Mons. Nosiglia ricorda don Carlevaris: è stato sempre a fianco degli operai
Mercoledì 4 luglio nella chiesa della Piccola Casa della Divina Provvidenza di Torino mons. Cesare Nosiglia ha celebrato i funerali di don Carlo Carlevaris, il primo prete operaio torinese, animatore di una stagione di Chiesa improntata al sociale. Ordinato sacerdote nel 1950 fu cappellano di fabbrica dal 1952 al 1962.
Eppoi divenne per 20 anni operaio in fabbrica, dopo essere stato licenziato, come cappellano, dalla Fiat perché la sua predicazione era stata considerata non adeguata alla politica dell’azienda. Fu anche attivista sindacale nella Cisl, dal 1967 al 1986, occupandosi del rilancio della Gioc. Nel 1967, a seguito di un suo appello agli studenti del Seminario di Rivoli, molti giovani chierici andarono a lavorare in fabbrica. Don Carlevaris fu anche fondamentale nell’elaborazione della Lettera Pastorale ‘Camminare Insieme’ del card. Michele Pellegrino.
Nell’omelia mons. Nosiglia, commentando le letture, ha sottolineato il valore della carità: “Nella situazione odierna e in stretto raccordo con il dovere della missionarietà, va ripensata in grande anche la testimonianza della carità, per cui occorre coniugare carità e giustizia unendole insieme perché ogni azione dell’una tenga conto dell’altra in quanto intimamente unite: insieme sussistono e insieme cadono.
Ma il principio ispiratore resta pur sempre la carità che deve vivificare la giustizia immettendo in essa quell’impronta di gratuità e di rispetto della persona e dei suoi diritti. La testimonianza dei credenti nella società è quella di essere coscienza critica del vero senso della legalità. Rientra qui il detto del Concilio: la risposta della Chiesa non può essere solo l’assistenzialismo che lascia le persone sempre succubi di aiuti e sussidi ma deve anzitutto operare perché siano adempiuti gli obblighi di giustizia così che non avvenga che si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia”.
Eppoi ha testimoniato dell’azione che don Carlevaris ha svolto nella città: “E’ superfluo per quanti di voi hanno conosciuto don Carlo che sottolinei quanto questo insegnamento della Parola di Dio e della Chiesa sia stato assunto da lui con il massimo di impegno e di responsabilità, pagando anche di persona ma rimanendo sempre in questo campo, un testimone coerente ed esemplare per tutti.
La Chiesa di Torino in particolare deve molto a don Carlo perché con le sue scelte anche controcorrente l’ha stimolata a uscire fuori da una sudditanza dal potere economico e politico del suo tempo e ha contribuito a rinnovarla e a renderla più fedele al Vangelo e all’uomo come le hanno insegnato i suoi santi sociali”.
Commentando il vangelo del giorno mons. Nosiglia ha sottolineato che don Carlevaris ha operato secondo il Vangelo: “Tutto ciò pone in risalto una scelta molto simile alla situazione in ha operato don Carlo a suo tempo e di cui si è fatto carico: si tratta di mettere al primo posto la salvaguardia dei diritti umani e cristiani di giustizia propri di ogni persona, di fronte a un sistema di potere finanziario ed economico che pone invece al centro non la persona, ma il profitto.
Cosa che vale anche per noi oggi se pensiamo a quei lavoratori che malgrado le statistiche trionfali sulla ripresa in atto della occupazione, devono lottare per mantenere il loro posto di lavoro o non riescono a trovarlo come sono tanti giovani. Emergono poi nel nostro tempo con evidenza nuove povertà di persone scartate e rifiutate come sono tanti immigrati”.
Ed in un intervento a Cuneo in occasione del 50^ anniversario per la sua ordinazione sacerdotale don Carlevaris ha raccontato la sua vita di prete operaio: “Il cappellano, entrato in fabbrica in nome della carità e della giustizia del Vangelo, è spettatore inerme di questa situazione, di questa impari lotta. Da una parte gli uomini che difendono diritti, posti di lavoro, pane per i figli, che spesso a questo fine usano strumenti discutibili e che spesso sono anche nemici dichiarati della Chiesa.
Dall’altra parte, avversari che non mancano di dichiararsi cristiani, che difendono il lavoro, ma che sacrificano uomini in condizione di necessità verso i quali l’uso della forza del potere e del denaro diventa comunque lecita e arbitrariamente usata: i forti contro i deboli. Mi rendo presto conto che la presenza mia e della Chiesa può essere strumentalizzata. La mia stessa missione diventa espressione e compromissione a vantaggio del più forte. C’è dentro di me lo spogliamento di certezze e di ingenuità. Man mano che il braccio della FIAT si fa più pesante, in me cresce il bisogno di chiarezza, di scelte precise”.
Ed ha raccontato i suoi anni difficile nella testimonianza della radicale scelta cristiana: “Per me seguono anni difficili, spesso lontano da Torino dove, secondo il consiglio del vescovo, non devo più farmi notare, in attesa che passi la bufera. Vale ancora la pena portare il peso di un sacerdozio che è visto con sospetto e messo in discussione? L’amicizia di preti e di giovani cattolici che si sono impegnati con me, mi sostengono…
Dal Cottolengo, alla periferia, alla fabbrica. La spiritualità di Charles de Foucauld, delle Piccole sorelle di Gesù mi induce a fare una nuova scelta di vita. Resterò in qualche modo ai margini dell’istituzione, ma cercherò di essere vicino ai deboli e ai poveri. La Chiesa è sempre stata, ha sempre inteso voler essere a servizio, ‘per’ i poveri; spesso è stata anche al loro fianco, ‘con loro’. Forse si può fare un passo in più: per loro, ma anche ‘come loro’. Ed ecco la scelta operaia.
I preti-operai erano già presenti da tempo in Francia, in Belgio. Vi scoprii figure meravigliose. In Italia uno o due avevano incominciato a lavorare nella discrezione. A Torino arriva un vescovo-padre, amico dei poveri. padre Pellegrino accetta di fare con alcuni amici un piano di pastorale particolare: la missione operaia. Lui, uomo di scuola, ha scoperto i poveri di Torino tra gli immigrati del Sud, sfruttati nelle grandi aziende e guardati con sospetto da molti… La nostra vita è stata bella”.