Le parole infamanti che innaffiano la gramigna dell’odio, di uno, che si dia del cretino da solo…

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«Uno, nessuno e centomila». Prendiamo in prestito il titolo di uno dei romanzi più famosi di Luigi Pirandello – il più amaro di tutti, di scomposizione della vita, sul senso della disgregazione dell’io – per capire la gravita delle parole feroci del Professore Umberto Galimberti, filosofo ufficiale di la Repubblica, del Gruppo Gedi, vomitate su La7, ospite di Concita De Gregorio (che non disapprovava della spazzatura appena sparsa, per non dire prodotto ultimo della digestione) a “In Onda”: «Non vorrei essere figlio di Giorgia».

“Book Story”. I libri ci guardano, le illustrazioni di Jonathan Wolstenholme.

Uno (lui, professore, filosofo, sociologo, antropologo culturale, psicoanalista esponente della psichiatria fenomenologica, accademico – e che ciononostante dice delle idiozie – lui, lo studioso massimo del pensiero simbolico inteso come la base primeva e più autentica della psiche umana, nonché di quello logico-metafisico e razionale).

Nessuno (l’emporio degli haters dell’odio della cancel culture, che non hanno niente da eccepire, che non vedono, non sentono e non parlano).

E centomila (che con odio feroce approvano, davanti allo schermo UltraHD 4K nel salotto di casa, mentre sorseggiano lo spritz).

Ma no, noi, che non siamo nessuno, non abbiamo perso ancora il senso cristiano della storia, non possiamo tacere. Noi non abbiamo ancora dimenticato da dove veniamo, che questa terra che traversiamo è una valle di lacrime, e dove siamo diretto, alla sequela di Colui che è la via, la verità e la vita.

“Noi non lasciamo perdere”, ha scritto ieri, 27 ottobre 2021 su Libero Quotidiano il caro amico e collega Renato Farina, in riferimento alle «parole infamanti che innaffiano la gramigna dell’odio»: «Il professor Umberto Galimberti ha detto una bestialità da social in diretta televisiva. Nessuno qui vuole impiccare un uomo a una frase. Questa semmai è la specialità degli scotennatori da cancel culture. Per costoro (…) sei un morto che cammina; prima ancora di dire un’altra sillaba per spiegarti, sei sbattuto fuori dal consesso civile. Del resto, a volte, quando si detesta particolarmente qualcuno, i freni inibitori saltano, e la bocca butta fuori direttamente dalle viscere, il veleno di cui un istante dopo ci vergogniamo, neppure sapevamo di custodirlo nei recessi. Càpita. Però Galimberti lo ammetta, si dia del cretino da solo».

Farebbe bene, lo psicanalista Galimberti, di rileggere il suo personalissimo pensiero, spiazzante e urticante, che ha scritto per GQ, il magazine maschile di Condé Nast Italia, il 16 aprile 2020 – appena all’inizio dell’emergenza del coronavirus cinese di Wuhan – dal titolo «Riflessioni ai tempi del coronavirus sul senso del futuro» [QUI]. «Dove credeva di essere arrivato, l’essere umano? Perché, costretto a fermarsi, non sa più chi è? E cosa pensa di fare davanti alla negatività della vita? Abbiamo perso il contatto con il dolore, con il negativo della vita. E quindi come facciamo ad avere delle strategie quando il negativo diventa esplosivo? L’egoismo non sta diventando adesso un valore primario. È già il valore primario nella nostra cultura. La solidarietà è andata a picco in questi anni. Individualismo, narcisismo, egoismo: sono tutte figure di solitudine. La socializzazione si è ridotta alla propria parvenza digitale».

Quanto è abissale è il degrado dell’esistenza umana in questa epoca, lo ha dimostrato lui stesso, esternando quella roba su Giorgia Meloni. «… l’immagine di un uomo in uno schermo. Quando potrà risollevarsi l’animo umano?». Lui, uno che da psicanalista conosce la risposta per tutti noi, ha la risposta per la propria psiche?

Umberto Galimberti, ritratto di Maki Galimberti.

Galimberti in tv
Se il filosofo umilia la figlia della Meloni
di Renato Farina
Libero Quotidiano, 27 ottobre 2021


C’era un servizio televisivo. Bandiere spagnole, folla entusiasta. Ed ecco Giorgia Meloni sul palco.  La ascoltiamo dire: «Yo soy Giorgia, soy una mujer, soy una madre, soy italiana, soy cristiana». Nello studio de La7 c’è un comitato di anatomo-patologi per sezionare questa donna dal vivo, corpo e anima. Subito Concita De Gregorio che conduce In Onda, interpella lo psicanalista Umberto Galimberti, ospite in trono, che immediatamente sentenzia: «Quando dice “io sono madre”, mi verrebbe voglia di non essere suo figlio; e se fossi cristiano vorrei essere ateo». Eh? Che ha detto? Ha detto davvero questa roba qui? Come se Giorgia fosse la mamma assassina dei piccoli Goebbels?  Stupore in sala. David Parenzo, che affianca la De Gregorio, accenna una reazione, ma viene bloccato dopo tre parole di distinguo dalla De Gregorio. La quale ridà voce al bastonatore di madri, che non arretra, anzi: «Non si dicono quelle cose lì, è ferocia». Nessuno fa girare indietro il nastro, per risentire quelle frasi. Né c’è chi gli faccia raccogliere da terra l’immondizia delle sue parole o si limiti ad un «ma si rende conto quel che ha detto?». Chiunque capisce che quell’espressione di esordio è uno sputo in faccia, e pure peggio.  Equivale a dire: una così non deve essere madre, disgraziato suo figlio o figlia, sarebbe meglio non esser nato. Invece, non succede nulla. Ci si inchina al gran maestro del pensiero unico, filosofo ufficiale di Repubblica, invitato in qualsiasi emporio di comunisti, cattolici, benpensanti e malpensanti, a cui spiega da anni il senso della vita. Perciò si glissa, si deve glissare. Questo in trasmissione. E a filmato circolante sul web idem. Nessuno psicanalista o psicoterapeuta si dissocia, loro che litigano con il coltello tra i denti su una frase di Lacan o Jung. Non c’è un solo commentatore filosofico dei quotidianoni che eccepisca a queste idiozie.

Be’, noi non lasciamo perdere. Il professor Umberto Galimberti ha detto una bestialità da social in diretta televisiva. Nessuno qui vuole impiccare un uomo a una frase. Questa semmai è la specialità degli scotennatori da cancel culture. Per costoro basta che, magari citando Flannery O’Connor, ricordi Il negro artificiale, il suo più bel racconto, e sei un morto che cammina; prima ancora di dire un’altra sillaba per spiegarti, sei sbattuto fuori dal consesso civile. Del resto, a volte, quando si detesta particolarmente qualcuno, i freni inibitori saltano, e la bocca butta fuori direttamente dalle viscere, il veleno di cui un istante dopo ci vergogniamo, neppure sapevamo di custodirlo nei recessi. Càpita. Però Galimberti lo ammetta, si dia del cretino da solo, e lo confessino gli altri intorno a lui, magari alla prossima ospitata, che quelle parole sono infamanti e innaffiano la gramigna dell’odio. Accadrà? Impossibile.

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