La diocesi di Nola contro la camorra
Ancora una volta il fatto si è ripetuto: questa volta nella diocesi di Nola, dove i portantini della statua della Madonna del Rosario di Livardi, piccola frazione di San Paolo Bel Sito, domenica 5 giugno, hanno violato il percorso stabilito per la processione, voltandosi verso il vicoletto che porta presso l’abitazione dei Sangermano, famiglia emergente della malavita locale, credendo che tutti avrebbero chiuso gli occhi.
Invece il parroco, don Fernando Russo, si è tolto la stola ed ha abbandonato la processione; immediatamente l’esempio è stato seguito dal maresciallo dei Carabinieri, Antonio Squillante. Il sacerdote ha riferito dell’accaduto il vescovo mons. Beniamino DePalma ed il maresciallo ha steso un verbale, tantochè il giorno successivo il vescovo ha scritto una lettera pubblica a don Russo e alla frazione di Livardi:
“Questo ingiustificabile comportamento mi ha rattristato nel profondo. Nell’ascoltare il tuo racconto ho percepito il dolore che hai provato nel vedere il tuo gregge procedere come se non avesse una guida, ignorando la tua presenza e le tue scelte pastorali, ignorando colui che rappresenti: Gesù Cristo”.
Don Russo ha invitato la popolazione a non sottovalutare la lettera del vescovo: “Purtroppo nella nostra terra si tende a sottovalutare questi episodi. Anche le persone per bene ti dicono ‘sii tollerante, non esagerare, non ti esporre’. Però io e il maresciallo in quel gesto abbiamo visto una grande prepotenza. Volevano dire ‘qui comandiamo noi’.
Ora però basta, c’è bisogno di azioni, anche silenziose come andarsene da una processione, per dire ‘no’ a logiche che non ci porteranno da nessuna parte. Noi parroci spesso siamo in trincea e sottoposti a forti pressioni di questo tipo, ma la cosa non fa rumore. Anche per questo ho voluto alzare un velo”.
Nella lettera il vescovo ha scritto che ha appoggiato la ‘giusta’ scelta del sacerdote: “Lo abbiamo confermato come Chiesa locale anche durante i recenti lavori del Sinodo diocesano la doverosa disponibilità pastorale, in merito alla pietà popolare, non può infatti tradursi in pigra e interessata connivenza, ‘ne risentirebbero la chiarezza della fede, di cui la Chiesa è debitrice al mondo, e la trasparente testimonianza della comunità parrocchiale’”.
Mons. Depalma ha richiamato i documenti ecclesiali sulla ‘pietà popolare’: “Fine della pietà popolare non è, infatti, l’affermazione del sentire religioso diffuso sulla fede della Chiesa fondata sulla rivelazione e sulla tradizione apostolica: fine della pietà popolare, così come ribadito dalla Conferenza Episcopale Campana nel documento del 2013, ‘Evangelizzare la pietà popolare’, è la maggior gloria di Dio e la santificazione dei fedeli; fine che condivide con la liturgia verso cui deve essere orientata essendo questa ‘il culmine verso cui tende tutta l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù’ (SacrosanctumComcilium, 10).
La Chiesa tutta è chiamata ad essere testimone del suo Signore: o la pietà popolare diventa possibilità di incontro con Lui e possibilità di pubblica dichiarazione del nostro amore incondizionato per Lui, o si riduce a messa in pratica di riti, anche antichi, ma deformati, svuotati, ridotti a pratiche superstiziose o strumentalizzate nell’illusoria convinzione che dimostrare di avere il governo del culto, e quindi poter decidere la sosta di una statua, sia segno della benevolenza di Dio”.
Secondo il vescovo la misericordia non è ‘pietismo’ e quindi non può esistere senza la verità e la giustizia. Per questo ha chiesto a chi ha compiuto l’ ‘inchino’ il pentimento: “Il nostro Dio, il cui volto paterno ci è stato rivelato da Gesù Cisto, è amore. Lo crediamo, lo sappiamo.
Ma quest’amore non è slegato dalla verità e non è slegato dalla giustizia: l’amore non può essere preteso, l’amore può solo essere liberamente donato e liberamente accolto. Lo sguardo di Dio, anche attraverso quello della Vergine e dei Santi, è sempre rivolto all’umanità, ad ogni singolo uomo: nessuno è escluso da quest’amore! A tutti è richiesta una sola cosa, rispondervi seguendo Gesù Cristo.
A quanti hanno violentato la processione di Livardi, pretendendo l’omaggio della statua, e quindi della Chiesa, dico: se desiderate l’amore chiedete perdono per la vostra arroganza, solo così quello sguardo preteso si rivelerà quale amore gratuito che non vi chiama al comando della comunità cui appartenete ma al suo servizio, in umiltà”.
Ha concluso la lettera rivolgendosi al sacerdote ed alla comunità di credenti: “Nello scrivere a te, caro Fernando, e alla comunità di Livardi, oltraggiata in un momento di festa, e nel confermarti la mia paterna ed episcopale vicinanza, ribadisco il mio sostegno e la mia preghiera per i parroci della diocesi che quotidianamente si trovano a fronteggiare l’arroganza di quanti, ritenendosi depositari anche della fede credono di poter disporre di essa e della Chiesa per soddisfare un desiderio di affermazione personale al quale tutto va subordinato, anche Dio”.
La Chiesa in molte occasioni ha ribadito il carattere religioso e civile delle processioni; nel 2002 la Congregazione per il Culto divino ha emesso un direttorio riguardante la pietà popolare in rapporto con la liturgia, che ai numeri 246/247 afferma: “Nelle forme genuine le processioni sono manifestazioni di fede del popolo, aventi spesso connotati culturali capaci di risvegliare il sentimento religioso dei fedeli.
Ma sotto il profilo della fede cristiana le ‘processioni votive dei Santi’, come altri pii esercizi, sono esposte ad alcuni rischi e pericoli: il prevalere delle devozioni sui sacramenti, che vengono relegati in un secondo posto, e delle manifestazioni esterne sulle disposizioni interiori; il ritenere la processione come momento culminante della festa; il configurarsi del cristianesimo agli occhi dei fedeli non sufficientemente istruiti soltanto come una ‘religione dei Santi’; la degenerazione della processione stessa per cui, da testimonianza di fede, essa diventa mero spettacolo o parata puramente folkloristica.
Perché la processione conservi in ogni caso il suo carattere di manifestazione di fede è necessario che i fedeli siano istruiti sulla sua natura sotto il profilo teologico, liturgico, antropologico. Dal punto di vista teologico si dovrà mettere in luce che la processione è un segno della condizione della Chiesa, popolo di Dio in cammino che, con Cristo e dietro a Cristo, consapevole di non avere in questo mondo una stabile dimora, marcia per le vie della città terrena verso la Gerusalemme celeste; segno anche della testimonianza di fede che la comunità cristiana deve rendere al suo Signore nelle strutture della società civile; segno infine del compito missionario della Chiesa, la quale sino dagli inizi, secondo il mandato del Signore, si è messa in marcia per annunciare per le strade del mondo il Vangelo della salvezza”.