Via Crucis: potenza della Misericordia
Nella mia città ormai è diventato un tradizionale appuntamento quello che offre il coro polifonico ‘Città di Tolentino’ nei giorni precedenti la Settimana Santa. In questo anno giubilare il coro polifonico, sotto la direzione del maestro Aldo Cicconofri, ha eseguito lo ‘Stabat Mater’ di Gioacchino Rossini per soli, coro e pianoforte a quattro mani, nella trascrizione di Carl Czerny, con i soprani Anastasia Petrova ed Ekaterine Mazmishvili, il tenore Fu Schuangzai, il basso Gianluca Gambini e, al pianoforte a quattro mani, Marco Scolastra e Narek Gevorgyan.
La composizione rossiniana per coro e orchestra (insieme alla ‘Petite Messe Solennelle’) ruppe quel ‘silenzio’ di Rossini che iniziò dopo il ‘Guiglielmo Tell’ (1829) e durò fino alla morte del compositore (1868). Fu la frequentazione degli ambienti della finanza parigina a creare l’occasione per la composizione dello ‘Stabat Mater’ e in particolare l’incontro col banchiere Alejandro Aguado, che lo invitò a visitare con lui la Spagna.
Fu il commissario generale della Santa Cruzada, padre Manuel Fernandez Varela, a presentare la richiesta più impegnativa: attraverso l’intercessione di Aguado convinse Rossini a mettere in musica la sequenza di Jacopone da Todi, a patto che rimanesse nell’ambito della cappella del Valera e non fosse mai data alle stampe. La prima della nuova versione ebbe luogo il 7 gennaio 1842 e fu un notevole successo di pubblico, di stampa e di critica. Rossini, rimasto a Bologna, acconsentì a un’esecuzione solenne nella città, curandola anche personalmente, e che sarebbe stata diretta da Gaetano Doninzetti.
Da allora lo ‘Stabat Mater’ cominciò a circolare in tutta Europa. Il componimento di Jacopone di Todi è una composizione potente che esalta la Resurrezione del corpo di Gesù, come è testimoniato dall’inizio e dal finale della struttura: “Sostava la Madre addolorata, piangendo sotto la croce, da cui pendeva il Figlio. La sua anima gemente, rattristata e dolente, penetrò una spada…
Che io non sia bruciato dalle fiamme, che io sia, o Vergine, da te difeso nel giorno del giudizio. Fa’ che sia protetto dalla croce, e premunito dalla morte di Cristo, possa consolarmi della grazia. Quando il corpo morirà fa’ che all’anima sia donata la gloria del paradiso. Così sia”.
Dopo Jacopone da Todi molti scrittori ed artisti hanno esercitato la loro arte nella descrizione di questo atto doloroso e misericordioso di Dio amante dell’uomo: da Dante a Manzoni, da Chrétien de Troyes a Calvino, fino a Pier Paolo Pasolini, Giuseppe Jovine ed a Mario Luzi si è raccontato la Passione di Dio che ha dato il suo Figlio per la salvezza di tutti.
Sublime è la sequenza medievale, che ancora oggi la Chiesa tramanda ai fedeli per ribadire che il male e la morte sono stati sconfitti dalla Resurrezione corporale di Cristo: “Alla vittima pasquale s’innalzi il sacrificio di lode, l’agnello ha redento le pecore, Cristo innocente ha riconciliato i peccatori col Padre.
La morte e la vita si sono affrontate in un prodigioso duello: il Signore della vita era morto, ora, vivo, regna. Dicci, o Maria, cosa vedesti sulla via? Ho visto il sepolcro del Cristo vivente e la gloria di colui che è risorto; gli angeli testimoni, il sudario e le vesti; Cristo mia speranza è risorto e precede i suoi in Galilea. Siamo sicuri che Cristo è veramente risorto da morte. Tu, Re vittorioso, abbi pietà di noi. Amen. Alleluia”.
Nel secolo scorso sono stati molti coloro che hanno affrontato la ‘vittoria’ di Cristo sulla morte, tantoché il filosofo Giovanni Reale ha così commentato il passo di Isaia del ‘Servo paziente’, ovvero ‘rivestito di misericordia’: “Per salvare gli uomini e per insegnare loro il vero amore, Dio si è ‘abbassato’ fino a loro, e proprio in questo ‘abbassamento’ ha offerto l’agape, l’amore assoluto, che anziché ‘acquisitivo’ al più alto grado è ‘donativo’ al più alto grado, in quanto instaura un rapporto inversamente proporzionale fra chi ama e la cosa amata rispetto al pensiero platonico.
Allora, se l’amore assoluto coincide con l’abbassamento assoluto: Dio si è abbassato in Cristo al punto che anche il più misero degli uomini può essere certo di essere amato da lui. E questa è la Bellezza nel fulgore massimo che sola può salvare in senso totale”. Ma il culmine è raggiunto nella composizione che Mario Luzi fece nel 1999 quando san Giovanni Paolo II gli commissionò di scrivere le meditazioni per la Via Crucis al Colosseo.
Tra i momenti più toccanti della meditazione di Luzi, vi è il racconto dell’affetto di Gesù per gli uomini: “Padre mio, mi sono affezionato alla terra quanto non avrei creduto. E’ bella e terribile la terra. Mi sono affezionato alle sue strade, mi sono divenuti cari i poggi e gli uliveti, le vigne, perfino i deserti. E’ solo una stazione per il figlio tuo la terra ma ora mi addolora lasciarla e perfino questi uomini e le loro occupazioni, le loro case e i loro ricoveri mi dà pena doverli abbandonare”.
A cui segue questa meravigliosa chiusa corale verso l’amore misericordioso di un Dio che ha offerto il proprio Figlio: “L’offesa del mondo è stata immane. Infinitamente più grande è stato il tuo amore. Noi con amore ti chiediamo amore. Amen”. Il card. Gualtiero Bassetti nelle meditazioni dell’imminente ‘Via Crucis’ al Colosseo ha così chiuso la XIV stazione in attesa della Resurrezione pasquale nella speranza di un vita ‘nuova’:
“L’uomo, abbagliato da luci che hanno il colore delle tenebre, spinto dalle forze del male, ha rotolato una grande pietra e ti ha chiuso nel sepolcro. Ma noi sappiamo che tu, Dio umile, nel silenzio in cui la nostra libertà ti ha posto, sei all’opera più che mai per generare nuova grazia nell’uomo che ami. Entra, dunque, nei nostri sepolcri: ravviva la scintilla del tuo amore nel cuore di ogni uomo, nel grembo di ogni famiglia, nel cammino di ogni popolo”.