La Presenza tra memoria e attesa
Verrà nella gloria
La Chiesa, avviandosi verso la conclusione dell’anno liturgico, orienta lo sguardo dei suoi figli verso i “tempi ultimi” dell’uomo e della storia. L’umanità non attende un tempo e un luogo sconosciuti ma va incontro a una persona che è Cristo Re, Giudice di misericordia. Soltanto chi conosce la meta non si smarrisce nel cammino. Il brano del vangelo di Marco (13, 24-32), annunzia, più che la venuta di Cristo, il suo ritorno nella gloria e ci invita, altresì, a comprendere fin d’ora i segni della sua presenza rimanendo ancorati alla sua parola e, vivendo in attesa senza forme di disimpegni e di evasioni.
La storia è incamminata non verso la catastrofe cosmica ma verso il compimento del regno di Dio. Il cristiano vive la speranza nell’impegno costante a collaborare per la costruzione di un mondo che sia anticipo, annunzio e pregustazione del futuro. La parte centrale del discorso escatologico di Gesù ha tre momenti: la venuta del Figlio dell’uomo (v. 24-27), la parabola del fico (v. 28-29), i detti sulla certezza e sull’imprevedibilità della fine (v. 30-32).
– Il sole si oscurerà…
Con immagini del linguaggio apocalittico, sono descritti i segni che precedono il compiersi dell’evento finale della storia. In queste visioni simboliche, che non dicono la fine del mondo, la terra, infatti, non viene toccata. Sono sconvolti soltanto gli spazi celesti poiché essi saranno attraversati dalla venuta del Figlio dell’uomo con la sua potenza e la sua gloria. Il sole e la luna saranno offuscati perché nel cielo apparirà la Gloria cioè la manifestazione in splendore della fonte della luce che è il Figlio dell’uomo, la Luce del mondo. Anche san Paolo, scrivendo ai Romani, ci istruisce che alla fine dei tempi tutto il creato parteciperà alla progressiva liberazione dalla corruzione per essere glorificato con l’umanità redenta. L’uomo e il cosmo, partecipando all’azione sovrana di Dio, saranno pervasi dalla forza trasfigurante della risurrezione di Cristo. Anche il creato, come il corpo umano, morirà ma da quella morte nasceranno cieli nuovi e terra nuova.
– Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi…
Il cosmo non sarà né annullato né distrutto, è messa in luce, infatti, l’improvvisa venuta del Figlio dell’uomo. Viene sulle nubi: i segni della potenza e della presenza di Dio. Viene con grande potenza e gloria: i gesti dell’essere Dio. Il fine ultimo per cui viene è quello di radunare gli eletti e realizzare l’incessante speranza cristiana: radunare la famiglia degli eletti sulla terra per introdurla nel trionfo del regno dei cieli.
– Quando accadrà questo e quale sarà il segno?…
Le perplessità dell’uomo riguardano i “segni premonitori”, quando accadrà e che direzione avranno il tempo e la storia? Lo stesso Gesù lascia nelle mani del Padre sia i tempi, sia i modi. La speranza cristiana ha la forma della parabola del fico da cui bisogna imparare: i segni della primavera, lo sbocciare delle gemme e i frutti saporosi. Il germoglio fa vivere la vita come parabola e Giovanni ci illumina con questa esortazione: Voi siete già figli, ma quello che sarete non è stato pienamente rivelato (1Gv 3,2).
Dopo la parabola del fico e la sua applicazione, Gesù conferma la vicinanza della sua venuta nella gloria ma, affermandone l’imprevedibilità, si rifiuta di fissarne la data. I discepoli, a riguardo, non devono lasciarsi trarre in inganno da fanatismi devianti, ma devono credere alla sua parola che è irrevocabile, verace e valida. Anche se il cielo e la terra dovessero passare, afferma con decisione Gesù, le sue parole non passeranno mai. L’unico criterio per i discepoli è di credere alle sue parole che sono luce alla vera comprensione degli eventi storici. Soltanto la parola del Maestro sostiene la speranza cristiana e fonda il vero atteggiamento di vigilanza laboriosa e di testimonianza responsabile.
– Annunziamo la tua morte, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta.
Nella celebrazione eucaristica, la comunità orante s’immerge misticamente nella visione della seconda venuta del suo Signore che attende con fede, nella fiducia di quella speranza che si fonda sul sacrificio unico e definitivo di Cristo. L’impegno del discepolo che vive nel fascino e nel dramma del già e del non ancora, è quello di lasciarsi invadere dalla potenza trasfigurante del Sacrificio di Cristo ricordando l’ammonimento: manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è fedele Colui che ha promesso (Eb 10,23).
Vieni, Signore Gesù!
All’incominciare dell’anno liturgico, nel cuore e nella mente, risuonano le parole più vive e più suggestive del Concilio Vaticano II: “La santa madre Chiesa considera suo dovere celebrare con santa memoria, in determinati giorni nel corso dell’anno, l’opera salvifica del suo Sposo divino. Nel ciclo annuale, essa presenta tutto il mistero di Cristo – dall’incarnazione e natività fino all’ascensione, al giorno di pentecoste e all’attesa della beata speranza e del ritorno del Signore – ricordando in tal modo i misteri della redenzione, La Chiesa apre ai fedeli le ricchezze delle azioni salvifiche e dei meriti del suo Signore, così che siano resi in qualche modo presenti in ogni tempo, perché i fedeli possano venirne a contatto ed essere ripieni di grazia della salvezza”. Il Signore che è venuto, viene ancora e verrà alla fine dei tempi. Egli continua a venire in un restare dolcissimo nel sacramento della sua Chiesa, suo Corpo, sua Sposa. La divina Eucaristia, nella fragilità dei nostri giorni, immette Gesù Cristo con il suo sacrificio e il pegno della gloria. Il credente non deve avere paura di fronte alle inquietudini, agli avvilimenti e alle sfiducie perché l’Eucaristia è la forza e la speranza della Chiesa.
Nel Vangelo rimane permanente l’esortazione a vivere nella vigilanza orante perché la liberazione è vicina, cioè Cristo è con noi e in noi e perciò bisogna attendere ed essere preparati a comparire davanti al Figlio dell’uomo. Se fossimo privi di quest’attesa nella speranza, saremmo partecipi della dissoluzione. San Paolo, preoccupato della sua comunità, la esorta a non agitarsi, a non affannarsi in calcoli vani o in aspettative cronologiche, ma a prepararsi alla venuta di Cristo.
Essa è annunciata come la rifioritura dell’antico tronco di Iesse, il padre di Davide. L’annunzio del germoglio è tradizionale nel messianismo regale. Il germoglio mira a far rifiorire la speranza che Dio è fedele e realizza a suo tempo le promesse di salvezza che ha fatto.
Cristo è sempre presente nella storia e verrà alla fine dei tempi quando Egli sarà la perfezione di tutto quello che è stato creato in lui e in vista di lui. Ogni credente, mentre lo accoglie nel sacramento della Chiesa e lo annunzia a tutte le genti, lo invoca con il grido d’amore che sgorga dal cuore: Vieni, Signore Gesù!