Zaccuri: Eugenio Corti fu uno scrittore epico

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Eugenio Corti nacque a Besana, in Brianza, il 21 gennaio 1921 in una famiglia con radici profondamente cattoliche. La nonna paterna, Giuseppina Ratti, era prima cugina di Achille Ratti che, nel 1922, fu eletto Papa con il nome di Pio XI. Il padre Mario, industriale tessile, aveva iniziato a lavorare a 13 anni perché, rimasto orfano, voleva essere d’aiuto alla madre vedova con cinque figli.

Ancora giovanissimo, iniziò la sua attività di imprenditore che lo porterà alla fine degli anni ’40 a gestire in proprio cinque stabilimenti con circa 1200 dipendenti. Eugenio e i suoi nove fratelli, con l’esempio dei genitori, furono educati ad un forte impegno caritativo e sociale: il fratello, Piero Corti, come medico missionario laico, ha dato vita in Uganda ad un grande ospedale; la sorella Angela ha sposato il medico missionario Fortunato Fasana e il fratello Corrado sacerdote gesuita in Ciad. Morì il 4 febbraio 2014.

Per riscoprire il valore letterario nel centenario della nascita abbiamo chiesto allo scrittore Alessandro Zaccuri, giornalista di Avvenire, di raccontarci Eugenio Corti:

“Uno degli autori più importanti di quello che potremmo definire come il ‘canone alternativo’ della letteratura italiana del Novecento: non censito nelle antologie (non in tutte, almeno) e non compreso nei programmi scolastici, ma molto amato dai suoi lettori, che continuano a essere numerosi e appassionati.

E’ un elemento tutt’altro che marginale, questo, perché Corti non solo ha sempre avuto un rapporto molto stretto con il suo pubblico, ma ne è stato per diversi aspetti il portavoce. Ha raccontato e testimoniato esperienze, valori e aspettative di una parte del Paese che altrimenti avrebbe fatto fatica a trovare rappresentazione”.

Come si possono definire i suoi romanzi?

“Grandi romanzi popolari, anzitutto, nel senso più nobile e direi entusiasmante del termine. Corti nasce come scrittore durante la Campagna di Russia, di cui diventa cronista attraverso il suo memorabile esordio del 1947, ‘I più non ritornano’.

Poco più tardi, nel 1950, torna sulle vicende della guerra con ‘I poveri cristi’, il libro sul quale, in un certo senso, ha lavorato di più, fino alla sostanziale riscrittura del 1994 con il titolo ‘Gli ultimi soldati del re’. Da lì al 1983, sul fronte del romanzo, le sue energie sono progressivamente ed esclusivamente assorbite dal ‘Cavallo rosso’.

Ma anche dopo la pubblicazione del capolavoro, Corti non smette di perseguire il progetto di una narrativa di forte impianto storico e di dichiarata vocazione pedagogica, che trova espressione nei ‘racconti per immagini’ del decennio 1998-2008”.

Quanto ha influito nei romanzi la sua formazione religiosa?

“E’ il dato fondamentale, il punto d’arriva e di partenza. Corti ha vissuto in maniera integrale la propria fede, che era poi la fede dei ‘paolotti’, come gli piaceva chiamarli: gente laboriosa, tutta casa Chiesa e bottega, tenace negli affetti familiari e istintivamente portata alla costruzione di una comunità solidale.

A questo insieme di atteggiamenti spontanei Corti aggiungeva un’abilità di narratore e una capacità di argomentazione che facevano di lui un ‘paolotto’ un po’ particolare. Un intellettuale che diffidava dell’eccesso di sottigliezze, senza dubbio, ma che non per questo rinunciava al confronto anche sul piano ideologico e politico.

C’è un suo saggio del 1995, ‘Breve storia della Democrazia Cristiana, con particolare riguardo ai suoi errori’, che rimane molto eloquente nel rivendicare la necessità di una presenza attiva dei credenti nella società’.

‘Il cavallo rosso’, il romanzo più popolare, può essere definito un romanzo epico?

“Forse è più corretto sostenere che ‘Il cavallo rosso’ restituisce il romanzo alla sua dimensione epica, prevalentemente negata o comunque trascurata dagli scrittori di cui Corti si è trovato a essere contemporaneo. Con le dovute eccezioni, però, meriterebbero di essere studiate più attentamente.

La pubblicazione del libro, per esempio, segue di quasi dieci anni quella della ‘Storia’ di Elsa Morante, che è a sua volta un esperimento di epica popolare ambientato nello stesso periodo, ma non nello stesso contesto del ‘Cavallo rosso’. Ne derivano due racconti diversissimi, accomunati però dalla volontà di restituire voce a chi è in qualche modo misconosciuto o emarginato.

Sono episodi che possono risultare eccezionali nell’ambito del nostro Novecento, ma che rivelano l’urgenza di andare al di là delle formule riconosciute, compresa quella del neorealismo.

Per Corti, il modello rimane il Tolstoj di ‘Guerra e pace’, che a mio avviso è stato lo scrittore al quale più ha voluto assomigliare. Quello dal quale ha provato maggiormente a distinguersi, invece, è stato il Manzoni dei ‘Promessi Sposi’, il cui cattolicesimo gli appariva eccessivamente problematico, se non addirittura incline al compromesso.

Un bel paradosso, questo del duello a distanza fra due grandi lombardi, ma in Corti la dimensione della disfida ha sempre una sua rilevanza, che non va trascurata. Anche questo, in fondo, fa parte del suo essere uno scrittore popolare”.

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