A Bose il ricordo del cardinale Pellegrino: con la fede, andare contro corrente
“La povertà deve essere praticata anzitutto a livello individuale. E’ necessaria una radicale revisione della mentalità ancora largamente dominante, secondo cui ognuno è padrone dei propri averi e ne fa quello che vuole.
Ciò che si dice della povertà nel senso usuale della parola, relativamente ai beni economici, vale anche per i beni di altra natura, che l’uomo non deve considerare egoisticamente come appartenenti al singolo in modo esclusivo: parlo dei beni della cultura e dell’educazione, dei valori di ordine spirituale e religioso”:
questa frase del card. Michele Pellegrino è contenuta nel libro ‘Profezie per l’oggi’ a cura di Enzo Bianchi, priore del monastero di Bose, che ha dedicato un seminario di studio a 30 anni dalla sua morte avvenuta il 10 ottobre 1986, può essere riassuntiva del convegno svoltosi al monastero nelle scorse settimane.
Nella giornata conclusiva le relazioni di chiusura sono state affidate al prof. Francesco Traniello, presidente del Comitato scientifico della Fondazione ‘Michele Pellegrino’, ed al prof. Roberto Repole, docente di Teologia sistematica presso la sezione di Torino della Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale. Il primo ha proposto una lettura storica dell’interpretazione del Concilio Vaticano II fatta dal card. Michele Pellegrino.
Lo storico Traniello ha individuato le questioni essenziali di natura ecclesiale che hanno caratterizzato il pensiero di padre Michele Pellegrino: incarnazione, storia, comunione e responsabilità questi alcuni dei termini che il professore ha usato per tratteggiare l’ermeneutica di Pellegrino: “L’incarnazione prende sul serio la concretezza e l’umanità di Gesù, e dunque pone ogni cristiano e soprattutto la chiesa all’interno di una dimensione storica che non si può disertare.
La storia della salvezza e la storia di questo mondo allora si intrecciano inesorabilmente. Ed ecco l’universalismo cristiano del card. Pellegrino uomo attento e rispettoso verso il popolo di Dio, verso i presbiteri, i laici e i lontani della sua diocesi, ma anche vescovo che riconduceva a sé in ultima analisi ogni responsabilità”.
Il prof. Repole ha tratteggiato un profilo teologico del carmelitano a partire principalmente da alcuni punti della lettera pastorale ‘Camminare insieme’: “Se si dovesse rintracciare una espressione per evocare sinteticamente in che cosa consista la profezia di Pellegrino in ordine alla Chiesa si potrebbe forse parlare di ‘una Chiesa decentrata’ o, per ricorrere a un termine persino più incisivo che lo stesso vescovo di Torino ha usato, di ‘una Chiesa disinteressata’.
In occasione di una conferenza tenuta al circolo de ‘La Stampa’ il 15 gennaio 1966, Pellegrino sintetizzava infatti così l’atteggiamento della Chiesa nei confronti del mondo moderno, che si stava attuando attraverso il magistero di Giovanni XXIII, con la ‘Ecclesiam suam’ di Paolo VI e soprattutto con il Vaticano II, specie con il cosiddetto Schema 13, futura ‘Gaudium et spes’…
C’è una profezia in Pellegrino data dal desiderare e prospettare una Chiesa anzitutto al servizio di un Dio vivente e rivolto agli uomini; e, proprio per questo e a partire da qui, una Chiesa al servizio degli uomini nella loro concretezza, a cominciare dai più poveri: in un servizio che si esplica nell’annuncio evangelico e nel segno che tale porzione di umanità è chiamata a essere.
Da qui si sviluppa la necessità di un dialogo franco e intelligente con le istanze del mondo moderno; la centralità riassunta dalla Chiesa locale; il senso profondo delle necessarie riforme in vista di una Chiesa in cui si attui un’autentica corresponsabilità, nell’orizzonte del binomio, così difficile da comporre, di libertà e comunione”.
In apertura del convegno lo storico, prof. Paolo Siniscalco, aveva ricordato l’uomo di cultura e l’uomo di studio, animato da un fermo rigore scientifico e dal desiderio di diffondere lo studio delle fonti in un mondo accademico che ai tempi era alquanto diffidente nei confronti delle discipline storico-religiose.
La prof.ssa Clementina Mazzucco, fino allo scorso anno docente di Letteratura cristiana antica e di Filologia ed esegesi neotestamentaria presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, ha offerto un ritratto del card. Pellegrino come padre spirituale, che sapeva consigliare, confermare, stare a fianco:
“Indubbiamente emblematico è il carattere di ‘padre’ che gli è attribuito: è un titolo collegato in modo speciale al suo episcopato per effetto di una scelta precisa, comunicata al momento di assumere la carica e dettata dalla volontà di evitare appellativi onorifici, ma ispirata anche all’uso vigente nei primi secoli della Chiesa, al modello dei Padri della Chiesa antichi: così è diventato per tutti padre Pellegrino.
Però, anche nel caso del titolo di ‘padre’, si può dire che non fosse del tutto nuovo per lui, perché aveva svolto dagli inizi del sacerdozio in poi, tra i compiti pastorali, quello di direzione spirituale, era stato quindi ‘padre spirituale’ in vari ambiti e nei riguardi di diverse categorie di persone: alla Cattolica di Milano con i Missionari della Regalità di Cristo (laici consacrati);
in seminario a Fossano con i chierici dal 1929; diventato docente universitario a Torino, con gli allievi e gli ex allievi; durante e dopo l’episcopato, con membri del clero, religiosi, ma anche con laici. Senza contare l’intensa attività di predicazione nei vari esercizi spirituali, che praticò tutta la vita”.
E riprendendo la citazione iniziale il card. Pellegrino continuava: “Solo una visione dei valori illuminata dalla fede può ispirare e sostenere lo sforzo che è necessario per andare contro corrente. Infatti la povertà cristiana ha anche un aspetto di rinuncia volontaria, di ascesi come imitazione di Cristo che volle essere povero per arricchirci della sua povertà.
L’amore e la pratica della povertà è per la chiesa condizione essenziale per l’adempimento della sua missione. Ma se la povertà ha da essere testimonianza veramente cristiana, non può prescindere da quello che è il valore sommo del cristianesimo, la carità. La povertà pertanto deve essere vissuta nello spirito di solidarietà verso i fratelli, in modo tutto particolare verso i bisognosi, così da realizzare, in quanto possibile, un’uguaglianza nel fatto economico fra quelli che sono uguali come creature e figli di Dio”.