La figurazione di Balthus

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La possibilità di entrare nel mondo pittorico di uno di maggiori artisti figurativi del Novecento ci è data dalla mostra: “Balthus. La retrospettiva. L’atelier”. La mostra è dislocata in due sedi: la prima parte è alle Scuderie del Quirinale, la seconda a Villa Medici, entrambe a Roma fino al 31 gennaio 2016. Sono a cura di Cécile Debray, curatrice del Musée National d’Art Moderne/Centre Pompidou. La mostra dei dipinti di Balthasar Klossowski de Rola (1908-2001) in arte Balthus, è essenzialmente monografica, con l’eccezione di alcune tele dello scrittore Pierre Klossowski (1905-2001) fratello di Balthasar.

Nelle due sedi si vedono circa duecento opere – importanti e significative –  tra quadri, disegni e fotografie, provenienti dai più importanti musei europei ed americani e da collezioni private. La mostra di Villa Medici – Balthus fu direttore dell’Accademia di Francia a Roma dal 1961 al 1977, intraprendendo una vasta operazione di restauro di Villa Medici e dei suoi giardini – documenta i luoghi privati: il lavoro di disegno nell’atelier, l’uso delle modelle, le tecniche e il ricorso alla fotografia. Quella alle Scuderie è storico-artistica ed eminentemente pittorica: con una interessante sottolineatura della emulazione della figurazione rinascimentale di Masaccio e di Piero della Francesca da parte di Balthus. Il suo primo viaggio in Italia fu nel 1926.

La biografia ci dice molto di lui. Balthasar Klossowski de Rola nacque a Parigi nel 1908. Il padre – di nascita polacca – era Erich Klossowski, storico dell’arte, pittore e scenografo teatrale; la madre, Baladine Klossowska, era russa, anche lei pittrice ed acquerellista. Durante la Prima guerra mondiale la famiglia si rifugiò in Svizzera nella regione di Ginevra. La sua prima formazione avvenne lì, in un ambiente aristocratico, dotto e cosmopolita di cui fecero parte il poeta Rainer Maria Rilke e scrittori e artisti come André Gide, Maurice Denis e Pierre Bonnard. Precoce disegnatore, nel 1930, Balthus pubblicò il suo primo libro d’arte: “Mitsou”, con prefazione di Rilke, nel quale compariva in stile “graphic novel” il simbolo del “gatto” – metafora dello sguardo sornione e anaffettivo dell’artista – un “doppio” che lo avrebbe accompagnato anche nella pittura.

Dal 1933, Balthus si stabilì a Parigi, dove frequentò l’ambiente degli amici del fratello Pierre Klossowski: letterati e intellettuali come Georges Bataille, Pierre-Jean Jouve e Pierre Leyris e anche i “surrealisti”. Frequentò artisti come Cézanne, Matisse, Mirò, Masson, pur restando fondamentalmente un autodidatta. Nel 1934 la Galerie Pierre propose la sua prima esposizione personale. Tra i visitatori e recensori vi fu lo scrittore e autore teatrale Antonin Artaud. Balthus aveva 27 anni quando nel 1935 collaborò con lui per le scene e i costumi de “I Cenci” tratto da un’opera di Shelley. Dal 1953 al 1961 Balthus avrebbe vissuto nel castello di Chassy, nel Morvan, dipingendo grandi composizioni – scene d’interni, paesaggi – caratterizzate da una figurazione densamente dipinta e colorata, ma composta e straniata. A decretarne il successo sarebbe stato il  mercante newyorchese Pierre Matisse, figlio del pittore Henri. Nel 1956 il Museum of Modern Art di New York avrebbe organizzato la prima importante retrospettiva della sua opera. Dal 1961 la vita di Balthus si svolse a Roma fino a quando – già anziano – si trasferì nel suo chalet di Rossinière, in Svizzera, dove sarebbe morto il 18 febbraio 2001.

Balthus ha attraversato tutta la cultura artistica del Novecento e si è collocato nell’ambito della pittura figurativa post-cubista e post-avanguardistica. Uno stile del dipingere (quello che fu anche di De Chirico, di Magritte, di Guttuso) che Balthus indirizzò verso un mondo esperienziale del tutto personale: fatto di legami introversi, di relazioni socchiuse in stanze, di simboli dell’infanzia e della nudità colti nella “crudeltà” dello sguardo.

Tra i maggiori dipinti in mostra vi è “La Rue”, del 1933: una scena di strada ambientata a Parigi, nella quale si muovono bambini, lavoratori, passanti raffigurati in prospettiva geometrica e in una atmosfera astratta che li rende vivi e mostruosi al tempo stesso. Si vede poi “Les enfants Blanchard” del 1937. Ancora due bambini che giocano, ma loro postura è scomoda, infantile, in equilibrio instabile sopra e sotto un tavolo e così si offrono in una gestualità senza senso. Di grande rilevo alle Scuderie è “La chambre” del 1952-1954 che va visto insieme a “La chambre turque” del 1965-1966 in mostra a Villa Medici. Questo quadro fu originariamente dipinto proprio lì, nella stanza decorata da Horace Vernet nell’800. La donna giapponese che vi appare è la moglie di Balthus, Setsuko Ideta, raffigurata con un’allusione alle odalische di Ingres, anche lui a Villa Medici al principio dell’800. A Villa Medici è esposto anche uno degli ultimi quadri realizzati da Balthus: una composizione incompiuta in cui si evidenzia la tendenza all’uso coprente e cancellante del colore.

Nella foto: Balthus, “Il gatto allo specchio”, olio su tela, 1988.

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