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Da Modena mons. Castellucci invita a vivere con speranza la morte

“Dopo il ritorno, il forte paga il debito con la morte. L’asciutta scritta latina dell’ultima scena del bassorilievo di Wiligelmo, nell’architrave della Porta dei Principi del Duomo di Modena, commenta così la morte di San Geminiano, avvenuta il 31 gennaio del 397, al ritorno dal suo viaggio a Costantinopoli, dove ‘il forte’ aveva guarito la figlia dell’imperatore. Il vescovo, secondo la tradizione, aveva 84 anni, all’epoca un’età molto avanzata: di qui deriva quella scritta, che fa pensare ad un passaggio dovuto (‘debito’), ma ormai atteso e naturale, senza la drammaticità da cui spesso è segnato l’ultimo respiro”.

Così inizia la lettera alla città (‘Più forte della morte è l’amore. La speranza non delude’) del vescovo di Modena-Nonantola, mons. Erio Castellucci, in occasione della festa del patrono san Geminiano, diacono del vescovo Antonio al quale successe per scelta dei suoi concittadini. Nel 390 (o, secondo altre datazioni nel 393) fu presente al concilio dei vescovi dell’Italia settentrionale, presieduto da sant’Ambrogio per condannare l’eretico Gioviniano. Per questo fu molto impegnato, insieme con altri vescovi della Romagna (san Mercuriale di Forlì, san Rufillo di Forlimpopoli, san Leo di Montefeltro e san Gaudenzio di Rimini), a combattere l’eresia ariana, molto diffusa in quella zona.

Nella lettera mons. Castellucci ha sottolineato che nel giorno della sua morte i concittadini non avevano un volto ‘triste’, in quanto era considerato come una nascita: “I personaggi che attorniano Geminiano, nella scena, mostrano infatti volti tristi ma non disperati e sono intenti a compiere i riti funebri in modo pacato. D’altronde il giorno della morte di un martire o, come nel caso del nostro patrono, di un cristiano con la fama di santità, veniva chiamato il ‘dies natalis’, il giorno della nascita”.

Appunto, la lettera prende spunto dal significato della morte: “Nella nostra cultura occidentale, piuttosto efficientista, vige una sorta di censura della morte e del morire. Siamo certo convinti della fragilità della condizione umana, così come la dipinge la Bibbia: ‘come l’erba sono i giorni dell’uomo, come il fiore del campo, così egli fiorisce’;

eppure i meccanismi di difesa che si attivano di fronte all’ultima soglia sono parecchi: alcuni reagiscono al pensiero della morte cercando di scacciarlo, di distrarsi e magari anche di stordirsi; c’è chi cade nel cinismo, maturando un’indifferenza di tipo stoico che vorrebbe raggiungere l’insensibilità, così da evitare la sofferenza; e c’è chi rimanda la questione a tempi peggiori, auspicando di doverla affrontare il più tardi possibile, quando sarà purtroppo inevitabile, o affidandosi eventualmente alla scaramanzia o alle pratiche magiche e superstiziose”.

E’ un invito a vivere la morte senza angoscia, come ha fatto san Francesco o sant’Alfonso de’ Liguori: “Pochissimi, è vero, arriverebbero a definire la morte con l’affettuoso appellativo di ‘sorella’, come fece san Francesco d’Assisi otto secoli fa nel ‘Cantico delle creature’; e tuttavia molte persone la sostengono con dignità, senza cadere nella disperazione e, quando possibile, cercando di prepararsi. Uno dei libri più diffusi e letti per due secoli, da quando lo pubblicò nel 1758, è appunto ‘Apparecchio alla morte’ di sant’Alfonso Maria de’ Liguori: un manuale corposo, che offre tanti suggerimenti su come ci si possa avvicinare nella maniera più adeguata a questa soglia”.

Per questo il cristianesimo invita a vivere la morte come segno di speranza: “La fede cristiana, da parte sua, offre una prospettiva di grande speranza: la morte non è un muro contro cui vanno ad infrangersi sogni, sacrifici, desideri, sofferenze e gioie, progetti e speranze; è piuttosto un ponte, alto e vertiginoso, che conduce a un’altra sponda, dove troverà pienezza ciò che è stato costruito giorno per giorno nella vita terrena. Tutti i germi di amore e di bene, tutti i gesti di solidarietà e di giustizia, avranno compimento. Cristo arriva a dire che nemmeno il dono di un bicchiere di acqua fresca resterà senza ricompensa”.

La morte si trasforma nella resurrezione: “Per chi crede nel Signore morto e risorto, la morte è ormai parola penultima: inquietante e tuttavia penultima. L’ultima parola è la vita, la risurrezione, l’amore che vince. La speranza nella vita eterna sostiene i credenti e apre prospettive per tutti, anche per le moltitudini che in questa vicenda terrena sono emarginate e scartate, subiscono angherie e ingiustizie, nascono e vivono in situazioni svantaggiate e degradate. Se la morte fosse davvero la fine di tutto, non ci sarebbe riscatto per loro e trionferebbero per sempre coloro che operano il male. Questa è la ‘grande speranza’ cristiana: non solo per se stessi e per i propri cari, ma per tutti gli esseri umani”.

Anche la diffusione delle cure palliative offre una visione più aperta ed il vescovo ha invitato a potenziare queste esperienze per sconfiggere la cultura di morte: “Queste esperienze devono essere potenziate: oggi il sostegno economico è insufficiente ed è ripartito in modo diseguale sul territorio italiano. Coloro che vi operano, attestano che l’accompagnamento alla morte, sia del malato sia dei familiari, dei volontari e degli stessi operatori sanitari, può assumere una qualità e una profondità impensabili.

Più si creano reti di relazione autentiche ed intense attorno alla persona che si sta avvicinando alla morte e nei suoi cari, meno si creano le condizioni per chiedere l’eutanasia o il suicidio assistito. Senza negare che certe sofferenze siano di per sé devastanti e difficilissime da sopportare (quindi senza mai cadere nei facili giudizi sulle scelte altrui) ciascuno di noi ha sperimentato come un dolore, anche forte, si possa attraversare evitando la disperazione, quando si è sostenuti da una mano amica”.

E’ stato un invito a creare reti di ‘prossimità’ in grado di formare i ‘pellegrini di speranza’: “Il nostro territorio modenese è ricchissimo di esperienze di prossimità, anche nell’ambito dell’accompagnamento di coloro che percorrono l’ultimo tratto di vita e dei loro cari.

Sono migliaia le case nelle quali un familiare è sostenuto premurosamente, sono centinaia le strutture di assistenza e di cura, non si contano le collaboratrici domestiche impegnate nell’aiuto agli anziani e agli ammalati ed è stupefacente la dedizione di tantissimi volontari, anche nelle nostre comunità cristiane, religiose e civili.

Non sarà mai sufficiente l’espressione della nostra gratitudine. In particolare desidero ricordare un’attività poco conosciuta delle parrocchie: la cura degli ammalati, delle persone sole e dei familiari di chi subisce lutti”.

All’Università Antonianum la festa dell’università

Giovedì 16 gennaio si è tenuta presso l’Auditorium Antonianum la tradizionale Festa dell’Università e del Gran Cancelliere: filologia, filosofia, musica, premi, recitazione, moderato dal prof. Ernesto Dezza.

L’appuntamento è stato aperto dal Quartetto Artemisia, che ha eseguito l’Aria sulla quarta corda dalla Suite n° 3 in re maggiore BWV 1068 e il Corale dalla Cantata BWV 147 di Johann Sebastian Bach. Dopo le parole di saluto del Rettore Magnifico della Pontificia Università Antonianum, prof. Agustín Hernández Vidales, spazio alla lettura del Cantico delle creature, affidata alla voce dell’attore Luca Lazzareschi; il prof. Roberto Antonelli, Presidente dell’Accademia Nazionale dei Lincei, che è intervenuto su ‘Il Cantico delle creature’ o Cantico di Frate Sole;

la prof.ssa Flavia Marcacci, Università degli Studi di Urbino ‘Carlo Bo’, che ha affrontato il tema ‘Cielo e terra si incontreranno, natura e creazione si baceranno: dallo sguardo di Francesco allo sguardo dei filosofi della natura’.

Dopo una breve pausa e una nuova esecuzione musicale del Quartetto Artemisia, fr. Massimo Fusarelli, Gran Cancelliere della Pontificia Università Antonianum e Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori, ha pronunciato le parole conclusive sulla giornata e consegnato i premi Studente dell’anno.

(Foto: Università Antonianum)

Assisi ricorda il Cantico delle Creature

Sabato scorso al Santuario di San Damiano di Assisi si è aperto ufficialmente l’VIII Centenario del Cantico delle creature’ alla presenza dei ministri generali del Primo Ordine e quelli del Terz’Ordine Regolare e Secolare, insieme alla Presidente della Conferenza delle Suore Francescane, presieduto da fra Francesco Piloni, Ministro Provinciale dei Frati Minori di Umbria e Sardegna. E’ seguita la lettura del testo ‘Compilazione di Assisi’ sulla composizione del Cantico al santuario di san Damiano.

La celebrazione è proseguita al Santuario della Spogliazione, dove fra Simone Calvarese, ministro provinciale dei Frati Minori cappuccini del Centro Italia ha guidato la seconda parte della preghiera con la lettura di due stralci della ‘Compilazione di Assisi’ inerenti alle ultime due strofe del Cantico, sul perdono e sulla morte.

E dopo la proclamazione del Cantico delle Creature da parte di Isabella Giovagnoli e fr. Luigi Giacometti, accompagnata dal clarinetto, i ministri Generali hanno commentato i passi del Cantico attraverso le creature che compongono la lode per cui fr. Mssimo Fusarelli, ha invitato a riflettere sulla prima creatura ‘su cui Francesco posa lo sguardo’ sul sole che ‘è bellu e radiante cum grande splendore: de Te, Altissimo, porta significazione’: “In queste parole troviamo una chiave di lettura che serve a capire tutto il Cantico: il sole e tutte le creature sono segno di Dio, di lui ‘portano significatione’, di lui ci parlano, se sappiamo guardarle con gli occhi giusti, illuminati dalla fede e fissi su Gesù Cristo, che è il sole di giustizia che sorge dall’alto”.

Poi fr. Tibor Kauser, ministro generale OFS ha posto l’accento su ‘sora Acqua’: la prima cosa che viene menzionata nel libro della Genesi, ancora prima della luce: quanto è preziosa, essendo stata scelta per dare spazio in alto allo Spirito di Dio! Questo stesso Spirito di Dio ha scelto noi non solo per librarsi sopra, ma per abitare in noi. Quanto sarebbe bello se potessimo correre insieme a lei e dare la vita”.

Fr. Carlos Alberto Trovarelli, ministro generale dell’Ordine dei frati minori conventuali, ha avuto il compito di ricordare ‘ciò che sta sotto il cielo’: “L’aria, l’acqua, la madre terra e il fuoco. Francesco vede nella creazione e nelle creature l’immagine stessa del Creatore. ‘Altissimo, onnipotente, bon Signore’, aiutaci a essere sensibili al respiro della Madre Terra, ai suoi cicli vitali, all’equilibrio tra consumismo e sobrietà. Concedici di riconciliarci, come fratelli e sorelle minori, con Dio e con le creature”.

Suor Frances Marie Duncan, presidente della Conferenza francescana internazionale dei fratelli e delle sorelle del Terzo Ordine regolare, ha offerto una riflessione sulla Madre Terra “della quale Francesco ci dice che è, insieme, sorella e madre: sorella come ogni altra creatura, ma anche madre perché ella ci nutre, producendo ‘diversi frutti con coloriti flori et herba’. Lo sguardo alla terra ci richiama ai problemi della distribuzione equa di quel cibo che la terra produce. Oggi viviamo ancora in situazioni di disuguaglianza che, invece di diminuire, continuano a crescere, con i molti poveri che diventano sempre più poveri e i pochi ricchi che diventano sempre più ricchi”.

Fra Amando Trujillo Cano, ministro generale del Terz’Ordine regolare, ha introdotto la tematica del perdono: “Il Cantico non parla solo della bellezza della Natura, ma anche delle difficoltà della storia umana: se c’è una lode per il perdono, vuol dire che ci sono colpe da perdonare, come pure infermità e tribolazioni”.

Il vicario dei Frati minori Cappuccini, fra Silvio do Socorro de Almeida Pereira, ha infine gettato lo sguardo sulla realtà ultima e per noi definitiva: la morte: “Perfino per la morte Francesco può dire ‘Laudato si’ mi’ Signore’. Che cosa spiega questa attitudine di Francesco, che riesce a lodare sempre? il suo segreto è la fede in un Dio che è ‘il bene, ogni bene, il sommo bene, che solo è buono’: solo tale fede può spiegare questa lode costante, che riconosce che da Dio tutto proviene e che a Lui restituisce ogni bene, nel rendimento di grazie e nella lode”.

Infine il vescovo di Assisi – Nocera Umbra e Gualdo Tadino, mons. Domenico Sorrentino ha concluso la celebrazione ricordando che le due ultime strofe del Cantico siano state concepite in Episcopio dove Francesco era ospite del vescovo Guido II: “La fatica del perdono: comandamento difficile ma sotto lo sguardo di Francesco, avviene il miracolo. Un vescovo e un podestà che sono in lite, spingendo la città stessa ad una ennesima guerra intestina, si riabbracciano: la grazia di Dio, propiziata da Francesco, fa cose davvero straordinarie. Questo miracolo di pace è anche il grande messaggio che ispira l’intero cantico”.

Commentando la giornata di sabato scorso il ministro della Provincia dei Frati Minori di Umbria e Sardegna, fra Francesco Piloni, ha sottolineato che nel cantico francescano tutto è grazia: “Talvolta nel parlare del Cantico ci dimentichiamo di un dettaglio importantissimo ma che sta alla genesi dello scritto, e che ne svela la potenza: Francesco è cieco quando lo compone. Già malato, la sua vista esteriore ormai è scomparsa, ma la luce interiore gli fa vedere tutto come presenza, come traccia di Dio, e tutto gli rimanda il significato della presenza dell’Altissimo. Francesco vede tutto con gli occhi di Dio”.

E’ stato un invito ad essere figli della lode: “Ogni cristiano che celebra la liturgia delle ore inizia la sua preghiera con le lodi. La preghiera di lode è la preghiera di chi vuole prima di tutto riconoscere la positività della vita, il valore che va oltre ogni afflizione che ci può soffocare. La lode ci ricorda che tutto è un dono, tutto è grazia, tutto è possibilità.

Francesco ce lo dice da una condizione di infermo, in una notte tribolata, in una notte travagliata: lui passa dal travaglio alla lode, perché la lode è la potenza di una relazione da figli di Dio, certi di avere un Padre che è dalla nostra parte, ormai distanti dal veleno della negatività.

La lode ci sintonizza in modo corretto dandoci le giuste coordinate dentro il quale porci. Francesco fino all’ultimo, con tutte le fatiche degli ultimi suoi sei anni, ci racconta che noi siamo i figli della lode, che nasciamo da un Dio che quando ci guarda vede che tutto è molto buono, e loda per quelle creature che sono nate dal suo cuore innamorato”.

(Foto: OFM)

David Rondoni: san Francesco aveva ‘simpatia’ per la vita

“Altissimo, onnipotente, buon Signore, tue sono le lodi, la gloria e l’onore e ogni benedizione. A te solo, Altissimo, si confanno e nessun uomo è degno di ricordarti. Laudato sii, mio Signore, con tutte le tue creature, specialmente messèr fratello sole, il quale diffonde la luce del sole, e tu ci illumini per mezzo suo, e lui è bello, raggiante con gran splendore; di te, Altissimo, reca il significato. Lodato sii, mio Signore, per sorella luna e le stelle; le hai formate in cielo chiare e preziose e belle. Lodato sii, mio Signore, per fratello vento, e per ogni movimento del vento, per il nuvolo, il sereno e ogni tempo per il quale alle tue creature dà i sostegno. Lodato sii, mio Signore, per sorella acqua, che è molto utile, umile, preziosa e casta. Lodato sii, mio Signore, per fratello fuoco, per il quale illumini la notte, ed egli è bello, giocoso, robusto e forte”.

Il ‘Cantico delle creature’ è stato composto nel 1224 da san Francesco d’Assisi ed è una lode a Dio e alle sue creature che si snoda con intensità e vigore attraverso le sue opere, divenendo così anche un inno alla vita; è una preghiera permeata da una visione positiva della natura, poiché nel creato è riflessa l’immagine del Creatore: oggi, 800 anni dopo, quelle parole continuano ad essere un invito a riconoscere la sinfonia del creato e il canto che vibra nel cuore di ognuno di noi, come prova il libro ‘Vivere il Cantico delle creature. La spiritualità cosmica e cristiana di san Francesco’, scritto da un poeta, David Rondoni, e da un monaco tanatologo, p. Guidalberto Bormolini.

Abbiamo incontrato David Rondoni, presidente del comitato nazionale per la celebrazione dell’ottavo centenario della morte di san Francesco d’Assisi, a Tolentino all’edizione di ‘Di-Vento’ festival, che si è interrogato sugli ‘invisibili’, leggendo alcuni suoi testi tratti da ‘Gli invisibili, tra Assisi e la stazione Termini’, spiegando il motivo per cui si è occupato degli ‘invisibili’: “Sono stato invitato da amici a dare un piccolo contributo s questo tema, riallacciandomi all’esperienza di san Francesco che si occupò degli invisibili, che nel suo tempo erano i lebbrosi, avvicinandosi a loro, mentre la società del tempo li schifava. Il ‘gancio’ è stato questo. Ho letto alcune mie poesie dedicate a tanti invisibili, che sono intorno a noi e sono invisibili per chi ha paura di guardare”.

Per quale motivo san Francesco si è ‘innamorato’ proprio degli invisibili?

“E’ il segno che l’abbraccio di Cristo non lascia fuori nulla:ciò che è inguardabile per la società è guardato da Dio. San Francesco sottolinea questo sguardo di Dio”.

In quale modo san Francesco ha coniugato lo spirito con la carne?

“Lui non ha coniugato. Il cristianesimo è credere in Dio incarnato, quindi Gesù ha legato per sempre nella sua persona la possibilità che ciò che è spirito e ciò che è carne vivessero insieme. Vivere insieme è un destino positivo, perché lo scandalo dei cristiani è che non credono solo all’eternità dell’anima ma anche nella resurrezione del corpo. Non sappiamo in quale forma, ma sono sicuro che io rivedrò mio padre e mia madre. Questo è il privilegio dato all’esperienza, perché l’uomo non può fare alcuna esperienza senza carne. Pensare di ‘salvare’ solo l’aspetto spirituale dell’uomo sarebbe una cavolata”.

Allora quale era la spiritualità di san Francesco?

“Una grande simpatia per la vita. La spiritualità di san Francesco, a differenza dei catari, che disprezzavano il mondo per amare Dio, legava insieme l’amore per Dio e l’amore per il mondo, in quanto le creature sono segno di Dio. Non a caso il francescanesimo è un’esplosione di vita in tutti i saperi umani, dall’arte all’economia ed alla medicina: la spiritualità di san Francesco è un grande amore per la vita”.

Quale significato dare alla parola ‘humile’?

“Leopardi come san Francesco diceva che l’uomo nella natura deve essere come un mendicante. Vuol dire non ritenere che la natura dipenda da te. Tu sei piccolo. E poi c’è l’ ‘Altissimu’, prima di tutto la sproporzione, prima di tutto il senso della sproporzione. Quest’idea che noi salviamo la natura fa sorridere e sembra che tutto dipenda dall’uomo. Siamo una pulce, siamo semmai una pulce in mezzo alle forze della natura. Quindi pensare che sia tutto merito o colpa nostra fa un pò ridere, bisogna volare più bassi e ammettere anche di avere un limite”.

Dopo 800 anni quale è l’attualità del Cantico delle Creature?

“Uno degli elementi che risalta in evidenza è quello per cui san Francesco non chiama la natura ‘buona’ o ‘cattiva’, perché la natura è ciò che esiste. San Francesco, vedendo dietro le creature il segno di chi le ha create, cioè Dio, riesce a vedere un ‘buono’ anche nella natura. Ma non è un’esaltazione della natura, ma un’esaltazione di Dio: Laudato sii mi Signore per le creature. Questo ‘per’ è importantissimo”.   

Ed a Greccio san Francesco ‘inventò’ il presepe: “L’incontro di due protagonisti, il divino e l’umano: è questa la ‘storia’ che il presepe racconta. Un racconto di cui c’è bisogno oggi almeno come ce n’era quando nel 1223 Francesco d’Assisi, per la prima volta, riprodusse nella grotta di Greccio la scena della Natività. Oggi come allora l’uomo ha bisogno di Dio: oggi, forse ancor più che allora, c’è sete di un amore che vinca la ‘folla delle solitudini’ e stemperi l’accanirsi dei conflitti.’’Fare il presepe’ è perciò oggi più che mai un messaggio di pace e di speranza, un gesto d’amore, che può parlare al cuore di tutti”.

Padre Bormolini: il Cantico delle Creature per un cambiamento di vita

“Altissimo, onnipotente, buon Signore, tue sono le lodi, la gloria e l’onore e ogni benedizione. A te solo, Altissimo, si confanno e nessun uomo è degno di ricordarti. Laudato sii, mio Signore, con tutte le tue creature, specialmente messèr fratello sole, il quale diffonde la luce del sole, e tu ci illumini per mezzo suo, e lui è bello, raggiante con gran splendore; di te, Altissimo, reca il significato. Lodato sii, mio Signore, per sorella luna e le stelle; le hai formate in cielo chiare e preziose e belle. Lodato sii, mio Signore, per fratello vento, e per ogni movimento del vento, per il nuvolo, il sereno e ogni tempo per il quale alle tue creature dà i sostegno. Lodato sii, mio Signore, per sorella acqua, che è molto utile, umile, preziosa e casta. Lodato sii, mio Signore, per fratello fuoco, per il quale illumini la notte, ed egli è bello, giocoso, robusto e forte.

Lodato sii, mio Signore, per sorella nostra madre terra, la quale ci sostenta e governa, e produce diversi frutti, con fiori colorati e erba. Lodato sii, mio Signore, per quelli che perdonano grazie al tuo amore, e sostengono malattie e guai. Beati quelli che sopporteranno in pace, che da te, Altissimo, saranno ricompensati. Lodato sii, mio Signore, per nostra sorella morte corporale, dalla quale nessun uomo che viva può scappare. Guai a quelli che morranno in peccato mortale; beati quelli che troverà nelle tue santissime volontà; che la seconda morte non gli farà male. Lodate e benedite il mio Signore e ringraziate, e servitelo con grande umiltà. Amen”.

Il ‘Cantico delle creature’ è stato composto nel 1224 da san Francesco d’Assisi composto intorno al 1224 ed è una lode a Dio e alle sue creature che si snoda con intensità e vigore attraverso le sue opere, divenendo così anche un inno alla vita; è una preghiera permeata da una visione positiva della natura, poiché nel creato è riflessa l’immagine del Creatore: oggi, 800 anni dopo, quelle parole continuano ad essere un invito a riconoscere la sinfonia del creato e il canto che vibra nel cuore di ognuno di noi, come prova il libro ‘Vivere il Cantico delle creature. La spiritualità cosmica e cristiana di san Francesco’, scritto da un poeta, David Rondoni, e da un monaco tanatologo, p. Guidalberto Bormolini, al quale chiediamo di raccontarci il motivo per cui san Francesco d’Assisi scrisse il Cantico delle Creature:

“San Francesco scrisse il Cantico in un momento particolare, soprattutto in tempo di una forte sofferenza. L’ispirazione gli cambiò la percezione di questa sofferenza e la prospettiva verso la vita; ma la cosa più bella è che san Francesco compose questo Cantico delle Creature, perché fosse portato a tutte le persone in vista della vera penitenza ed i suoi frati avrebbero dovuto cantarlo, concludendo: ‘siamo giullari del Signore, la penitenza che desideriamo è che entriate nella vera penitenza’. Ma la penitenza non è punizione, ma cambiamento di rotta. Se andavano nella direzione sbagliata, questo Cantico li avrebbe condotti nella direzione giusta”.

Quale era la spiritualità di san Francesco?

“La spiritualità di san Francesco era una spiritualità incarnata. In un tempo in cui l’amore per la natura non era lo stesso che abbiamo noi, che la consideriamo romantica. La natura era nemica, perché distruggeva il raccolto ed il bestiame. La sua spiritualità, in un epoca che niente era scontato, aveva  la capacità di vedere il divino nella materia. Era la spiritualità di un vero cristiano. Soprattutto se vista in un tempo in cui la contrapposizione con i catari era forte; uno spiritualismo disincarnato  ha visto contrapposta la mistica di un santo come Francesco, che vedeva nella materia la bellezza del Creatore”.

La spiritualità cosmica può essere anche spiritualità cristiana?

“La spiritualità cosmica e la spiritualità cristiana non sono assolutamente in contraddizione, soprattutto se sappiamo che tutto ciò che esiste nel cosmo forma una salda unità. Esiste un vincolo di concordia e di pace, come se tutti gli elementi fossero inseparabili, come afferma il card. Splidik che dice che i Padri della Chiesa consideravano l’unità del mondo come un tema molto familiare. Clemente Alessandrino affermava che i dannati simpatizzavano con i viventi nell’unità cosmica.

Sarebbero tanti i mistici cristiani che ci fanno intravedere questa spiritualità cosmica, cioè una spiritualità che vede l’artefice divino in tutta la bellezza che è stata creata. Soprattutto vede nella creazione e nei suoi elementi una scala cosmica, che ci protende verso il Cielo per andare incontro alla scala che dal Cielo è stata gettata. Questo, forse, potrebbe far comprendere in un senso profondamente mistico ed antropologico il meraviglioso Cantico delle Creature di san Francesco d’Assisi”.

Cura del creato e cura della vita: in quale modo coniugare?

“La cura è sempre cura integrale. L’essere umano non può essere curato solo fisicamente, se anche nei documenti scientifici psiche e corpo non sono disgiunti. Da qui bisogna abbracciare e coniugare sempre l’interezza umana, altrimenti una parte dell’essere sarà fuori dalla cura e non sarà sicuramente vera cura. Quindi la cura del creato e la cura della persona (la cura in generale) è sempre un abbraccio unico; siamo parte di tutto. Siamo dentro ad una comunione o, cristianamente, nel Corpo mistico con Cristo che abbraccia tutto ciò che esiste. Infatti, anche la creazione, come dice san Paolo, geme nelle doglie di un parto, perché è protesa verso questa Trasfigurazione: curare gli esseri umani e creare il creato è qualcosa di strettamente collegato alla vita”.

Il cantico può essere considerato un accompagnamento a vivere bene la morte?

“Sicuramente il Cantico delle Creature è un accompagnamento alla morte, perché è dentro in un tutto, in cui gli elementi sono insieme in un tutto, per cui il nostro ritorno alla terra è il nostro tornare al Cielo: ci mette in un’altra dimensione. E’ però anche un canto d’amore, perché amore è immortalità, o meglio è sostanza divina. Ben a ragione il Cantico delle Creature si conclude chiamando la morte ‘sorella’, perché non ci è nemica. La morte non è all’opposto della vita, ma è la porta della vita stessa”.

Ad 800 anni di distanza quale è l’attualità del suo messaggio?

“Ad 800 anni di distanza il messaggio del Cantico delle Creature è attualissimo. Sta dicendo che tutto il cosmo è dentro di noi e che se noi visitiamo la nostra interiorità abbiamo accesso ad esperienze che ci collegano con Dio; soprattutto ci insegnano che c’è una scala per protenderci verso Dio, ma non è quella di Prometeo e né quella della Torre di Babele, ma è una scala che è stata gettata per la salvezza; è una scala che la mistica cristiana fa coincidere con i ‘gradini’ delle ferite di Cristo, quindi noi possiamo parlare di tutto questo ad un mondo fortemente attratto da nuove spiritualità, in cui dobbiamo anche vedere il buono, cioè lo slancio verso qualcosa di grande.

Però, come cristiani, abbiamo da fare un dono ai ricercatori: questo slancio verso il più grande deve essere uno slancio verso un Amico divino, che ha cura di te e che è pronto a tutto per amore di te. Questa spiritualità cosmica del Cantico delle Creature è non solo attuale, ma la via di uscita ai tempi bui che stiamo attraversando e ci annuncia che nessuno buio può soffocare questo Amore divino, che si protende verso noi e vuole entrare nel nostro corpo e nella nostra anima attraverso un abbraccio infinito”.

(Tratto da Aci Stampa)

Don Tonio Dell’Olio: il ‘Cantico delle Creature’ è uno sguardo nuovo sul creato

“Tucte, tutte, nessuna creatura esclusa. La natura, sistema totale degli esseri viventi, animali e vegetali, e delle cose inanimate, diventa il paradigma plastico del tucte, nella sua diversità, nella espressione delle differenze, nella declinazione delle sfumature. La natura sembra chiedere, per essere compresa, uno sguardo ampio, inclusivo capace di cogliere sfumature, differenze. Eppure molta narrazione sembra non confermare questo sguardo: separiamo, poniamo paletti tra ciò che è naturale e ciò che è contronatura (dimenticando l’unica accezione dotata di senso che è tutto quanto facciamo contro la natura), tra ciò che è normale da ciò che è anormale, tra cosa (o chi) si avvicina alla media e ciò (o chi) devìa dalla media”: con questo pensiero del presidente della ‘Pro Civitate Christiana’ di Assisi, don Tonio Dell’Olio, domenica scorsa si è concluso l’82^ corso di Studi cristiani con una riflessione incentrata sul ‘Cantico delle Creature’.

Per il presidente della ‘Pro Civitate Christiana’ il Cantico francescano ha un ‘respiro’ universale’: “Non vi è chi non riconosca in Francesco d’Assisi un respiro universale che, pur essendo saldamente ancorato alla fede cristiana, riesce a parlare con autentica libertà ad ogni persona a qualunque fede appartenga. In questo senso il Cantico di frate Sole è l’espressione più alta della parola di lode che proviene da ogni elemento della natura e diventa gratitudine. All’umanità viene richiesto di compiere un’esperienza totalmente immersiva perché non si senta mai soggetto separato dall’insieme della natura perché è stata proprio la mancanza di questa concezione a causare i disastri che oggi ci troviamo a cercare di curare”.

In questo 800^ anniversario del Cantico di san Francesco abbiamo chiesto a don Tonio Dell’Olio di raccontarci il motivo della scelta di questo tema francescano, ‘Cum tucte le tue creature’: “Il tema francescano, anzi la citazione testuale dal ‘Cantico di frate Sole’, è stata una felice coincidenza; trovandoci nel tempo dei centenari francescani, abbiamo colto intuitivamente una pregnanza nuova di significati, pur nella essenzialità dell’inciso ‘cum tucte le tue creature’. La consapevolezza perfetta della fraternità universale suscita in Francesco d’Assisi l’urgenza della gratitudine e della lode. Crediamo che il tema francescano della fraternità, così come declinato nella ispirazione di Francesco, meriti un supplemento di riflessione, alla luce di quanto può suggerire la sensibilità del nostro tempo, per un contributo fondamentale di conoscenza e rivelazione”.

Cosa significa ’Cum tucte le tue creature’?

 “Cum tucte le tue creature significa ‘tutte’ le creature, proprio tutte, nessuna esclusa, a nostro avviso. Questo ci è sembrato lampante, nella congerie di parole, umori, contrapposizioni, distinguo: prima delle differenze, prima delle distinzioni, prima delle separazioni, non possiamo prescindere dalla consapevolezza dell’appartenenza che tutte le comprende. Ci chiediamo ‘chi siamo noi’ per mettere confini, per creare steccati, per segregare, per sopprimere l’abbondanza di forme che invece ci stupisce e ci anticipa, diremmo provvidenzialmente”.

In quale modo custodire la natura ‘cum tucte le sue creature’?

“Custodire la natura ‘cum tucte’ le sue creature è il principio sotteso, regolatore della natura, e quindi dell’ambiente in cui ci è dato di esistere, appunto come legge naturale, assolutamente possibile. Se solo ci rendessimo disponibili a tenerne conto, ad averne rispetto. Oggi recuperare la capacità di custodia di tutte le creature è un imperativo dell’umano, indifferibile davanti all’incombere di azioni e progetti forieri di distruzione e morte. E’ ormai un dato confermato dal rigore scientifico e sta diventando un dato di esperienza nelle vite di noi abitanti del mondo.

L’eliminazione di una sola specie, vegetale o animale che sia, produce inevitabilmente uno squilibrio ad effetto domino nella dinamica della biologia e delle interazioni dell’ecosistema. “Tutte” le creature hanno un valore ed un senso in relazione al tutto della vita sul nostro pianeta. Sacrificarne in parte è sacrificare la vita stessa del nostro pianeta. Acquisire consapevolezza del dato deve significare ‘decidere’ azioni umane nuove di compatibilità e quindi anche scelte di senso opposto a quanto fatto finora”.  

Quale è lo sguardo che la Sacra Scrittura offre sulla natura?

“La Sacra Scrittura propone uno sguardo inequivoco sulla natura: compagna, nutrimento, sollievo, mistero e meraviglia per l’umanità. Tutta la narrazione biblica è affrescata sullo sfondo di paesaggi nitidi di descrizioni ambientali e punteggiati dalla presenza ed anche dal protagonismo di animali domestici o di fiere, di piante descritte puntualmente, nonostante la prevalenza del deserto o del mare di Galilea.  

Almeno 68 sono le citazioni di specie di piante e oltre 70 solo le varietà spinose nella Bibbia, e tutte significative nell’economia del racconto, mai orpello inerte o vezzo descrittivo. Le piante sono oggetto non solo di interesse materiale come cibo e bevanda, ma strumenti per esprimere pensieri, emozioni, significati allegorici per esprimere considerazioni spirituali, messaggi religiosi, ecologici, culturali. Piante come simbolo di fertilità, di immortalità, di sapienza”.  

Perché la Cittadella di Assisi ha scelto di essere un luogo ‘Laudato Sì’?

“La Cittadella di Assisi ha scelto di definirsi un luogo ‘Laudato sì’, con slancio e sete di liberazione, alla luce della riflessione provocata dall’enciclica di papa Francesco, che abbiamo accolto con determinazione e di cui vogliamo informare le nostre azioni, incontro al cambiamento d’epoca, di cui vogliamo essere protagonisti. In continuità con le indicazioni di rotta del Concilio Vaticano II, di cui la Cittadella è stata fedele testimone ha scelto di assumere la ‘Laudato sì’ anche nel nome, a caratterizzare con un segno visibile la propria identità più autentica. 

Essere un luogo ‘Laudato sì’ significa  non solo (e non più)  uno spazio di gratitudine e di lode al dono della Vita, uno stile di sobrietà felice e di cordiale ospitalità, di “convivialità delle differenze”, secondo la felice espressione di mons. Tonino Bello vescovo, scelta instancabile della pace sempre, impegno e pratica della  nonviolenza, ma è anche sfida nel concreto impegno  e partecipazione alla conversione, finalmente, del modello economico e civile, luogo che effettivamente contribuisca nella ricerca e nell’ascolto, nel confronto delle intelligenze, nell’accoglienza di tutte le fragilità, ad ospitare la Speranza di un futuro possibile, per la vita sempre nuova”.  

(Tratto da Aci Stampa)

Papa Francesco: la speranza è la virtù di chi ha un cuore giovane

Al termine dell’udienza generale papa Francesco oggi ha elevato la ‘supplica’ alla Madonna del Rosario di Pompei per la pace nel mondo: “Oggi la Chiesa eleva la preghiera della ‘Supplica’ alla Madonna del Rosario di Pompei. Invito tutti ad invocare l’intercessione di Maria, affinché il Signore conceda pace al mondo intero, specialmente alla cara e martoriata Ucraina, alla Palestina, e a Israele, al Myanmar. Affido in particolare alla nostra Madre i giovani, gli ammalati, gli anziani e gli sposi novelli che oggi sono qui presenti, ed esorto tutti a valorizzare in questo mese di maggio la preghiera del santo Rosario”.

Ugualmente ai fedeli francesi ha ripetuto che la pace è possibile: “Di fronte a un futuro che a volte può sembrare buio, cerchiamo di essere seminatori di speranza e tessitori di bene, convinti che la vita può essere vissuta in modo diverso e che la pace è possibile”.

In precedenza In precedenza, proseguendo il ciclo su ‘I vizi e le virtù’, il papa aveva dedicato la catechesi alla speranza, secondo la definizione del Catechismo della Chiesa cattolica, paragonandola ad un anelito di felicità:

“Se non c’è un senso al viaggio della vita, se all’inizio e alla fine c’è il nulla, allora ci domandiamo perché mai dovremmo camminare: da qui nasce la disperazione dell’uomo, la sensazione della inutilità di tutto. E molti potrebbero ribellarsi: mi sono sforzato di essere virtuoso, di essere prudente, giusto, forte, temperante. Sono stato anche un uomo o una donna di fede… A che cosa è servito il mio combattimento se tutto finisce qui? Se manca la speranza, tutte le altre virtù rischiano di sgretolarsi e di finire in cenere”.

E la speranza per il cristiano appoggia sulla vita risorta: “Il cristiano ha speranza non per merito proprio. Se crede nel futuro è perché Cristo è morto e risorto e ci ha donato il suo Spirito. ‘La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente’. In questo senso, ancora una volta, noi diciamo che la speranza è una virtù teologale: non promana da noi, non è una ostinazione di cui vogliamo autoconvincerci, ma è un regalo che viene direttamente da Dio”.

Infatti, secondo l’apostolo Paolo, se non ci fosse stata la Resurrezione la vita sarebbe stata vana: “A tanti cristiani dubbiosi, che non erano completamente rinati alla speranza, l’apostolo Paolo pone davanti la logica nuova dell’esperienza cristiana:

‘Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. Perciò anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini’. E’ come se dicesse: se credi nella risurrezione di Cristo, allora sai con certezza che nessuna sconfitta e nessuna morte è per sempre. Ma se non credi nella risurrezione di Cristo, allora tutto diventa vuoto, perfino la predicazione degli Apostoli”.

Inoltre il papa sottolinea che non credere alla speranza è un peccato: “La speranza è una virtù contro cui pecchiamo spesso: nelle nostre cattive nostalgie, nelle nostre malinconie, quando pensiamo che le felicità del passato siano sepolte per sempre. Pecchiamo contro la speranza quando ci abbattiamo davanti ai nostri peccati, dimenticando che Dio è misericordioso ed è più grande del nostro cuore”.

Credere alla speranza significa quindi credere nel perdono: “Non dimentichiamo questo, fratelli e sorelle: Dio perdona tutto, Dio perdona sempre. Siamo noi a stancarci di chiedere perdono. Ma non dimentichiamo questa verità: Dio perdona tutto, Dio perdona sempre. Pecchiamo contro la speranza quando ci abbattiamo davanti ai nostri peccati; pecchiamo contro la speranza quando in noi l’autunno cancella la primavera; quando l’amore di Dio cessa di essere un fuoco eterno e non abbiamo il coraggio di prendere decisioni che ci impegnano per tutta la vita”.

E tutti hanno bisogno di speranza: “Il mondo ha bisogno della speranza, come ha tanto bisogno della pazienza, una virtù che cammina a stretto contatto con la speranza. Gli uomini pazienti sono tessitori di bene. Desiderano ostinatamente la pace, e anche se alcuni hanno fretta e vorrebbero tutto e subito, la pazienza ha la capacità dell’attesa. Anche quando intorno a sé molti hanno ceduto alla disillusione, chi è animato dalla speranza ed è paziente è in grado di attraversare le notti più buie. Speranza e pazienza vanno insieme”.

Ha concluso la catechesi con l’invito ad esclamare le parole di Simeone nel cantico, appena visto Gesù nel tempio: “La speranza è la virtù di chi ha il cuore giovane; e qui non conta l’età anagrafica. Perché ci sono anche vecchi con gli occhi pieni di luce, che vivono una tensione permanente verso il futuro. Pensiamo a quei due grandi vecchi del Vangelo, Simeone e Anna: non si stancarono mai di attendere e videro l’ultimo tratto del loro cammino benedetto dall’incontro con il Messia, che riconobbero in Gesù, portato al Tempio dai suoi genitori. Che grazia se fosse così per tutti noi!”

(Foto: Santa Sede)

Da Assisi una lettura interreligiosa del Cantico di san Francesco d’Assisi

“Prendiamo in esame un testo chiave di san Francesco d’Assisi, il ‘Cantico di frate sole’ (o ‘Cantico delle Creature’) ed alcune delle sue tante possibili riletture, sul versante interreligioso. Francesco d’Assisi è un simbolo del dialogo interreligioso, fra l’altro per l’incontro in Egitto con il Sultano mussulmano al-Malik al-Kamil durante la quinta Crociata (1219)… L’obiettivo del corso macroecumenico per la ‘casa comune’,nel quadro della denominazione della Cittadella di Assisi, ‘Cittadella Laudato Sì’, è di favorire occasioni di incontro, di dialogo, riflessione tra esponenti ed esperti di tutte le religioni del mondo sull’ecologia integrale, nella convinzione che dal patrimonio di fede di ogni confessione religiosa si possano trarre insegnamenti e percorsi inediti. Ed il ‘Cantico di frate Sole’ offre molte suggestioni al riguardo”.

Il corso ‘Il Cantico delle fedi’, che si svolge online, inizia oggi pomeriggio con la scrittrice di racconti d’infanzia e vincitrice del Premio Andersen, Giusi Quarenghi, che propone una lettura laica del cantico del santo assisate; proseguirà giovedì 2 maggio con il missionario saveriano, Tiziano Tosolini, direttore del Centro Studi Asiatico di Osaka e docente di filosofia al Centro Studi Interreligiosi all’Università Gregoriana di Roma, che illustrerà la lettura buddhista del Cantico; giovedì 12 settembre il teologo. Adnane Mokrani, docente di studi islamici e di relazioni islamo-cristiane, offrirà una lettura mussulmana del Cantico; infine, giovedì 7 novembre la registra teatrale e studiosa di ebraismo, Miriam Camerini, proporrà ne lettura ebraica.

Al presidente della Pro Civitate Christiana di Assisi, don Tonio Dell’Olio, chiediamo di spiegarci in cosa consiste ‘il Cantico delle fedi’: “E’ la ricerca sapiente delle tracce e delle ispirazioni che permeano il ‘Cantico di Frate Sole’ di Francesco d’Assisi nella spiritualità e nel patrimonio di fede delle religioni. Il cantico delle fedi è un ‘laboratorio macroecumenico per la casa comune” composto da ricercatori appartenenti a diverse religioni e da esperti. A breve inizierà un Corso di formazione online che, organizzato dal Laboratorio, si rivolge primariamente agli insegnanti ma anche a tutte le donne e gli uomini che desiderano far crescere la propria conoscenza (e la propria esperienza) di fede e di vita in relazione con l’ambiente alla luce del Cantico delle creature”.

Quante ‘letture’ può offrire il ‘Cantico delle Creature’?

“Il ‘Cantico delle creature’ è un portone spalancato verso il cielo e verso la terra, verso Dio e verso tutte le sue creature. C’è una lettura teologica ma c’è una parola affidata al creato che si rivolge a Dio con i suoni del vento e dell’acqua, col crepitìo del fuoco e con il calore dei raggi del sole. Oggi si direbbe che si tratta di una lettura immersiva in cui nessuno può pretendere la delega di parlare a nome di altri ma tutti gli elementi del creato hanno dignità di parola perché fratelli e sorelle, talvolta anche madri. Poi il ‘Cantico delle Creature’ propone una rilettura del perdono e della morte con cui ci si confronta come donne e uomini in cammino sulla terra e nella storia”.

Come leggere oggi il ‘Cantico delle Creature’?

“Prima che leggerlo bisognerebbe ascoltarlo. Papa Francesco l’ha fatto pulsare in quell’enciclica stupenda che porta il nome del Cantico e tocca i nodi nevralgici del cambiamento d’epoca che stiamo vivendo. Ci insegna a rileggere il Cantico non solo come un inno della natura ma come una lente che ci educa a guardarci dentro intimamente, personalmente e come umanità”.

Per quale motivo lodare Dio per tutte le sue creature?

“Maturiamo quella lode come un’esigenza prima che come un dovere. Quando ci immergiamo nel creato non possiamo che aprirci al sentimento della gratitudine e della lode perché scopriamo che tutto è dono, anzi espressione gratuita dell’amore del Creatore”.

Perché la nuova denominazione ‘Cittadella Laudato Sì’?

“Innanzitutto per la collocazione assisana che è tutt’altro che una mera coincidenza: è la scelta di una spiritualità e uno stile di vita. Inoltre per rafforzare un’attenzione che la Pro Civitate Christiana, che è l’associazione che anima le iniziative e le attività di ‘Cittadella Laudato sì’, ha sempre riservato alla cura della casa comune. Basterebbe scorrere i titoli e i relatori dei convegni e dei Corsi di studio che da più di 80 anni vengono proposti, per rendersene conto. Infine ci sembra che in questo modo riusciamo a offrire un contributo specifico alla richiesta che ci viene formulata dal magistero di Papa Francesco”.

Eppoi ad agosto il corso ‘Cum tucte le creature: natura e contronatura’: in quale modo rapportarci con il creato?

“L’attenzione all’ecologia integrale non può prescindere dalla denuncia dei danni che vengono arrecati quotidianamente all’ambiente e alle persone vittime di sfruttamento, guerre e privazione di diritti. C’è un greenwashing diffuso e pervasivo che non può essere assecondato e va smascherato a 360 gradi. Inoltre crediamo che uno dei punti fermi del cammino verso una nuova coscienza ecologica consista nel sentirsi parte del creato: né superiori dominatori, nè dirimpettai”.

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