A Bose il racconto del martirio dei cristiani

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Al monastero di Bose si è svolto XXIV Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa, ‘Martirio e Comunione’, in cui è stata messa in luce l’intima connessione tra martirio e comunione, e il fondamento del martirio in Cristo: solo l’amore fino all’estremo vissuto da Gesù sulla croce è la ragione del dono della vita da parte del martire.

Il convegno ha voluto illuminare l’intimo legame tra la testimonianza resa a Cristo dai martiri e la comunione tra le Chiese, nei suoi fondamenti scritturistici e patristici, e nelle diverse tradizioni cristiane d’oriente e d’occidente. Come hanno messo in evidenza le conclusioni del convegno, i lavori hanno cercato di far emergere le potenzialità di comunione e gli orizzonti ecumenici del martirio cristiano, sollevando anche domande importanti: quando sarà possibile un martirologio comune?

L’essenziale del martirio cristiano è la testimonianza della verità nell’amore resa a Cristo, che è il primo Testimone della verità dell’amore misericordioso di Dio per gli uomini, fino al dono di sé sulla croce: “Il martirio esprime l’identità cristiana. Non è qualcosa di periferico, di accessorio o di occasionale. Riconoscere il martirio dell’altra chiesa, di queste chiese perseguitate, significa quindi riconoscere onestamente che là (e non qua) c’è la vera misura del nostro cristianesimo, là c’è la vera misura del vangelo, che noi spesso, troppo spesso, abbiamo annacquato e annacquiamo ancora, riducendolo a un fatto culturale.

Come ci è stato ricordato, il martirio è legato alla condizione del discepolo, il quale ‘prende’ e ‘porta’ la croce pazientemente dietro a Gesù… Il martirio che ricompare all’orizzonte delle nostre chiese deve essere dunque riconosciuto come un invito a ritrovare l’essenziale dell’identità ecclesiale, ricordando ai cristiani lo stile caratteristico della loro presenza nel mondo, se vuole essere una presenza evangelica, quindi di comunione e di riconciliazione. O lo stile cristiano è conformato alla croce di Cristo, o non è stile di comunione.

La figura del Cristo umiliato e crocifisso esprime una realtà sempre attuale della chiesa, non solo un’immagine del passato. In questo senso occorre fare un esame di coscienza (ecclesiale e teologico) per vedere se il gioioso e doveroso annuncio della resurrezione e del trionfo sulla morte, non abbia spesso portato con sé un modello ecclesiologico di tipo trionfalistico, che finisce per ‘svuotare la croce di Cristo’, nella quale soltanto possiamo trovare la nostra gloria, come dice l’apostolo Paolo.

Il destino del cristiano, della chiesa, del vangelo nel mondo non è, e non può essere, quello di un trionfo mondano, ma solo quello di una presenza crocifissa, di un amore crocifisso, come è stato per Gesù”. In apertura il segretario di stato vaticano, card. Pietro Parolin, aveva portato i saluti di papa Francesco:

“Il Santo Padre Francesco rivolge il suo beneaugurante pensiero ai rappresentanti delle chiese presenti, formulando voti affinché le giornate di studio e riflessione siano occasione propizia di incontro fraterno, di scambio e di sincera condivisione nel comune ascolto della parola di Dio e nell’approfondimento della tradizione spirituale delle chiese Ortodosse. Egli auspica che la riflessione sul martirio, quale preziosa eredità evangelica che accomuna tutte le chiese, ci disponga a considerare la via privilegiata dell’ecumenismo del sangue che precede ogni contrasto e rafforza il cammino verso l’unità”.

Anche il messaggio del patriarca Bartolomeo di Costantinopoli aveva sottolineato che “la chiesa ortodossa è stata profondamente segnata dal senso del martirio e della sofferenza, particolarmente in Asia Minore, in Russia e più recentemente in Medio Oriente e in Nord Africa… Anche in secoli più vicini a noi, particolarmente in Asia Minore, in Russia e più recentemente in Medio Oriente e in Nord Africa, la storia della chiesa ortodossa trabocca di persecuzioni e divisioni che hanno dato forma all’identità degli ortodossi e ne hanno definito la spiritualità.

L’umiltà che deriva dalla sofferenza è una virtù eminentemente ortodossa, che ha precisamente definito e profondamente modellato la teologia e la spiritualità ortodosse lungo i secoli… Nella nostra epoca, in cui vi è così tanta persecuzione insensata e così tanta sofferenza apparentemente nel nome della religione, il fine della comunione è l’unico elemento per discernere tra martirio e massacro.

Se il martirio non sfocia nella comunione e nella solidarietà, senza distinzioni né condizioni di sorta, siano esse etniche, politiche o altro, non si tratta del seme santo che diviene vita per la chiesa. Il martirio è la nostra vocazione, ma soltanto qualora la comunione sia la nostra aspirazione. Se aspiriamo al martirio ma esso è associato alla divisione, allora il risultato sarà soltanto una tragica perdita della vita”.

La relazione di Sua Beatitudine Youhanna X, patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente, è stata un’accorata testimonianza di fede e speranza della Chiesa di Antiochia, presente soprattutto in Siria: “Oggi, come sapete, sui nostri figli e sui nostri paesi soffiano venti di guerra che mirano a frantumare le nostre società e ad annientare la semplicità, il calore, la lentezza e le belle aspettative che le caratterizza.

Guerre di estranei a casa nostra, guerre di estremisti che mancano del minimo accettabile di umanità, di ragionevolezza, di sensibilità. Il nostro popolo, fratelli, ama la pace e la brama ardentemente. Noi siamo un popolo che ha il disgusto per le guerre e che detesta le armi. Nel corso del tempo, ha capito che il confronto violento non genera che distruzione, frantumazione e desolazione.

Sì, noi abbiamo capito che la violenza non edifica né le nazioni, né le democrazie, né le libertà come alcuni ritengono, ma al contrario semina calamità come l’odio, l’inimicizia e la divisione… La realtà dei nostri paesi è dolorosissima. Viviamo un’epoca tremenda in cui ampi strati della nostra società subiscono una persecuzione sistematica da parte delle organizzazioni religiose estremistiche che nulla hanno a che vedere con la religione, come si sa nei nostri paesi.

L’ondata di estremismo, di chiusura e di rigetto dell’altro che oggi imperversa nel Mediterraneo orientale mirando a estendersi al mondo intero, è un’ideologia che non ha niente a che vedere con la religione. Essa è senza alcun dubbio il risultato diretto di ostinate geopolitiche che non hanno seminato che odio. Tutta l’umanità, ora, non raccoglie se non terrore e morte.

Gli abitanti di centinaia di villaggi e di decine di città sono diventati profughi. Migliaia di madri hanno perso i loro figli. Sono state rase al suolo abitazioni, sono stati profanati luoghi di culto. Intere aree vengono ora svuotate dei loro abitanti autoctoni che in esse risiedono dall’alba della Storia”.

E proprio da questo martirio comune può nascere l’unità dei cristiani: “L’unità cristiana viene costruita e diventa piena nella misura in cui ognuno di noi aspira all’unità con Cristo e si lascia attrarre da lui. Io mi unisco all’altro cristiano nella misura in cui io aspiro con lui a essere in unità con Cristo e a essere attratti da lui in una maniera tale da non essere bloccati dalle contingenze storiche, da superare le questioni futili e superficiali, da essere sostenuti e temprati dalla dottrina vera e dalla fede tramandataci di generazione in generazione”.

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