Prorogato l’accordo Santa Sede-Cina, mentre Xi Jinping promette miracoli che stupiranno il mondo e i cattolici cinesi continuano a subire persecuzioni

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 23.10.2022 – Vik van Brantegem] – Mentre Xi Jinping viene confermato Segretario del Partito Comunista Cinese e Presidente della Repubblica Popolare Cinese (e promette miracoli al Paese), è stato prorogato per altri due anni l’accordo fra Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese sulle nomine dei vescovi, anche se i cattolici cinesi continuano a subire persecuzioni. Il punto problematico cruciale con l’Accordo è che era, è e rimane segreto, quando fu firmato e con le due proroghe fino ad oggi.

«Permane la segretezza assoluta. In realtà, ci sono siti specializzati, che tutti sanno essere collegati all’intelligence americana, dove prima o poi tutti i documenti segreti del Partito comunista cinese vengono pubblicati, anche documenti segretissimi, come le istruzioni alla polizia su come trattare i dissidenti. Questo documento invece non è mai uscito fuori e si dice che il suo contenuto sia conosciuto al massimo da dieci persone. Ci sono misure straordinarie per la sua segretezza, che funzionano anche contro chi riesce normalmente a impadronirsi di altri documenti» (Massimo Introvigne – Il Sussidiario).

Da tener presente, in riferimento a quanto sul contenuto dell’Accordo viene fatto trapelare – sotto dettato, attraverso interviste pilotate o con veline – il classico detto curiale: «Chi sa non parla e chi parla non sa». Cui prodest (a chi giova) questa ferrea segretezza? Cui bono (chi ne beneficia)?

Il Presidente Xi Jinping, chiudendo il XX Congresso del PCC, ha dichiarato: «Siamo pienamente fiduciosi e capaci di creare miracoli nuovi e ancora più grandi nel nuovo viaggio della nuova era, miracoli che stupiranno il mondo» e ha precisato che «i successi raggiunti nel secolo scorso dal Partito Comunista Cinese sono stati davvero notevoli e, a più di cento anni dalla sua fondazione, il nostro partito è ancora nel fiore degli anni».

Intanto, neanche la Santa Sede credo nel miracolo di un cambiamento fondamentale e sostanziale nella politica del regime comunista cinese verso le religioni.

A seguito dei nostri articoli precedenti [QUI e QUI], ritorniamo sulla questione delle relazioni tra la Santa Sede e il regime comunista della Cina continentale, con:

  • un commento di Stefano Chiappalone su La Nuova Bussola Quotidiana;
  • l’intervista a Massimo Introvigne pubblicata da Il Sussidiario a cura di Paolo Vites;
  • l’intervista a Gianni Valente pubblicata da China Files a cura di Maria Novella Rossi, che – notando che la diplomazia sino-pontificia era al lavoro nei giorni del Congresso del PCC – si è posta la domanda: «Casualità o una scelta dall’alto valore simbolico?

Stefano Chiappalone, nato ad Avezzano (L’Aquila) nel 1982. Trasferitosi per gli studi a Pisa dove si è laureato in Storia Medievale alla Facoltà di lettere, oggi vive in Brianza facendo l’editor e il traduttore, collaborando con La Nuova Bussola Quotidiana, al sito di Alleanza Cattolica dove cura la rubrica intitolata Via Pulchritudinis, all’emittente Radio Maria su cui conduce trasmissioni di attualità e cultura religiosa, dedicandosi a pieno ritmo anche alla pittura. Tra altro ha pubblicato Alle origini della bellezza (Cantagalli 2016), Scacco matto alla morte (Fede & Cultura 2022) e ha curato Fulton Sheen. Abbandonatevi a Cristo. Scritti e meditazioni (Fede & Cultura 2022).

Massimo Introvigne, nato a Roma nel 1955, sociologo e saggista. Direttore Fondatore del Centro studi sulle nuove religioni (CESNUR), una rete internazionale di studiosi di nuovi movimenti religiosi. È membro della sezione di Sociologia della religione dell’Associazione italiana di sociologia ed è autore di oltre settanta libri, tra i quali l’Enciclopedia delle religioni in Italia, e centinaia di articoli nel campo della sociologia della religione. È stato il responsabile nazionale vicario di Alleanza Cattolica fino al 2016.

Paolo Vites, nato a Lavagna (Genova) nel 1962, residente a Milano. È redattore del quotidiano online Il Sussidiario dal settembre 2010. Ha lavorato presso diversi centri stampa dal 1985 al 1990. Ha collaborato con le maggiori testate musicali italiane, tra cui Buscadero e Mucchio Selvaggio, con l’americana On The Tracks, con diversi quotidiani nazionali ed è stato redattore del mensile musicale JAM – Viaggio nella musica dall’ottobre 1996 al luglio 2009.

Gianni Valente, nato a Roma nel 1963, è giornalista e saggista. Laureato in Storia dell’Oriente cristiano presso la facoltà di Lettere e Filosofia della Seconda Università di Roma Tor Vergata. Nel maggio 1989 ha iniziato a lavorare alla rivista mensile 30Giorni nella Chiesa e nel mondo. Dal settembre 2012 lavora presso l’Agenzia missionaria Fides del Dicastero per l’evangelizzazione, di cui è diventato Direttore il 10 settembre 2022. È autore di libri e saggi tra cui Il Tesoro che fiorisce. Storie di cristiani in Cina (Trenta Giorni 2002), con Massimo Quattrucci.

Maria Novella Rossi è sinologa e giornalista nella redazione esteri di RAI Tg2. Laureata in Lingua e Cultura Cinese, Dottore di Ricerca su “Gesuiti in Cina”, è stata in Cina la prima volta con una borsa di studio del Ministero degli Esteri dal 1984 al 1986; quindi è tornata molte volte in Cina per studio e per lavoro; è autrice di servizi e reportage sulla vita e la cultura in Cina trasmessi da RAI Tg2 Dossier e da Rai Storia. Autrice anche di reportage sulle comunità cinesi in Italia. Corrispondente temporanea nella sede di Pechino per le testate RAI in sostituzione di Claudio Pagliara, attualmente continua a occuparsi di esteri con particolare attenzione alla Cina e all’Asia.

Il Cardinale Joseph Zen Ze-kiun consegna una lettera a Papa Francesco.

Commento di Stefano Chiappalone su La Nuova Bussola Quotidiana, 22 ottobre 2022 [QUI].

Centro dell’accordo sono le nomine episcopali, per garantire la “legittimità” anche da parte vaticana dei vescovi cosiddetti “patriottici”, cioè di nomina governativa. In tal modo, tutti i vescovi presenti in Cina sono riconosciuti anche dalla Santa Sede a svolgere il ministero, assicurando così la liceità e la validità dei sacramenti. Il che naturalmente non esclude la persistenza di gravi problemi, la prima delle quali è che le nomine episcopali vengono in qualche misura concordate con il regime.

«L’intervento delle autorità civili nelle scelte dei vescovi si è manifestato varie volte e in varie forme nella storia», dice il Card. Antonio Tagle [già Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli], intervistato da Fides. «Anche nelle Filippine, il mio Paese», sottolinea, «vigevano per lungo tempo le regole del “Patronato Real”, con cui l’organizzazione della Chiesa era sottomessa al potere reale spagnolo. Anche San Francesco Saverio e i Gesuiti conducevano la loro missione in India sotto il patrocinio della Corona portoghese…». Vero, ma non si trattava di regimi fondati su un’ideologia atea, il che costituisce quantomeno un’anomalia.

Se la disponibilità al dialogo, da parte della Santa Sede, è chiara, lo è molto meno quella cinese. Nonostante l’accordo, determinate restrizioni non sono diminuite ma aumentate, stando a quanto riportava tre mesi fa Leone Grotti su Tempi: «I minori di 18 anni non possono entrare in chiesa, né partecipare al catechismo, a sacerdoti e vescovi è richiesta l’iscrizione all’Associazione patriottica». E cita l’immagine evocata da una fonte vaticana per cui «non è un grande accordo ma non sappiamo quale sarà la situazione tra 10 o 20 anni. Potrebbe essere anche peggio. Dopo saremo ancora come un uccello in gabbia, ma la gabbia sarà più grande. Non è facile. Le sofferenze continueranno. Dovremo combattere per aumentare anche di un centimetro le dimensioni della gabbia».

Per ora in gabbia restano diversi presuli – ne traccia un elenco Stefano Magni su queste pagine [Accordo Cina-Vaticano. Piccoli passi… indietro], per esempio i Vescovi di Xinxiang e di Xuanhua –, mentre l’ultranovantenne Cardinale Joseph Zen è sotto processo.

“Se è stato rinnovato, perché le persecuzioni continuano?”
Intervista a cura di Paolo Vites a Massimo Introvigne pubblicata da Il Sussidiario [QUI]


Paolo Vites: Alla fine di agosto una delegazione vaticana guidata da monsignor Claudio Maria Celli, presidente emerito del Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali, sarebbe arrivata in Cina, secondo quanto dice l’agenzia di stampa Nova, per trattare per conto del Papa il rinnovo del misterioso accordo siglato nel 2018 tra la Santa Sede e Pechino sulla nomina dei vescovi. Accordo che in sostanza, come ci ha spiegato in questa intervista Massimo Introvigne, “ha permesso ai cattolici dissidenti di uscire dalla clandestinità e ha tolto ogni scomunica alla cosiddetta Chiesa patriottica cinese in cambio della cessazione della persecuzione nei confronti di chi non riconosceva la chiesa del partito comunista”. Un accordo fortemente criticato e soprattutto totalmente segreto nei suoi contenuti precisi: “Quello che nessuno si chiede è che cosa sarebbe successo ai cattolici usciti dalla clandestinità se l’accordo non fosse stato rinnovato”.
Si sa qualcosa del nuovo accordo? Il segretario di Stato della Santa Sede, cardinale Pietro Parolin, aveva espresso la speranza che il rinnovo dell’intesa con Pechino sarebbe stata l’occasione per “fare precisazioni o rivedere alcuni punti”.
Massimo Introvigne: Permane la segretezza assoluta. In realtà, ci sono siti specializzati, che tutti sanno essere collegati all’intelligence americana, dove prima o poi tutti i documenti segreti del Partito comunista cinese vengono pubblicati, anche documenti segretissimi, come le istruzioni alla polizia su come trattare i dissidenti. Questo documento invece non è mai uscito fuori e si dice che il suo contenuto sia conosciuto al massimo da dieci persone. Ci sono misure straordinarie per la sua segretezza, che funzionano anche contro chi riesce normalmente a impadronirsi di altri documenti.

Paolo Vites: Per cui non possiamo dire se ci sono novità rispetto al passato?
Massimo Introvigne: Credo non ci siano novità, come il Papa e Parolin avevano fatto intendere. Immagino ci si sia limitati a firmare un documento composto di una sola riga, del tipo “si conferma che per altri due anni si prosegue”. L’accordo da conoscere sarebbe quello originario. Sul rinnovo sussistono tutte le criticità che osservatori di tutto il mondo hanno avanzato contro questa nuova firma.

Paolo Vites: Quali esattamente?
Massimo Introvigne: Non è stato affrontato sicuramente nessuno dei problemi relativi a quei cattolici che non accettano l’accordo, ma che la Santa Sede dice non vengono scomunicati e restano ancora cattolici, sebbene cattolici che sbagliano, secondo il commento di Parolin. Continuano a esserci cattolici in prigione e perseguitati. Il caso del cardinale Zen [QUI] – non sappiamo neppure se l’accordo è operativo anche a Hong Kong – è esemplare del fatto che gli attacchi e le persecuzioni continuano. Questi problemi non sono risolti.

Paolo Vites: La Santa Sede ne esce sconfitta?
Massimo Introvigne: Credo che nessuno si sia posto il problema dell’altro scenario: cosa sarebbe successo se l’accordo non fosse stato rinnovato?

Paolo Vites: Intende dire che occorre chiedersi cosa sarebbe successo ai cattolici emersi dalla clandestinità nel 2018 e che si sono fidati del Vaticano?
Massimo Introvigne: Ammesso che non fossero già noti alla polizia allora, adesso lo sono, per cui non possono tornare in clandestinità. Una volta firmato l’accordo del 2018 si è creata una situazione come fra l’incudine e il martello.

Paolo Vites: Ci spieghi.
Massimo Introvigne: Rinnovare l’accordo espone alle critiche: ad esempio, che il governo cinese non sia mai stato in buona fede e non abbia mai risolto i problemi pendenti, né allentato la morsa sui dissidenti. D’altro canto, non rinnovarlo avrebbe portato a conseguenze a cui nessuno pensa. Come ho detto prima, i cattolici riemersi che fine avrebbero fatto? È facile, per così dire, rimanere in clandestinità; ma una volta che se ne esce, poi non è più possibile tornarvi.

Paolo Vites: Non conoscendone il contenuto, non possiamo neanche dire se Pechino rispetta l’accordo oppure no, non crede?
Massimo Introvigne: Certo, però dubito che ci sia scritto che bisogna mettere in prigione i cattolici dissidenti. Quello che sappiamo dal Papa e dal documento interpretativo, che almeno dice qualcosa, emanato dalla Santa Sede nel 2019 [QUI], è che lo spirito dell’accordo sarebbe stato un atteggiamento più rispettoso nei confronti dei dissidenti. Ma con certezza possiamo dire che questo non si è verificato. L’unica cosa che si è verificata sono frutti formali, ad esempio che i vescovi della chiesa patriottica non sono più scomunicati formalmente e non c’è più lo scisma. Questa è una cosa cui la Santa Sede evidentemente tiene molto.

Paolo Vites: È vero che la chiesa patriottica non ha mai fatto alcun riferimento a questo accordo?
Massimo Introvigne: Sì, è vero. Anzi si è tenuto recentemente un congresso della chiesa patriottica in cui non si è mai fatto il benché minimo cenno al Papa e al Vaticano. Probabilmente la diplomazia vaticana ragiona in termini di decenni, e vorrà vedere gli effetti sul lunghissimo termine, anche se sul breve sembrano negativi. Per il Vaticano dire formalmente che non c’è più una chiesa scismatica è il risultato migliore che potesse ottenere.

La diplomazia sino-vaticana all’ombra del Congresso
Intervista a cura di Maria Novella Rossi a Gianni Valente pubblicata da China Files [QUI]


Maria Novella Rossi: “Il cuore dell’accordo certamente ha a che fare anche con il consolidamento di un buon dialogo istituzionale e culturale, ma riguarda principalmente i beni essenziali per la vita quotidiana della Chiesa in Cina”. Così il Cardinale Parolin annuncia il rinnovo dell’accordo sulle nomine dei vescovi stretto nel 2018 tra Santa Sede e Repubblica Popolare Cinese, prorogato già nel 2020 e ora per altri due anni fino a 2024.
Sono ancora 20 i vescovi clandestini nella Repubblica Popolare Cinese e  su questi il Vaticano dovrà lavorare caso per caso , così come sono ancora molte le aree di sofferenza per i cattolici in Cina man mano che il rinnovo dell’accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi  appena annunciato andrà avanti nelle trattative. La proroga di questo grande passo in avanti avvenuto nel 2018, quando Cina e Vaticano raggiunsero una prima intesa provvisoria sulla nomina dei vescovi scelti in accordo con il Papa, e dunque con la chiesa di Roma, è comunque un successo, sebbene il confronto tra le due diplomazie sia lento e faticoso. Trattative segrete che partono da lontano: il Vaticano e la Cina non hanno rapporti diplomatici da quando Mao prese il potere e il Nunzio Antonio Riberi fu costretto ad abbandonare il Paese due anni più tardi nel 1951. Da allora la vita dei cattolici nella Repubblica Popolare è stata a dir poco difficile, soprattutto negli anni della Rivoluzione Culturale quando si raggiunse il picco della persecuzione nei confronti di una serie di simboli considerati borghesi e reazionari, a maggior ragione nei confronti delle confessioni religiose straniere, a cominciare dalla sia pur esigua comunità dei cattolici. Con l’avvento di Deng Xiaoping al potere e l’apertura all’Occidente la pressione sui cattolici si è allentata e le comunità cattoliche ricostituite, ma il cammino con alti e bassi, continua a procedere con lentezza.
Ma nonostante tutto oggi i confini tra chiesa cattolica ufficiale cinese , quella Patriottica controllata dal Partito, e quella clandestina o sotterranea,  che fa riferimento al Papa, sono sempre più sfumati e le due realtà confluiscono l’una nell’altra man mano che le cose cominciano a cambiare sull’onda dei nuovi accordi tra Santa Sede e Repubblica Popolare. Secondo i dati di Asia News del Consiglio dei Vescovi Cinesi legato al governo, in Cina ci sono 98 diocesi, 4.202 chiese e altri 2.238 siti attivi con 66 vescovi.
Ma per far luce su come procedono queste faticose trattative tra Vaticano e Repubblica Popolare Cinese e soprattutto sul significato dell’azione del papa nel quadro geopolitico mondiale abbiamo intervistato Gianni Valente, direttore dell’agenzia vaticana Fides».
Che significato ha e che cosa comporta  la proroga di questo accordo nei rapporti tra Cina e Vaticano?
Gianni Valente: Dalla firma dell’accordo nel 2018 in Cina non si sono più verificate ordinazioni episcopali illegittime, quelle celebrate senza il consenso del papa. Nello stesso lasso di tempo, sei vescovi considerati clandestini, cioè consacrati in passato dalla chiesa di Roma ma senza l’approvazione della chiesa patriottica cinese, hanno chiesto e ottenuto il riconoscimento pubblico del loro ruolo anche da parte delle autorità politiche di Pechino. Restano ancora 20 vescovi clandestini, per lo più anziani, una questione spinosa di cui il Vaticano dovrà occuparsi caso per caso. Detto questo il rinnovo dell’accordo, è innanzitutto il segno che il processo iniziato tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese va avanti. Va avanti chiaramente ancora su un punto specifico circoscritto che è quello della nomina e scelta dei vescovi cattolici cinesi. L’accordo procede nel senso che non ci sono stati nel frattempo incidenti di percorso tali da portare al suo fallimento, non ci sono state mosse unilaterali che l’avrebbero fatto fallire. Per di più è sempre stato detto che questo accordo era un punto di partenza e non un punto di arrivo ma che comunque affrontava un nodo nevralgico della nomina dei vescovi cinesi fatte dalla chiesa patriottica senza il consenso del papa e questo aveva creato delle lacerazioni nella comunità cattolica cinese. Ad ogni modo si è sempre detto anche che questo accordo veniva fatto fuori da ogni trionfalismo sapendo bene che ci sono tanti problemi da risolvere ma confidando nel fatto che piano piano nella logica dei piccoli passi si sarebbero potute affrontare molte questioni insolute. Negli ultimi due anni il Covid ha creato ulteriori problemi, gli incontri sono stati più rari e questo ha rallentato le trattative.

Maria Novella Rossi: Che riflessi può avere l’azione del Papa e della diplomazia vaticana nel quadro geopolitico mondiale, ora che i paesi atlantisti si sono schierati compatti contro la Cina?
Gianni Valente: La posizione di Papa Francesco con le sue continue dichiarazioni di voler andare in Cina e incontrare il Presidente Xi Jinping, con le sue continue manifestazioni  di simpatia nei confronti del popolo cinese ha naturalmente un riflesso geopolitico perché è appunto il segno che, come ha sottolineato lei nella sua domanda, in questo momento le forze atlantiste sembrano quasi avere come orizzonte comune un atteggiamento di preoccupazione se non di  ostilità nei confronti della Cina. In questo senso Papa Francesco ponendosi nel solco di una tradizione che risale almeno all’ultimo secolo, alla lettera apostolica Maximum illud di Benedetto XV del 30 novembre 1919, rende evidente che il cattolicesimo non può essere considerato il correlato religioso dell’Occidente nel rapporto con questi mondi non occidentali, che poi è qualcosa che corrisponde alla natura più intima del cattolicesimo: il cattolicesimo non è il riverbero di un assetto di civiltà. Tutta la storia del cattolicesimo pur avendo un ruolo fondamentale nell’emergere della società occidentale, ha comunque dimostrato in virtù della sua natura universale e del fatto che la promessa di salvezza del vangelo è rivolta a tutti gli uomini, questa capacità di adattamento anche in situazioni in cui la struttura politica, la mentalità comune e anche gli orizzonti culturali delle popolazioni non sono elementi state plasmati dal cattolicesimo, come avviene anche adesso in tanti paesi dell’Asia. Pensiamo al Medio Oriente e alla lunga storia delle Chiese apostoliche in Paesi che sono stati invece plasmati dal Corano e dall’Islam. Tutto questo è in gioco nei rapporti con la Cina, e questa è la scommessa di dimostrare che il cattolicesimo può vivere anche in contesti politici lontani dal modello occidentale.
E in effetti l’accordo rinnovato oggi  che ha come orizzonte quello di favorire il dialogo tra Santa Sede e Repubblica Popolare Cinese, chiaramente avviene in un contesto geopolitico che sembra parlare un linguaggio assolutamente contrario, in un momento di opposizione e di scontro tra Oriente e Occidente e quindi in questo senso la scelta di papa Francesco è significativa e  in qualche modo balza agli occhi. Bisogna precisare che la prospettiva di Bergoglio non si può considerare una svolta in sé perché anche i suoi predecessori avevano abbracciato questo percorso, a cominciare da Giovanni Paolo II e poi da papa Benedetto XVI con la famosa lettera ai cattolici cinesi del 2007. Tutto questo era partito nella fase storica dopo la Rivoluzione Culturale,  che era stato il momento più duro di persecuzione anche per i cattolici cinesi, e poi con Deng Xiaoping quando c’era stata l’apertura della Cina all’Occidente le comunità si erano aperte, le diocesi  si erano ricostituite, la vita ecclesiale era ripartita; davanti a questa rifioritura tutti i papi da allora in poi hanno visto una possibilità di dialogo con la Cina, anche secondo l’intuizione della diplomazia vaticana e la percezione che si è fatta sempre più nitida che è inutile nel contesto politico cinese avere un atteggiamento di contrasto ideologico nei confronti di un potere strutturato e che ha una sua legittimità internazionale. Nella lettera del 2007 di Benedetto XVI è scritto esplicitamente che la Santa Sede, la Chiesa Cattolica, non ha come sua missione specifica quella di cambiare i regimi.

Maria Novella Rossi: Qual è la situazione sul campo dei cattolici cinesi? In che misura esiste ancora la chiesa clandestina? Ci sono ancora molti arresti?
Gianni Valente: La Cina è grande quindi la situazione varia anche in base ai luoghi e alla lungimiranza delle autorità locali. Ci sono naturalmente dei punti di sofferenza in cui le autorità locali fanno una pressione indebita sulle comunità cattoliche però io non condivido la rappresentazione dello scenario cinese come una persecuzione sistematica delle comunità cattoliche. È chiaro che la struttura politica è quella, il potere è strutturato con un rigido sistema di controllo sociale e questo vale per tutti i cittadini cinesi, ma c’è un vissuto reale ecclesiale nelle parrocchie, nella diocesi, nelle cattedrali, un vissuto di carità di opere che sfugge totalmente al mainstream mediatico che all’interno di forti difficoltà e ingerenze va avanti. Negare che ci sia questa realtà è sbagliato e dal punto di vista degli osservatori è una forma di travisamento della realtà.
Quanto alla clandestinità è chiaro che si è creata questa lacerazione tra comunità cattoliche in aree in cui si agisce in ottemperanza ai dettami politici del governo cinese e tra aree che invece si sottraggono al controllo del Partito. Però la questione adesso continua ad essere soprattutto che ci sono dei vescovi clandestini per i quali la clandestinità consiste in qualche modo nel fatto che non vengono riconosciuti dal governo cinese e quindi hanno degli ostacoli a esercitare il loro ministero episcopale; dunque ci sono delle comunità che ancora vengono definite clandestine, è vero, ma la clandestinità non consiste in una vita nelle catacombe. Anche perché lo Stato cinese con il suo potente apparato di controllo sociale sa benissimo quali sono queste comunità sulle quali sicuramente c’è ancora molta pressione, di braccio di ferro: ad esempio la richiesta da parte del governo che queste comunità si registrino ufficialmente presso le autorità civili magari sottoscrivendo dei formulari che per alcuni di questi cattolici clandestini sono motivo di conflitto con la propria coscienza. Ma il nodo più consistente come dicevamo riguarda i vescovi clandestini, che sono meno di 20, molto anziani, casi irrisolti per i quali dovrà esserci una trattativa caso per caso. Un tema che è nell’orizzonte principale dell’accordo, ma per quanto riguarda i vescovi ordinati in Cina dopo l’accordo tutti ora sono in comunione con la chiesa di Roma.
È chiaro che dopo anni di lacerazione ci sono delle ferite che saranno lunghe da rimarginare, come coloro che operavano in osservanza delle norme del partito e quindi erano visti come deboli o traditori o quelli invece fedeli al Papa, bollati a loro volta come traditori della patria. Insomma lacerazioni profonde che devono essere lentamente sanate e per le quali questo accordo ha gettato le basi.

Maria Novella Rossi: È casuale secondo lei che l’annuncio del prolungamento dell’accordo venga dato dal Vaticano proprio quando si svolge il XX Congresso del PCC, che tra l’altro dovrebbe riconfermare con un inedito terzo mandato Xi Jinping? O è una precisa scelta diplomatica?
Gianni Valente: Si certo è chiaro che c’è un valore simbolico in questa coincidenza dell’annuncio del rinnovo dell’accordo e il Congresso del PCC con la conferma di Xi Jinping. Questa è un po’ una scommessa del futuro: questo accordo e anche questo approccio dialogante della Santa Sede avviene nella fase in cui le dinamiche del potere cinese hanno raggiunto il culmine dei processi di accentramento. Vedremo cosa succederà: la scommessa è capire se, come accennavo prima, all’interno delle condizioni date con una struttura di potere che si basa su un forte controllo, la vita ecclesiale della comunità cattolica nei suoi tratti elementari può continuare. Io dico che questo non è impossibile a priori: quello che è successo nel passato con fasi di persecuzione violenta è stato vissuto  anche da altre fasce della popolazione cinese ad esempio durante la Rivoluzione Culturale in cui hanno sofferto tanti se non tutti i cittadini cinesi; poi chiaramente le lacerazioni che hanno continuato successivamente a lacerare e a far soffrire la Chiesa sono state l’eccesso di controllo e le ingerenze su questioni nevralgiche come appunto la nomina dei vescovi, però poi sono riprese le celebrazioni delle messe e la somministrazione dei sacramenti… Ecco appunto questa è la scommessa del futuro, proprio sul fatto che il cattolicesimo può vivere in contesti diversi; non ci sono delle condizioni di carattere ideologico, strutturale o di configurazione politica che in qualche modo debbano essere considerate delle condizioni a priori senza le quali la Chiesa  non può vivere. Ecco, questo è quello che sta succedendo in Cina e quindi in questo senso è interessante verificare quello che succederà nel futuro perché sebbene la comunità cattolica in Cina sia piccola confrontata alla vastità del Paese e alla popolazione, comunque è una comunità significativa perché se andrà avanti in questo senso la Chiesa cattolica dimostrerà di poter vivere in condizioni ambientali diverse se non opposte.
Infine vorrei anche osservare su questo che le posizioni di Papa Francesco non sono una sorta di cerchiobottismo, appunto non bisogna far arrabbiare l’imperatore d’Occidente e tanto meno quello d’Oriente, no, in qualche modo in questo approccio emerge  proprio la natura stessa del cattolicesimo quindi la sua attitudine a cercare di essere presente anche in contesti diversi e poi soprattutto di non identificare il cattolicesimo con alcune forme di strutturazione sociale e politica delle diverse civiltà.

Maria Novella Rossi: La prudenza, il linguaggio, alcune azioni ad alto valore simbolico. Io ho sempre colto molte similitudini tra la diplomazia vaticana e quella del Partito Comunista. A proposito del Congresso del PCC molti giornalisti ma anche qualche studioso lo ha definito Conclave il Congresso, lei cosa ne pensa?
Gianni Valente: La diplomazia vaticana ha una sua apertura universale che dipende dal fatto che non ha interessi geopolitici specifici da difendere, ha dei suoi interessi si, cioè custodire e aiutare le comunità cattoliche in tutto il mondo , ma non avendo un esercito, non avendo interessi economici, paradossalmente ha maggior spazio di manovra e forse certe modalità di lungo corso della diplomazia vaticana come appunto la pazienza, l’attitudine al negoziato, il cercare sempre le soluzioni politiche, il non umiliare, rifuggire le dinamiche per cui nei conflitti anche politici e geopolitici c’è sempre l’umiliazione dello sconfitto, ecco tutto questo mette la diplomazia  vaticana in una posizione privilegiata nella sua proiezione geopolitica che le consente in qualche modo di offrire soluzioni super partes, non essendo un’entità geopolitica. In questo mondo così confuso, diviso, pericolante come quello che stiamo vivendo, la Santa Sede può diventare paradossalmente un interlocutore interessante anche per le forze che ora sono in conflitto, pensiamo alla Cina e l’Occidente, o la Russia: di questi tempi Papa Francesco viene messo continuamente sotto torchio da ambienti che esibiscono una presunta equidistanza e che sono critici nei suoi confronti. Ma lui sta semplicemente esercitando quello che è l’approccio classico della diplomazia vaticana,  per cui nelle situazioni di scontro si tratta, si cerca di comprendere le ragioni di tutti, di disinnescare i conflitti privilegiando sempre la via diplomatica, la via della trattativa e quindi si, in questo senso, ci sono delle similitudini con il modo di procedere della diplomazia governativa cinese, tenendo presente che ovviamente la diplomazia vaticana agisce su input cultural, spirituali e fuori dall’’ideologia politica e dunque diversi rispetto a quelli dell’apparato politico cinese.

Foto di copertina: la chiesa cattolica della Trinità a Dali (letteralmente “Città della Grande Motivazione”) nello Yunnan (letteralmente “A sud dei [monti] Yun”), la provincia nell’estremo sud-ovest della Cina, molto conosciuta per la sua diversità culturale, confina a sud-est con Vietnam e Laos, a ovest con la Birmania e a nord-ovest col Tibet (occupato).

La costruzione della chiesa di Dali fu iniziata nel 1927 da un missionario francese di stanza in questa remota area della Cina, Padre Pierre Erdozainey-Etchart, SCI, nato il 14 dicembre 1883 a Larceveau nella Diocesi di Bayonne in Francia, morto il 12 maggio 1931. Fu nominato il 18 giugno 1930 Vescovo di Dali, diocesi eretta nel 1929. L’ultimo Vescovo di Dali fu Mons. Peter Liu Hanchen, dal 1952 fino alla sua morte il 24 gennaio 1990. Da allora la sede è vacante. Da 2000 fino alla sua morte il 5 febbraio 2012, Mons. Lawrence Zhang Wenchang è stato Amministratore Apostolico.

L’edificio principale incorpora aspetti architettonici del popolo Bai, un gruppo etnico dello Yunnan, una delle “55 minoranze etniche” ufficiali della Cina.

La chiesa è nascosta in un cortile recintato all’interno della Città Vecchia di Dali, in uno stretto vicolo chiamato via Xinmin. A circa 30 metri lungo la strada, si incontra un ingresso in muratura in caratteristico stile cinese. All’interno dell’ingresso si trova un cancello di metallo rosso e oro dominato da un motivo a croce radiante con i caratteri 天主堂, che si traducono in “Chiesa del Signore”.

Questo cancello conduce nel cortile principale con la cattedrale centrale nella parte orientale del complesso, rivolta a ovest. I suoi pilastri e travi in legno sono tutti caratteristici del tradizionale stile Bai, completi di opere d’arte colorate che adornano i soffitti. Rivestite queste cornici in legno sono intagli intricati di figure tradizionali Bai importanti all’interno della cultura locale, vale a dire le interpretazioni stilistiche del leone, dell’elefante, del drago e della fenice.

Accompagnando le raffigurazioni dei leggendari animali Bai, l’esterno dell’edificio ritrae anche racconti biblici e aspetti delle leggende e della cultura tradizionali cinesi. Diversi pannelli e pilastri circondano la porta principale e sono inscritti con un distico cinese dorato, che afferma:
«Un sesso, un corpo contiene entrambi i sessi,
che è una caratteristica di Cristo per definizione;
l’unità è divisa in tre persone, e le tre persone sono una,
che è il mistero del Signore».

La facciata occidentale della chiesa raggiunge i 16 metri di altezza e i 2 piani superiori ospitano un campanile cavo e quadrato fissato su un tetto scanalato. L’intera struttura è costruita in legno massello e misura 34 metri di lunghezza per 14 metri di larghezza. L’interno può ospitare circa 500 persone e misura 600 metri quadrati, secondo un documento ufficiale sull’architettura della chiesa.

Di lato, l’intero edificio della chiesa sembra una grande nave a vela, che simboleggia l’Arca di Noè, portando speranza, giustizia, pace e amore.

Sebbene l’influenza più riconoscibile sulla chiesa sia la sua architettura in stile Bai, incorpora anche diversi aspetti dell’architettura cinese Han in combinazione con le caratteristiche classiche europee. È stato riconosciuto dal governo cinese per la sua integrazione di stili minoritari e dal 1985 ha ottenuto lo stato di conservazione come importante monumento del patrimonio nazionale.

Le decorazioni alle pareti interni sono rivestite con tonalità di blu più scure e sostenute da pilastri di legno dipinti di rosso scuro. Questa vernice rossa si estende poi fino alle panchine della chiesa, che sono divisi in 11 file e 4 navate.

Nel presbiterio, in piena vista delle porte e dei banchi, si trova una piccola raffigurazione di Gesù crocifisso sospeso a un pilastro centrale rosso. Su entrambi i lati di questa immagine sono apposti i caratteri cinesi 天主是爱, che si traduce in “Dio è amore”.

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