaccia al regime di comunione. I criteri di discernimento delle aggregazioni ecclesiali che la Conferenza Episcopale Italiana aveva formulato negli anni ’90 sembrano essere ignorati, sino al punto di venire rimossi o tranquillamente contraddetti”.

Per il sociologo le iniziative proposte non offrono continuità e soffrono di frammentazione: “Cammini, gruppi, tecniche, movimenti, uffici pastorali, ed una quantità di iniziative e di eventi sui quali si investe nella speranza di trovarvi la soluzione al problema della nuova evangelizzazione o ‘primo annuncio’, nella larga maggioranza dei casi non favoriscono lo sviluppo di una maturità umana e cristiana, ecclesiale e civile.

Essi non appaiono in grado di garantire quello che per tanto tempo aveva garantito l’associazionismo ecclesiale e che ancora, seppur tra ostacoli e difficoltà anche pastorali, è capace di offrire (in particolare di Azione Cattolica secondo la definizione del punto 20 della decreto conciliare sull’apostolato dei laici Apostolicam actuositatem”.

Ed il crollo della partecipazione alla messa domenicale è evidente: si è passati dal 37,3% della popolazione adulta nel 1993 al 23,7% del 2019. I giovani che dichiarano di frequentare sono l’8% e gli adolescenti il 12%. Nel 2019 le donne maggiorenni che dichiarano una pratica almeno settimanale sono ancora più degli uomini: il 28,7% delle prime contro il 18,3% dei secondi. Tuttavia il dato da evidenziare è che nel caso delle donne si è perso quasi il 40% del valore registrato nel 1993 e nel caso degli uomini poco più del 30%:

“Il declino alla frequenza al rito domenicale è dunque più veloce tra le donne che tra gli uomini, ed è evidente che questo gender factor ha consistenti e crescenti effetti tanto religiosi quanto extrareligiosi, e questo fattore nuovo produrrà ulteriori e profonde trasformazioni. La vita ordinaria delle parrocchie italiane è infatti composta prevalentemente da donne così come l’educazione religiosa dei figli nelle famiglie”.

Al termine dell’incontro abbiamo chiesto se a 25 anni dall’invito ai giovani, presenti a Roma nella Giornata Mondiale della Gioventù, a guardare in alto di san Giovanni Paolo II può considerarsi ancora valido: “E’ valido nel senso evangelico del termine, cioè dobbiamo saper porre una discontinuità nel nostro modo di fare le cose,fidandoci del Signore e cominciando a farle in modo diverso”.

Lei ha scritto il volume ‘La messa è sbiadita’: perché si è sbiadita?

“Probabilmente è diventata più uno spettacolo che una liturgia. Gli spettacoli sono anche gradevoli, ma dopo i quali la vita continua come prima; mentre la liturgia consiste nell’iniziare a vivere in un altro modo. Le nostre messe sono spettacoli, di cui ne fruiamo individualmente”.

Ma cosa sta succedendo?

“I processi religiosi, a differenza di quelli finanziari, hanno una forte inerzia: se cresce l’inflazione ce ne accorgiamo il giorno dopo, se cala la partecipazione alla messa occorrono decine di anni per osservare gli effetti. Il punto di rottura sono gli anni Sessanta, ma il calo lo abbiamo iniziato a vedere quando le generazioni di allora e quelle successive hanno iniziato a prendere la scena. Non è un caso, poi, che all’inizio degli anni Ottanta inizi a crescere anche l’età media del primo figlio e dell’ordinazione presbiterale. Tutti elementi che certificano il classico esempio di ritardo del passaggio all’età adulta da parte di coloro che hanno ‘fatto’ il Sessantotto”.

In questi anni come è cambiato il sentimento del popolo cattolico verso la fede?

“Ci si è convinti che ognuno si fa la fede sua. Le Sacre Scritture, il Magistero della Chiesa, la Tradizione non contano: entro in chiesa allo stesso modo in cui entro in un supermarket. Compro qualcosa e lascio qualcos’altro”.

Nel libro evidenzia che il calo dei laici è superiore alla crisi vocazionale dei sacerdoti:  da cosa dipende?

“Il carico di lavoro del prete è calato, i sacerdoti ordinati sono il 62% di quelli ordinati negli anni ‘90 ma non c’è paragone con i laici che si recano in chiesa scesi al 23,7%. Dunque, magari bisogna riorganizzare le strutture e ottimizzare le parrocchie in base al numero di abitanti ma i preti ancora ci sono, di meno ma ci sono. Ciò invece cui andiamo incontro è una forte riduzione della platea dei praticanti, soprattutto perché una parte significativa di quelli attuali è costituita da persone anziane”.

In un capitolo lei mette in confronto la partecipazione alla vita sociale della città con la partecipazione alla messa: esiste un rapporto?

“La partecipazione è in crisi in ogni ambito della società e non solo nell’ambito ecclesiale, in quanto siamo abituati a prendere i ‘prodotti’ finiti e non a partecipare alla loro costruzione. Non facciamo politica, non partecipiamo al sindacato, non mangiamo insieme ed anche alla messa prendiamo quello che serve. Quindi non sappiamo più partecipare”.

La sua indagine mostra che la partecipazione era ‘scarsa’ anche prima dell’effetto del Covid 19: per quale motivo non si è avuto il coraggio di riconoscere prima le dinamiche?

“Non si sono volute riconoscere prima queste dinamiche, perché se riconosco che una cosa non funziona sono costretto ad escogitare qualcosa per cercare di cambiare. Il Covid è riuscito a rilevare questo problema, fornendoci un grande alibi… Però dopo il Covid continua quello che c’era prima”.

Come poter fare comprendere che la messa è una verità ‘sinfonica’?

“Attraverso la partecipazione a quei gesti senza mettersi nascosti in un angolo, prendendo quello che serve. La messa, come tutte le prassi, è qualcosa che va capito ed approfondito. Non è una cosa semplice. Banalizzare serve solo a sbiadire”.

In tale contesto quale è il compito dell’Azione Cattolica?

“Formare il più possibile la coscienza, la volontà, l’intelletto e sperimentare l’amicizia nella Chiesa con grande libertà”.   

(Tratto da Aci Stampa)

Da Trieste papa Francesco invita a cercare l’infinito di Dio

“Trieste è una di quelle città che hanno la vocazione di far incontrare genti diverse: anzitutto perché è un porto, è un porto importante, e poi perché si trova all’incrocio tra l’Italia, l’Europa centrale e i Balcani. In queste situazioni, la sfida per la comunità ecclesiale e per quella civile è di saper coniugare l’apertura e la stabilità, l’accoglienza e l’identità. E allora mi viene da dire: avete le ‘carte in regola’. Grazie! Avete le ‘carte in regola’ per affrontare questa sfida! Come cristiani abbiamo il Vangelo, che dà senso e speranza alla nostra vita; e come cittadini avete la Costituzione, ‘bussola’ affidabile per il cammino della democrazia”: così papa Francesco nell’Angelus ha salutato chi era presente a Trieste per la 50^ Settimana Sociale sul tema della democrazia.

Mentre nella celebrazione eucaristica in piazza dell’Unità a Trieste papa Francesco ha incentrato l’omelia sulla profezia dalla lettura del profeta Ezechiele: “Per ridestare la speranza dei cuori affranti e sostenere le fatiche del cammino, Dio sempre ha suscitato profeti in mezzo al suo popolo. Eppure, come racconta la Prima Lettura di oggi narrandoci le vicende di Ezechiele, essi hanno trovato spesso un popolo ribelle, ‘figli testardi e dal cuore indurito’, e sono stati rifiutati”.

Purtroppo i profeti non sono ascoltati, come è successo anche a Gesù: “Ascoltando i discorsi dei suoi compaesani, vediamo che si fermano solo alla sua storia terrena, alla sua provenienza familiare e, perciò, non riescono a spiegarsi come dal figlio di Giuseppe il falegname, cioè da una persona comune, possa uscire tanta sapienza e perfino la capacità di compiere prodigi. Lo scandalo, allora, è l’umanità di Gesù. L’ostacolo che impedisce a queste persone di riconoscere la presenza di Dio in Gesù è il fatto che Egli è umano, è semplicemente figlio di Giuseppe il carpentiere: come può Dio, onnipotente, rivelarsi nella fragilità della carne di un uomo?”

La fede, in tutti i tempi ha provocato sempre scandalo: “Non abbiamo bisogno di una religiosità chiusa in se stessa, che alza lo sguardo fino al cielo senza preoccuparsi di quanto succede sulla terra e celebra liturgie nel tempio dimenticandosi però della polvere che scorre sulle nostre strade. Ci serve, invece, lo scandalo della fede, (abbiamo bisogno dello scandalo della fede) una fede radicata nel Dio che si è fatto uomo e, perciò, una fede umana, una fede di carne, che entra nella storia, che accarezza la vita della gente, che risana i cuori spezzati, che diventa lievito di speranza e germe di un mondo nuovo”.

La fede tiene sveglie le coscienze: “E’ una fede che sveglia le coscienze dal torpore, che mette il dito nelle piaghe, nelle piaghe della società (ce ne sono tante), una fede che suscita domande sul futuro dell’uomo e della storia; è una fede inquieta, e noi abbiamo bisogno di vivere una vita inquieta, una fede che si muova da cuore a cuore, una fede che riceva da fuori le problematiche della società, una fede inquieta che aiuta a vincere la mediocrità e l’accidia del cuore, che diventa una spina nella carne di una società spesso anestetizzata e stordita dal consumismo”.

E’ stato un ammonimento sul consumismo: “Il consumismo è una piaga, è un cancro: ti ammala il cuore, ti fa egoista, ti fa guardare solo te stesso. Fratelli e sorelle, soprattutto, abbiamo bisogno di una fede che spiazza i calcoli dell’egoismo umano, che denuncia il male, che punta il dito contro le ingiustizie, che disturba le trame di chi, all’ombra del potere, gioca sulla pelle dei deboli. E quanti usano la fede per sfruttare la gente. Quello non è la fede”.

Citando il poeta triestino Umberto Saba il papa ha invitato a cercare l’infinito di Dio: “L’infinito di Dio si cela nella miseria umana, il Signore si agita e si rende presente, e si rende una presenza amica proprio nella carne ferita degli ultimi, dei dimenticati, degli scartati. Lì si manifesta il Signore…

Fratelli e sorelle, da questa città di Trieste, affacciata sull’Europa, crocevia di popoli e culture, terra di frontiera, alimentiamo il sogno di una nuova civiltà fondata sulla pace e sulla fraternità; per favore, non scandalizziamoci di Gesù ma, al contrario, indigniamoci per tutte quelle situazioni in cui la vita viene abbruttita, ferita, uccisa; portiamo la profezia del Vangelo nella nostra carne, con le nostre scelte prima ancora che con le parole. Quella coerenza fra le scelte e le parole”.

Però in mattinata, appena giunto a Trieste, papa Francesco aveva incontrato i delegati alla 50^ Settimana Sociale, ricordando un episodio familiare, che ricollega le stesse alla storia d’Italia: “La prima volta che ho sentito parlare di Trieste è stato da mio nonno che aveva fatto il ‛14 sul Piave. Lui ci insegnava tante canzoni e una era su Trieste: Il general Cadorna scrisse alla regina: ‘Se vuol guardare Trieste, che la guardi in cartolina’. E questa è la prima volta che ho sentito nominare la città.

Questa è stata la 50^ Settimana Sociale. La storia delle ‘Settimane’ si intreccia con la storia dell’Italia, e questo dice già molto: dice di una Chiesa sensibile alle trasformazioni della società e protesa a contribuire al bene comune”.

Ed ha ripreso l’idea originaria del beato Toniolo: “Il beato Giuseppe Toniolo, che ha dato avvio a questa iniziativa nel 1907, affermava che la democrazia si può definire ‘quell’ordinamento civile nel quale tutte le forze sociali, giuridiche ed economiche, nella pienezza del loro sviluppo gerarchico, cooperano proporzionalmente al bene comune, rifluendo nell’ultimo risultato a prevalente vantaggio delle classi inferiori’. Così diceva Toniolo. Alla luce di questa definizione, è evidente che nel mondo di oggi la democrazia, diciamo la verità, non gode di buona salute. Questo ci interessa e ci preoccupa, perché è in gioco il bene dell’uomo, e niente di ciò che è umano può esserci estraneo”.

Ma la realizzazione della democrazia in Italia si è affermata grazie anche al contributo dei cattolici: “In Italia è maturato l’ordinamento democratico dopo la seconda guerra mondiale, grazie anche al contributo determinante dei cattolici. Si può essere fieri di questa storia, sulla quale ha inciso pure l’esperienza delle Settimane Sociali; e, senza mitizzare il passato, bisogna trarne insegnamento per assumere la responsabilità di costruire qualcosa di buono nel nostro tempo”.

Quindi il centro della democrazia è il cuore: “Se la costruzione e l’intelligenza mostrano un cuore ‘infartuatoì’, devono preoccupare anche le diverse forme di esclusione sociale. Ogni volta che qualcuno è emarginato, tutto il corpo sociale soffre. La cultura dello scarto disegna una città dove non c’è posto per i poveri, i nascituri, le persone fragili, i malati, i bambini, le donne, i giovani, i vecchi. Questo è la cultura dello scarto. Il potere diventa autoreferenziale (è una malattia brutta questa), incapace di ascolto e di servizio alle persone”.

Citando Aldo Moro il papa è molto preoccupato per la scarsa partecipazione alla vita democratica: “Non è il voto del popolo solamente, ma esige che si creino le condizioni perché tutti si possano esprimere e possano partecipare. E la partecipazione non si improvvisa: si impara da ragazzi, da giovani, e va ‘allenata’, anche al senso critico rispetto alle tentazioni ideologiche e populistiche”.

Per rendere vitale la democrazia il papa ha ricordato le basi essenziali, quali sono la sussidiarietà e la solidarietà: “Infatti un popolo si tiene insieme per i legami che lo costituiscono, e i legami si rafforzano quando ciascuno è valorizzato. Ogni persona ha un valore; ogni persona è importante. La democrazia richiede sempre il passaggio dal parteggiare al partecipare, dal ‘fare il tifo’ al dialogare…

Mi fermo alla parola assistenzialismo. L’ assistenzialismo, soltanto così, è nemico della democrazia, è nemico dell’amore al prossimo. E certe forme di assistenzialismo che non riconoscono la dignità delle persone sono ipocrisia sociale. Non dimentichiamo questo. E cosa c’è dietro questo prendere distanze dalla realtà sociale? C’è l’ indifferenza, e l’indifferenza è un cancro della democrazia, un non partecipare”.

L’altra riflessione ha riguardato la partecipazione con creatività: “Se ci guardiamo attorno, vediamo tanti segni dell’azione dello Spirito Santo nella vita delle famiglie e delle comunità. Persino nei campi dell’economia, della ideologia, della politica, della società. Pensiamo a chi ha fatto spazio all’interno di un’attività economica a persone con disabilità; ai lavoratori che hanno rinunciato a un loro diritto per impedire il licenziamento di altri; alle comunità energetiche rinnovabili che promuovono l’ecologia integrale, facendosi carico anche delle famiglie in povertà energetica; agli amministratori che favoriscono la natalità, il lavoro, la scuola, i servizi educativi, le case accessibili, la mobilità per tutti, l’integrazione dei migranti. Tutte queste cose non entrano in una politica senza partecipazione. Il cuore della politica è fare partecipe”.

Per questo i cattolici non possono accontentarsi di una fede ‘marginale’: “Ciò significa non tanto di essere ascoltati, ma soprattutto avere il coraggio di fare proposte di giustizia e di pace nel dibattito pubblico. Abbiamo qualcosa da dire, ma non per difendere privilegi. No. Dobbiamo essere voce, voce che denuncia e che propone in una società spesso afona e dove troppi non hanno voce. Tanti, tanti non hanno voce. Tanti. Questo è l’amore politico, che non si accontenta di curare gli effetti ma cerca di affrontare le cause. Questo è l’amore politico. È una forma di carità che permette alla politica di essere all’altezza delle sue responsabilità e di uscire dalle polarizzazioni, queste polarizzazioni che immiseriscono e non aiutano a capire e affrontare le sfide. A questa carità politica è chiamata tutta la comunità cristiana, nella distinzione dei ministeri e dei carismi”.

E’ stato un invito a riscoprire la ‘passione sociale’:  “Formiamoci a questo amore, per metterlo in circolo in un mondo che è a corto di passione civile. Dobbiamo riprendere la passione civile, questo, dei grandi politici che noi abbiamo conosciuto. Impariamo sempre più e meglio a camminare insieme come popolo di Dio, per essere lievito di partecipazione in mezzo al popolo di cui facciamo parte. E questa è una cosa importante nel nostro agire politico, anche dei pastori nostri: conoscere il popolo, avvicinarsi al popolo. Un politico può essere come un pastore che va davanti al popolo, in mezzo al popolo e dietro al popolo. Davanti al popolo per segnalare un po’ il cammino; in mezzo al popolo, per avere il fiuto del popolo; dietro al popolo per aiutare i ritardatari. Un politico che non abbia il fiuto del popolo, è un teorico. Gli manca il principale”.

(Foto: Santa Sede)

San Benedetto da Norcia: accogliere la vita e l’ospite nel cammino insieme

Nella festa liturgica di san Benedetto, che a 17 anni, insieme con la sua nutrice Cirilla, si ritirò nella valle dell’Aniene presso Eufide (l’attuale Affile), dove avrebbe compiuto il primo miracolo, riparando un vaglio rotto dalla stessa nutrice. La lasciò e si avviò verso la valle di Subiaco, presso gli antichi resti di una villa neroniana, nella quale le acque del fiume Aniene alimentavano tre laghi.

Papa in Grecia invita ad impegnarsi per la democrazia

Dopo Nicosia papa Francesco è atterrato ad Atene, patria della democrazia, dove, parlando alle autorità ed al corpo diplomatico, ha sottolineato che nel mondo si assiste ad un arretramento della democrazia, o persino ad una diffidenza verso la democrazia stessa, prendendo spunto da un’orazione di san Gregorio di Nazanzio:

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