Il Natale è la speranza del mondo

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Nel messaggio del tempo di Avvento il vescovo di Ascoli Piceno, mons. Giovanni D’Ercole, ha invitato i fedeli a prepararsi ad accogliere Gesù, secondo la sua raccomandazione ad essere vigili: “In parole semplici, Cristo vuol farci capire che poiché siamo in viaggio verso la Gerusalemme celeste non dobbiamo lasciarci appesantire da problemi terreni, affanni, sete di denaro, e di potere, realtà che non porteremo con noi nell’ora della morte. Gesù ci invita ad essere leggeri, liberi, e la libertà nasce proprio attraverso il distacco dalle cose terrene”.

In ciò consiste la speranza cristiana: “Questa è la speranza del cristiano, che necessita di essere alimentata dal frequente e docile ascolto della Parola, dalla preghiera, dall’Eucaristia celebrata con fede. Necessita anche di essere manifestata nell’amore vicendevole verso tutti, amore che deve sempre crescere ed abbondare, come ci ricorda san Paolo: ‘Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi, per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi’…

E’ utile chiedersi se come cristiani attendiamo il Signore. Desideriamo veramente incontrarlo? Dalla risposta a questi interrogativi scaturisce un comportamento quotidiano capace di farci capire se siamo cristiani dal cuore libero oppure cristiani dal cuore appesantito”.

La ‘vigilanza’ è stata richiamata anche dall’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, negli auguri natalizi all’Opera Barolo:”La venerabile Giulia di Barolo vedeva in ogni persona povera, perfino nelle donne carcerate che la bestemmiavano e la deridevano sfogando la loro rabbia su di lei che voleva solo aiutarle, l’impronta di Dio e anche nella loro vita giudicata da tutti misera e bisognosa solo del nostro aiuto, un segno di Gesù che la interpellava e chiedeva amore”.

Durante l’incontro l’arcivescovo di Torino ha sottolineato il suo viaggio nel ‘presepe’ torinese: “Ho iniziato in questi giorni il mio solito giro di quello che chiamo ‘presepe’, cioè l’incontro con tanti poveri che sono accolti nei vari dormitori di cui è ricca la nostra città e ascoltandoli mi sono accorto che di anno in anno si aggravano le condizioni difficili e faticose di una sempre più larga fascia della popolazione.

La cosa mi è stata confermata anche dagli operatori volontari e di cooperative, che si prendono cura di questi nostri fratelli e sorelle sempre più numerosi. Purtroppo i poveri vengono considerati spesso non solo come persone indigenti che vanno aiutate, ma come portatori di insicurezza, instabilità, disturbo, per cui si tende a tenerli distanti da sé. Mi chiedo pertanto: nella nostra Chiesa e nelle nostre città i poveri come sono considerati, amati, cercati e sostenuti?

Se è vero che il volontariato e tante realtà religiose e civili si prestano per stare loro vicino e aiutarli nelle loro necessità, una parte della popolazione, quella che sta bene e meglio di tanti altri, li considera gente marginale o da scartare e ha verso di loro indifferenza e noncuranza se non rifiuto o disagio nell’incontrali”.

Ed ha invitato i cattolici ad imitare l’esempio dei fondatori dell’Istituto: “Giulia e Tancredi Barolo ci insegnano che il nostro impegno non può limitarsi a varie forme pure utili di assistenza ma richiede di donare il nostro cuore perché sentano che ciò che diciamo o doniamo loro o doniamo parte dal nostro amore per ciascuno di loro riconosciuto come una persona che va dunque valorizzata e resa partecipe a tutto campo della vita ordinaria e propria di ogni cittadino…

Riconoscersi custodi significa porre un argine al crescere della povertà perché ci pone nella condizione di sentirci tutti poveri nei confronti di Dio, per cui la solidarietà reciproca aiuta a cercare la vera ricchezza che sta nella persona del tuo prossimo e non nei beni che possiede o nella vita più o meno comoda e assicurata. Ogni persona sofferente o bisognosa di accoglienza e di aiuto che incontro è un dono e un capitale di prim’ordine che vale più di ogni profitto economico…

Facciamo in modo che nessuno di noi si comporti a Natale come i cittadini di Betlemme che hanno chiuso la porta della loro casa e prima ancora quella del loro cuore a Gesù e alla sua famiglia. Impariamo dai Marchesi di Barolo a gustare la gioia e la speranza del Natale accogliendo in qualche modo nel nostro cuore e nella nostra vita, se non anche nella nostra casa per un pasto in famiglia nei giorni di festa, un povero che incontriamo e di cui possiamo e dobbiamo farci servitori e amici”.

E nella quinta domenica di Avvento ambrosiano mons. Mario Delpini ha incontrato i lavoratori: “La preghiera non si perde nel nulla, l’attesa non resta delusa. Il Signore adempie le sue promesse e l’amico dello sposo che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello Sposo. Ora questa mia gioia è piena.

Gli artefici dell’incompiuto sperimentano che il compimento non è frutto delle loro opere, ma è dono e grazia. In che cosa consiste il compimento? Quale è la grazia che riempie di gioia Giovanni, artefice dell’incompiuto? La pienezza della gioia è frutto della voce dello sposo: la parola persuasiva, la voce conosciuta, la confidenza attesa. Il compimento è nell’ascolto.

La pienezza della gioia è nel farsi da parte perché la missione è compiuta, l’attesa riconosce di concludersi nell’incontro. Il compimento è vedere il frutto, ancorché sorprendente. La pienezza della gioia è la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo. E’ quindi ancora una speranza. La pienezza della gioia è ancora un consegnarsi alla gloria dello sconfitto, in attesa del suo ritorno glorioso. E’ ancora un cammino verso Pasqua”.

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