Joe Petrosino: martire della giustizia

Giuseppe (Joe) Petrosino (Padula, Salerno, 30 agosto 1860 – Palermo, 12 marzo 1909) è un martire della giustizia, annoverato tra i Testimoni. Cercando tra i martiri della giustizia e i vari testimoni, mi sono imbattuta in un nome che avevo sentito più volte. Ne ho sempre saputo poco o niente, più che altro niente, e quindi ho deciso di approfondire questa figura.
Ai funerali di New York, monsignor Michael J. Lavelle (1856-1939), per molti anni vicario generale e rettore della cattedrale di Saint Patrick, definisce Petrosino un cattolico esemplare e dichiara di vederlo come u martire. Petrosino possiede, infatti, molte delle virtù care agli americani della sua epoca: è onesto fino allo scrupolo, nonostante nella città in cui lavora ci siano molti poliziotti corrotti. È anche severo fino a un certo puritanesimo quando si tratta di moralità privata e sessuale, a differenza di molti poliziotti di New York all’epoca, legati al vizio nelle sue varie forme.
Allo stesso tempo, sappiamo che Petrosino non è un agnellino: il suo atteggiamento verso i diritti degli arrestati è diverso da quello del XXI secolo, esattamente come gli altri poliziotti di New York del 1900. A sua discolpa, viene ripetuto che a Little Italy, Petrosino e i suoi agenti italiani devono tenere a bada cinquecentomila persone. Peccato che all’inizio, la squadra, fosse formata da 5 elementi più lui. Chi racconta del loro lavoro non giustifica la violenza, ma comprende che, a volte, le maniere forti potevano sembrare l’unica soluzione.
Io non commento. Non ero presente e non so. Non ho valori che giustifichino le maniere forti, ma non spetta a me giudicare cinque persone che dovevano controllare cinquecentomila immigrati in misere condizioni. Bisogna capire che è una storia difficile anche per i tempi. Tuttavia, se è stato definito cristiano autentico, nonostante i suoi errori, il capo della squadra doveva avere diversi punti a suo favore.
Ecco la sua storia.
Il 12 aprile 1909 si svolgono i funerali del tenente Giuseppe ‘Joe’ Petrosino, ucciso dalla mafia in Piazza Marina a Palermo il precedente 12 marzo. Vi partecipano più di duecentomila persone. È il secondo funerale più gremito del nuovo secolo degli Stati Uniti. Il primo è quello del presidente Abraham Lincoln. La carriera e la morte di Petrosino rappresentano un fatto che muta profondamente l’immagine degli italiani e degli italo-americani.
Gli attentati anarchici e la criminalità organizzata, contribuiscono ad etichettare gli italiani come pericolosi, non solo negli Stati Uniti, ma anche nelle altre terre d’emigrazione. Tutto cambia con Petrosino. Lui è la certezza che non tutti sono uguali. Ci sono italiani buoni e cattivi, come ci sono in tutte le nazioni.
Giuseppe Petrosino, nasce a Padula (Salerno) il 30 agosto 1860. La sua famiglia emigra a New York nel 1873. Per lui, la vita a New York non è facile. Come molti altri giovani immigrati, lavora come strillone di giornali e lustrascarpe. Dopo qualche mese, le sue doti gli permettono di aprire un chiosco fisso in cui si può acquistare il giornale e farsi lucidare le scarpe. Esso si trovava in Mulberry Street 300, all’uscita della Centrale di Polizia. Petrosino fa amicizia con diversi poliziotti e riesce a farsi assumere nel corpo degli spazzini di New York nel 1878; nonostante avesse solo diciotto anni. Questo ‘corpo’, all’epoca di Joe, dipende dal Dipartimento di Polizia: il New York Police Department (NYPD).
Sono anni in cui l’emigrazione diventa un fenomeno importante, tanto che, a New York gli italiani passano da diecimila a cinquecentomila. Solo Napoli ha una popolazione italiana superiore della metropoli statunitense. La polizia fatica a gestire la zona di Manhattan, ribattezzata Little Italy, Brooklyn e il Bronx, in quanto non capisce la lingua e le abitudini degli immigrati italiani. Sempre più spesso, i poliziotti chiedono informazioni a Petrosino.
Da questo, il Dipartimento, in particolare il capitano Alexander Williams, detto ‘Clubber’ per la sua abitudine ad usare il manganello più spesso del solito, pensa che per tenere a bada i criminali italiani ci voglia un poliziotto delle loro parti. Il giovane Petrosino, dalla sua, ha una carta speciale: oltre all’intelligenza, sa travestirsi ed impersonare vari ruoli. Questo gli viene utile per raccogliere informazioni. Per queste ragioni, nonostante il regolamento della polizia lo reputi troppo basso di statura, il 19 ottobre 1883, Petrosino riceve il suo distintivo.
Ha 23 anni ma, come tutti i poliziotti, comincia dalla strada. Lì deve combattere con i pugni, contro gli aggressori e i delinquenti, attirando l’attenzione dei giornalisti. Nel 1890, è promosso detective. Abbandona la divisa, sostituendola con abiti formali ed eleganti secondo i canoni dell’epoca, bombette inglesi comprese. Nel 1895, il capo della polizia di New York è Theodore Roosevelt, futuro presidente degli Stati Uniti. Egli nomina il giovane Joe sergente; è il primo caso di italo-americano a raggiungere questo grado. Facendo già parte della Squadra Omicidi, grazie al nuovo grado, gli sono assegnate le indagini riguardanti la malavita italiana.
Se la stampa di lingua inglese apprezza i successi di Petrosino, quella newyorchese di lingua italiana non è d’accordo con essa. A Little Italy un “birro” o “sbirro” non è popolare, anche se connazionale. Tuttavia, nel 1898, Petrosino riesce a salvare un detenuto italiano recluso nel braccio della morte in attesa della sedia elettrica. Dimostra l’errore giudiziario a soli otto giorni dall’esecuzione e questo gli vale la simpatia dei connazionali. Ancora, di nuovo nel 1898, lo sbirro sgomina la banda degli assicuratori.
Essa fa sottoscrivere a ingenui emigranti polizze di assicurazione sulla vita che indicano come beneficiario l’assicuratore a garanzia della compagnia, solo finché l’assicurato non paga tutte le piccole rate. Dopo, i beneficiari diventano i familiari. In realtà, gli assicuratori criminali fanno uccidere il cliente prima che abbia finito di pagare, intascandosi il premio come beneficiari. Questa indagine riesce a far incriminare 112 persone.
Nel 1900, Petrosino si occupa della parte americana dell’indagine sull’assassinio di Umberto I. Il poliziotto, infiltratosi fra gli anarchici di Paterson, identifica la cellula da cui è partito Gaetano Bresci. Per questo , ammonisce il presidente degli Stati Uniti, William McKinley, rivelandogli che potrebbe esserci un complotto contro di lui. McKinley, convinto che gli anarchici ce l’hanno con il re, lo dice a Petrosino, concludendo con la domanda: perché mai dovrebbero uccidere un presidente negli Stati Uniti, dove possono semplicemente eleggerne uno diverso? L’anno successivo invece, McKinley viene assassinato dall’anarchico Leon Frank Czolgosz , nonostante non si trovino le prove di un complotto da parte di Paterson o altri. L’ assassino sostiene di avere agito da solo, ma la stampa scrive che Petrosino è l’unico ad aver previsto l’omicidio.
Theodore Roosevelt, il nuovo presidente degli Stati Uniti, essendo stato capo della polizia a New York, permette, dopo molte richieste da parte dell’italiano, che Petrosino ottenga la costituzione di una Italian Branch della NYPD composta da italiani. Deve, però, essere comandata da Petrosino e avere una vera autonomia operativa. Tuttavia, all’inizio, l’Italian Branch, oltre a Petrosino è formata da cinque agenti, i quali dovevano sorvegliare cinquecentomila italiani. Peggio ancora, la squadra, non ha neppure una sede.
La squadra lavora con ottimi risultati, particolarmente dal 1906, quando Theodore Bingham, il quale lega le proprie vittorie a quelle di Petrosino, diventa capo della polizia. Petrosino è promosso tenente e rafforza la squadra nella Italian Legion. Dedica tutte le sue energie a fermare la criminalità organizzata italiana. Inizialmente, dichiara alla stampa che la Mano Nera non esiste. I commercianti ricevono richieste esose di pizzi da pagare firmate con il simbolo della Mano Nera.
Ma a Little Italy non esiste un’organizzazione unitaria. Ci sono singole bande che hanno interesse a far credere al mito della Mano Nera per terrorizzare le loro vittime, ad esempio quella che fa capo ai corleonesi Ignazio Saletta, detto Ignazio Lupo , e al cognato Giuseppe ‘Piddu’ Morello. Questi sono alle origini della mafia a New York per molti.
Tuttavia, grazie al soggiorno a New York di don Vito Cascio Ferro di Bisacquino, avvenuto tra l’agosto 1901 e il settembre 1904, Petrosino cambia idea. Cascio Ferro, ha partecipato ai Fasci Siciliani e ha simpatia per gli anarchici, la bella vedova di Gaetano Bresci compresa. L’italiano è considerato da diversi storici il vero fondatore di Cosa Nostra.
A New York collabora coi corleonesi di Lupo-Morello, dandogli nuovi metodi per fare gli affari come un tariffario ‘ragionevole’ per il pizzo che permette ai commercianti di pagare più agevolmente e limitare i crimini ‘necessari’ e quindi i rischi per l’organizzazione. Cascio Ferro inventa un collegamento tra Sicilia e Stati Uniti per trasferire ripetutamente i criminali più coinvolti, ostacolando le indagini. Decide anche di avere rapporto ordinato con uomini politici. Petrosino è il primo a documentare i legami fra la mala e gli anarchici.
Di fronte alla crescita della Mano Nera, Petrosino si convince che l’unico modo di battere la mafia è andare alla radice: in Sicilia, per raccogliere informazioni sull’organizzazione italiana della malavita e schede sui principali capi, in modo tale che si possa prevenire la loro immigrazione negli Stati Uniti. Petrosino attende i fondi per partire e, nel mentre, mette su famiglia.
Sposa Adelina Saulino e ha una figlia, chiamata come la madre. Theodore Bingham, capo della polizia, riesce a raccogliere fondi da imprenditori e banchieri terrorizzati dallo spaccio di banconote false da parte della Mano Nera e, così, Petrosino può partire. Crede che sia una missione segreta, ma Bingham non resiste e ne parla con i giornalisti. Petrosino parte per l’Italia il 9 febbraio 1909, passa a Roma e torna nella natia Padula. Qui scopre dai giornali italiani che la missione è nota a tutti. Si arrabbia, ma continua a lavorare
Il 28 febbraio, da Napoli raggiunge Palermo, dove incontra il questore Baldassarre Ceola , un trentino senza esperienza dell’Isola, mandato a Palermo per smentire le voci di presenze mafiose nella Questura. Petrosino rifiuta di lavorare con la polizia palermitana, perché non è convinto che, nonostante l’arrivo di Ceola, con cui non va d’accordo, essa sia immune da contatti mafiosi.
Rifiuta anche la scorta, pensando che, come a New York, la mafia non sia avvezza ad assassinare poliziotti, soprattutto quelli famosi. Crede di poter comprare collaboratori tra i mafiosi con i dollari di cui dispone. Lavora all’inchiesta da solo, anche perché scopre che i dossier che gli interessano su persone del giro di Cascio Ferro, sono vuoti sia alla polizia che in tribunale. Questo conferma che i mafiosi sono collegati alla questura. Petrosino crede di essere al sicuro grazie ai suoi travestimenti: all’Hotel de France in Piazza Marina a Palermo, è registrato con l’alias di Simone Valenti, proveniente da Gerusalemme.
Venerdì 12 marzo 1909, Petrosino parte in treno per Caltanissetta di mattina presto. In tribunale trova documenti interessanti e torna a Palermo nel primo pomeriggio. Come tutte le sere, va a cena al Caffè Oreto. Si siede al solito tavolo, spalle contro il muro per evitare attacchi a tradimento. Qui, alle 20.45 incontra due personaggi che, apparentemente, conosce, probabilmente informatori, i quali gli danno appuntamento al Giardino Garibaldi, di fronte al ristorante. Petrosino esce dal Caffè Oreto, attraversa la strada, ma è raggiunto da quattro colpi di pistola, che lo uccidono all’istante.
Negli Stati Uniti, Petrosino si era trovato più volte in situazioni simili a quelle dei romanzi: rinchiuso in sotterranei, lasciato a penzolare sotto un ponte, e si era sempre salvato. A Palermo, gli sparano suscitando scalpore in Italia e negli Stati Uniti. Il presidente Theodore Roosevelt, amico di Petrosino, fa pressioni sulle autorità italiane perché arrestino i colpevoli.
Nel frattempo, Petrosino ha diritto a due funerali di Stato: a Palermo il 19 marzo 1909 e a New York il 12 aprile. Ceola basa la sua inchiesta su Paolo Palazzotto, un giovane boss arrestato da Petrosino negli Stati Uniti, in quanto responsabile di un racket della prostituzione. Palazzotto, è arrivato a Palermo pochi giorni dopo Petrosino, giurando pubblicamente di uccidere il detective.
Palazzotto è accusato di essere fra gli esecutori materiali dell’omicidio, ma le indagini di Ceola mirano più in alto: a Vito Cascio Ferro e a due suoi uomini Antonino Passananti e Carlo Costantino, accusati di essere tornati in Sicilia proprio per uccidere Petrosino. Cascio Ferro, Passananti, Costantino, Palazzotto e undici supposti complici, il 22 luglio 1911 sono assolti per insufficienza di prove.
Il caso Petrosino, però, non è chiuso. Infatti, sia Giuseppe Morello che Vito Cascio Ferro , rivendicano a l’ ‘onore’ di avere ucciso Petrosino, indicando come esecutori Passananti e Costantino. Cascio Ferro, lascia intendere di avere partecipato all’omicidio personalmente.
Gli accusati dell’omicidio di Petrosino fanno tutti una brutta fine. Pare che Don Vito Cascio Ferro, secondo Arrigo Petacco nel libro ‘Joe Petrosino’, Mondadori, Milano 1972, p. 227, sia ‘abbandonato’ involontariamente nel carcere di Pozzuoli; lì deve scontare l’ergastolo.
Nel 1943, sotto la minaccia dei bombardieri alleati, i detenuti sono evacuati, ma lui no e muore. Costantino si trasferisce a Bardonecchia (Torino), ma é arrestato per truffa. Viene condannato a scontare la pena nel carcere all’Ucciardone di Palermo, poi nella colonia penale di Lampedusa e infine in manicomio.
Passananti vive fino a novant’anni, ma proprio nel 1969, si suicida nella sua casa a Partinico. Il capo della polizia di New York, Theodore Bingham, invece, si sente accusare dal consiglio comunale di avere ucciso Petrosino, magari non direttamente, a causa della rivelazioni sugli spostamenti del detective. Pare, inoltre, che questo sia avvenuto perché il capo della polizia, ama farsi pubblicità. Per questi motivi, egli viene rapidamente destituito e deve rinunciare a quella carriera che, lui sperava lo portasse a diventare il nuovo Theodore Roosevelt.
Nonostante alcuni si discostino dalla maggior parte dei colleghi storici, ricordando l’ NYPD dei tempi eroici , dove i malavitosi confessano dopo interrogatori in cui perdono anche numerosi denti, Petrosino, per gli storici, è stato un eroe.