Il fantasma di Kashoggi vagante nei tempi bui del “nuovo rinascimento” di Matteo Renzi e Mohammed bin Salman
Lo scrittore, blogger e giornalista saudita Jamal Ahmad Khashoggi è stato sequestrato e ucciso su ordine del Principe ereditario dell’Arabia Saudita, Mohammed bin Salman. Non nel Rinascimento, ma oggi nei tempi bui del tunnel della dittatura sanitaria con la copertura della pandemia coronavirus. Nei tempi dei costruttori, dei migliori, dei salvatori della Patria e conniventi con regimi dittatoriali e sanguinari. A 16 giorni dalla sua scomparsa il 18 ottobre 2018, il Washington Post pubblicò l’ultimo editoriale di Khashoggi: “Il mondo arabo sta vivendo la sua versione della cortina di ferro, imposta dalle stesse forze che governano. Avremmo bisogno di una nostra versione dei vecchi media transnazionali, per poter essere informati su ciò che succede nel mondo. Più importante, dobbiamo creare una piattaforma per le voci arabe. Soffriamo la povertà, mala amministrazione e bassa educazione. Creando un forum globale, indipendente dai governi nazionalisti che diffondono l’odio attraverso la propaganda, la gente ordinaria potrà capire autonomamente i problemi della propria società”.
Jamal Ahmad Khashoggi (Medina, 13 ottobre 1958 – Istanbul, 2 ottobre 2018) era nipote di Muhammad Khashoggi, di origine turca, che sposò una donna saudita e fu medico personale del Re ʿAbd al-ʿAzīz Āl Saʿūd, fondatore del Regno dell’Arabia Saudita. Era anche il nipote del commerciante di armi dell’Arabia Saudita, Adnan Khashoggi, noto per il suo coinvolgimento nello scandalo Irangate, il cui patrimonio era stimato in 4 miliardi di dollari all’inizio degli anni ‘80. Ha collaborato con varie testate saudite ed è stato caporedattore di Al-Arab News Channel, e redattore presso il quotidiano saudita al-Waṭan (La patria), trasformandolo in piattaforma per sauditi progressisti. Lasciò l’Arabia Saudita nel settembre 2017, in esilio autoimposto. Disse che il governo dell’Arabia Saudita lo aveva “bandito da Twitter” e in seguito scrisse alcuni articoli critici sul governo saudita, in particolare nei confronti del principe bin Salman e del re dell’Arabia Saudita. Si era inoltre opposto all’intervento militare saudita in Yemen che ha causato migliaia di vittime civili.
Il 2 ottobre 2018 Khashoggi entrò nel Consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul per ottenere documenti relativi al suo matrimonio. Non lasciò mai l’edificio e fu successivamente dichiarato scomparso. Anonime fonti della polizia turca hanno affermato che sia stato ucciso e squartato all’interno del consolato. Il governo di Riad afferma che Khashoggi lasciò il Consolato vivo attraverso un ingresso posteriore, ma la polizia turca dice che la sua CCTV non lo ha registrato mentre usciva. Il 15 ottobre 2018 ha avuto luogo un’ispezione del Consolato da parte di funzionari turchi, che hanno trovato prove che hanno supportato la convinzione che Khashoggi sia stato ucciso. Il 19 ottobre 2018 la TV di stato saudita ha confermato la morte di Khashoggi, avvenuta a seguito di un “diverbio” presso il Consolato di Istanbul. Il 24 ottobre 2018, l’ufficio del Procuratore Generale saudita, attraverso una nota emessa direttamente dall’agenzia di stampa di Stato saudita, conferma, secondo i risultati delle indagini da parte dei funzionari turchi, che l’assassinio è stato premeditato.
Secondo le notizie riportate da Al-Waqt (Il tempo), fonti informate affermano che Mohammad bin Salman aveva assegnato ad Ahmad Asiri, il vice capo dell’al-Mukhabarat al-‘Amma e ex portavoce della coalizione guidata dall’Arabia Saudita nello Yemen, la missione di giustiziare Khashoggi all’interno del Consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul. Un altro ufficiale militare con una grande esperienza nel trattare con i dissidenti è stato il secondo candidato alla missione. Lo stesso giorno, i media turchi vicini al presidente hanno pubblicato immagini di quello che descriveva come un “gruppo di assassini” di 15 membri, presumibilmente inviato per uccidere Khashoggi e di un furgone nero che ha percorso il tragitto dal Consolato dell’Arabia Saudita a casa del console. Il 17 ottobre 2018 Sabah, vicino al Presidente turco, ha pubblicato i nomi e le immagini della squadra saudita dei 15 membri durante il controllo dei passaporti. Ulteriori dettagli sulle identità sono stati anche riportati insieme ai loro pseudonimi.
Secondo la più recente indagine ONU pubblicata il 19 giugno 2019, dal quotidiano britannico The Guardian, il principe ereditario saudita dovrebbe essere indagato per l’omicidio di Khashoggi. Il rapporto dell’ONU, redatto da Agnes Callamard parla di omicidio “premeditato”, con prove credibili di responsabilità di bin Salman.
Secondo le conclusioni di quattro pagine del rapporto dell’Ufficio del Direttore Nazionale dell’Intelligence statunitense, Avril Haines, che coordina e supervisione tutti e 18 le agenzie dei servizi segreti sull’efferato omicidio del 2018, Mohammed bin Salman approvò l’operazione per assassinare il dissidente saudita Kkashoggi. Il rapporto, preparato da tempo ma finora rimasto top secret anche se le sue conclusioni erano filtrate, è frutto anzitutto del lavoro della CIA. Il rapporto, nelle quattro pagine rese pubbliche e che escludono molti dettagli rimasti top secret, arriva alle conclusioni citando, in particolare, il forte controllo dell’apparato decisionale saudita da parte di bin Salman. Coinvolti nell’operazione erano stati anche un suo stretto consigliere e membri della sua squadra personale di sicurezza. L’autorizzazione data da bin Salman avrebbe previsto una cattura o uccisione del dissidente. “Valutiamo che il principe ereditario Mohammed bin Salman approvò una operazione a Istanbul, in Turchia, per catturare o uccidere il giornalista saudita Jamal Khashoggi”, si legge nel testo, che afferma inoltre che il principe ereditario saudita non si è limitato a prendere di mira Khashoggi: “Ha sostenuto il ricorso a misure violente per zittire dissidenti all’estero, compreso Khashoggi”.
Dopo il rapporto dei servizi di sicurezza statunitensi, che inchioda l’erede al trono saudita in quanto mandante dell’omicidio Khashoggi, è bufera su Matteo Renzi. Neanche un mese fa, in piena crisi di governo, era volato in Arabia Saudita per intervistare Mohammed bin Salman. Nel video con l’erede al trono saudita, Renzi elogiava il “nuovo Rinascimento saudita” ed esprimeva “invidia” per il costo del lavoro a Riad”. Il seguito alle polemiche sollevate da quel video, aveva promesso che avrebbe chiarito non appena risolta la crisi di governo. Crisi risolta ormai da due settimane, ma il leader di Italia Viva non si è fatto ancora vivo. Ormai, siamo abituati vedere la sua smorfia con il naso lungo da Pinocchio.
Matteo Renzi, Maria Elena Boschi e i colleghi PD avevano promesso di abbandonare definitivamente governo e vita politica in caso di vittoria del No al referendum: “È del tutto evidente che se perdo il referendum considero fallita la mia esperienza in politica”. Si apre con queste parole di una chiarezza cristallina, il 29 dicembre 2015, il lungo elenco di promesse di abbandonare la politica fatte da dall’asfaltatore-rottamatore che avrebbe abbandonato, non solo Palazzo Chigi, ma proprio la vita politica in caso di sconfitta nel referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, poi stravinto 60 a 40 dal No.
“Con un gesto di coraggio e dignità ho detto che se si perde il referendum smetto di fare politica”, ribadisce il 12 gennaio 2016. Concetto ripetuto appena tre giorni dopo, il 15 gennaio 2016: “Ho già preso il solenne impegno, se perderemo il referendum lascio la politica”. Continua a ripeterlo, come un disco rotto, e il 20 gennaio 2018 ripete: “Se perdessi il referendum considererei conclusa la mia esperienza”. Poi, il 22 gennaio 2016: “Non prendiamo in giro la gente, io non sono come gli altri, se perdo su una cosa così grande è bene che vada a casa”. Il 25 gennaio 2016: “Se sulle riforme gli italiani diranno No prenderò la mia borsettina e tornerò a casa”. Il 7 febbraio 2016: “Se perdo tirate fuori le vostre idee, ecco la mia poltrona”. Il 12 marzo 2016: “Se perdiamo il referendum è sacrosanto non solo che il governo vada a casa, ma che io consideri terminata la mia esperienza politica”. Il 13, 18 e 28 aprile 2016: “Se perdo vado a casa”. Il 2, 4, 8, 11, 12, 18, 21 e 22 maggio 2016 tiene a rimarcare la sua diversità dal resto della casta che mette “la colla alla poltrona”. Lui, invece, no, non può “fare finta di niente”, se perde andrà “a fare altro” perché “la mia carriera politica finisce”. Il 1°, 2 e 29 giugno, e il 4 luglio 2016: “O cambio l’Italia o cambio mestiere”. Ad agosto, settembre e ottobre (con esclusione del giorno 6) 2016, dopo la sgridata subita da Giorgio Napolitano contro la “personalizzazione” della campagna elettorale, Renzi si astiene da ulteriori dichiarazioni. Salvo ricominciare il 21, 22, 25, 28 e 30 a novembre 2016 quando, durante gli ultimi giorni della campagna referendaria, Renzi ricomincia a ripetere di non voler rimanere “aggrappato alla sedia”. Poi, per l’ultima volta, il 2 dicembre 2016, a poche ore dall’apertura dei seggi referendari: “Io posso lasciare domattina”.
Tornando al caso Kashoggi, una parte della politica italiana – quella dei compagni di viaggio a sinistra di Renzi, non l’estrema destra – chiede: “Matteo Renzi chiarisca su Mohammed bin Salman”. Grazie al rapporto statunitense sull’assassinio di Khashoggi, il mondo viene a conoscenza che il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman “ha approvato un piano per ucciderlo o catturarlo”.
Il coordinatore nazionale dei Verdi Angelo Bonelli chiede: “A questo punto il senatore Matteo Renzi si dimetta immediatamente dal board di Future investment iniziative da cui percepisce 80 mila dollari l’anno”. “Il senatore Matteo Renzi – continua l’esponente dei Verdi – che è stato Presidente del Consiglio dei ministri e che alcune settimane fa ha sostenuto insieme al principe saudita i progetti della città The Line per la cui realizzazione sono stati rasi al suolo villaggi di tribù locali. definendo tutto ciò un nuovo rinascimento, non può rimanere un minuto in più dentro quella fondazione”.
Attacca il Segretario di Sinistra Italiana Nicola Fraoianni: “Altro che nuovo Rinascimento, ora attendo con ancora più impazienza la conferenza stampa di Renzi preannunciata da tempo”.
Il Vicecapogruppo alla Camera del Movimento 5 Stelle Riccardo Ricciardi afferma: “In piena crisi di governo ho ben impressa l’immagine di Matteo Renzi che dialoga con il principe saudita Mohammed bin Salman, proprio quel Mohammed bin Salman che – secondo il rapporto dell’intelligence Usa – avrebbe approvato nel 2018 l’uccisione di Khashoggi. Trovo la cosa sconcertante. Sempre durante quei giorni, la Farnesina stabiliva di bloccare l’export di armi con l’Arabia Saudita. Scelta che oggi, dopo aver appreso del documento Usa, sembra ancora più giusta. A Renzi, invece, chiediamo per l’ennesima volta di fare luce sui suoi rapporti con il principe bin Salman”. I deputati del Movimento in Commissione Esteri in una nota chiedono “spiegazioni” a Renzi: “Se non ora quando?”.
Poi, alla fine, Matteo Renzi nelle sue eNews replica alle richieste avanzate da Pd, Liberi e uguali e M5S che gli chiedono di chiarire i suoi rapporti col principe Mohammed bin Salman, sostenendo che Riyad «è un baluardo contro l’estremismo islamico e uno dei principali alleati dell’Occidente da decenni». «Giusto e necessario avere rapporti con la monarchia, gli attacchi sono strumentali». Secondo l’ex premier, infatti, i partiti citati starebbero strumentalizzando l’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi al fine di attaccarlo per la sua «partecipazione all’evento Neo-Renaissance di Riyad». Quando Renzi, nei giorni della crisi del governo Conte II, andò a intervistare l’erede al trono saudita, il quotidiano Domani diede la notizia della sua appartenenza al FII Institute, organismo controllato dalla corona che lo pagherebbe 80 mila dollari l’anno. A chi gli chiede se svolga «attività stile conferenze o partecipazione ad advisory board o attività culturali o incarichi di docente presso università fuori dall’Italia», Renzi risponde di sì: «Sono previste dalla legge e ricevo un compenso sul quale pago le tasse in Italia. La mia dichiarazione dei redditi è pubblica. Tutto è perfettamente legale e legittimo». Poi, parlando del programma Vision 2030 del principe saudita, Renzi afferma che «rispettare i diritti umani è un’esigenza che va sostenuta in Arabia Saudita come in Cina, come in Russia, come in tutto il Medio Oriente, come in Turchia. Ma chi conosce il punto dal quale il regime saudita partiva, sa benissimo che Vision 2030 è la più importante occasione per sviluppare innovazione e per allargare i diritti».
Quanto all’omicidio Khashoggi, Renzi dice: «Ho condannato già tre anni fa quel tragico evento, anche nelle interviste e su tutti i giornali del mondo. Difendere i giornalisti in pericolo di vita è un dovere per tutti. Io l’ho fatto sempre, anche quando sono rimasto solo, come nel Consiglio europeo del 2015, per i giornalisti turchi arrestati. Difendere la libertà dei giornalisti è un dovere, ovunque, dall’Arabia Saudita all’Iran, dalla Russia alla Turchia, dal Venezuela a Cuba, alla Cina». L’Arabia Saudita «è un baluardo contro l’estremismo islamico ed è uno dei principali alleati dell’Occidente da decenni – ha concluso Renzi -. Anche in queste ore – segnate dalla dura polemica sulla vicenda Khashoggi – il Presidente americano Joe Biden ha riaffermato la necessità di questa amicizia in una telefonata al Re Salman. Ma Biden ha chiesto giustamente di fare di più. Soprattutto sulla questione del rispetto dei giornalisti».
Tempi Bui
Veramente vivo in tempi bui
E non è per rovinarti il pranzo
Che ti dico arriva la marea
E tu la scambi per entusiasmo
Veramente vivo in tempi bui
E non ho nulla di cui preoccuparmi
Perché sono diventato buio anch’io
Ma di notte sono uguale agli altri
E mi cambierò nome
Ora che i nomi non valgono niente
Non funzionano più
Da quando non funziona più la gente
Mi cambierò nome
Ora che i nomi non cambiano niente
Non funzionano più
Da quando non funziona più la gente
I tedeschi sono andati via
Come faremo ora a liberarci?
Non possiamo neanche uccidere il re
Perché si dice siamo noi i bersagli
Veramente vivo in tempi bui
Riuscivi solo a chiedermi per quanto
E ora son diventato buio anch’io
Che cos’hai tu da brillare tanto
E mi cambierò nome
Per passar le dogane e gli inverni
Andrò sempre più giù
Dove non serve tenere gli occhi aperti
E mi cambierò nome
Ora che i nomi non valgono niente
Non funzionano più
Da quando non funziona più la gente
E mi cambierò nome
Ora che i nomi non cambiano niente
Non funzionano più
Da quando non funziona più la gente
E mi cambierò nome
E mi cambierò nome
E mi cambierò nome
E mi cambierò nome
(Ministri, Album “Tempi bui”, 2009)