O Virgo virginum
Nella spiritualità liturgica, l’Avvento è il tempo mariano per eccellenza. L’attesa del Messia, infatti, raggiunge il suo vertice in Maria che in questo periodo ha un suo spazio unico ed elevante. Si pensi alla proclamazione delle pericopi evangeliche di Matteo e ai Vangeli dell’infanzia di Luca. I Padri della Chiesa, da Ireneo ad Agostino, da Bernardo a Isacco della Stella e a tanti altri scrittori, affermano, con illuminata sapienza, che la Vergine dell’Avvento è Madre di speranza. Ci fu un tempo in cui il fervore dell’attesa fece creare altre Antifone “O” rivolte alla Figlia di Sion, che apre il segreto dell’Avvento. Tra queste ce n’è una che esprime, con interrogativi ed esclamativi di sorpresa e di stupore, il mistero che avvolge Maria:
O Vergine delle vergini,
come potrà avvenire questo?
Nessun’altra donna è stata mai simile a te,
né mai lo potrà essere in futuro!
Figlie di Gerusalemme, perché vi meravigliate di me?
Quello che voi vedete è mistero divino.
Il testo, sostanziato di Santa Scrittura, canta l’incarnazione di Dio nel grembo verginale della figlia di Sion e la risposta che Maria dà al mistero unico e ineffabile che in Lei si compie. Nella Spagna visigota, troviamo quest’Antifona in una particolare celebrazione liturgica del 18 dicembre, voluta dai Padri del Concilio di Toledo nel 656 e denominata Expectatio partus Beatae Mariae Virginis. “La festa della Madre – affermarono i Padri, non è nient’altro che l’Incarnazione del Verbo”. In seguito, la celebrazione prese il nome di “Festa di Nostra Signora della O”. Si celebrava solennemente di buon mattino e vi partecipavano tutte le donne in attesa di un figlio per venerare la divina maternità di Maria e implorare da Lei soccorso nel momento del parto. In effetti, si trattava di una vera e propria festa della vita nascente. L’Avvento, per la Vergine Madre, fu singolare e privilegiato tempo di grazia, perché, come canta il Prefazio, fu Lei che “attese e portò in grembo con ineffabile amore” quel Figlio di Dio che è per noi Dono, Grazia, Salvezza.
Al culmine dell’Avvento, Dio si manifesta attraverso i processi della “discontinuità dello Spirito” che soffia dove, come e quando vuole. Maria, nella fedeltà al Fiat, accoglie questo particolare modo divino di operare con l’uomo nella storia. Non c’è, però, vera fedeltà che non richieda urti, scollamenti e ribellioni e che non esiga piena e gioiosa disponibilità a cambiare, talvolta anche radicalmente, i propri progetti di vita. Questo avviene non solo per l’uomo, ma anche per la vita di quei gruppi ecclesiali che, credendo di essere fedeli a una certa “tradizione” sempre uguale a se stessa, sono convinti di salvaguardare la propria identità. Obbedire allo Spirito significa rivedere costantemente i propri progetti di vita, costruiti e curati ogni giorno a fatica anche nei particolari, per iniziare un altro modo di vivere totalmente inedito e incarnato nella storia. La Vergine dell’Avvento ci insegna che solo una continuità costruita secondo la profezia dello Spirito fa germogliare i fiori, anche dalle rocce del deserto. Viverne la spiritualità comporta sempre abbandonarsi agli imprevedibili interventi dello Spirito per fare esperienza della straordinaria avventura del Dio-con-l’uomo.
Nel terreno fecondo dell’Avvento troviamo le radici: l’Immacolata Vergine Madre! Lei è l’immagine più vertiginosa dell’attesa messianica. Nel piccolo villaggio, annidato sui monti della Galilea, convergono lo sguardo di Dio e le promesse messianiche nel cuore docile e interrogante di Maria. L’attesa e l’Atteso s’incontrano nel grembo della Vergine di Nazareth che porta a compimento la lunga storia e ne prepara un’altra proiettata verso l’ultimo avvento del Signore alla fine dei tempi. Il frutto del grembo è il mistero che porta a compimento l’attesa. Maria è la Donna che traccia l’itinerario della speranza. All’irruzione dell’angelo, in preda al turbamento, Lei esce dal suo silenzio e, trepidante, chiede: Com’è possibile? Maria domanda il modo, cioè, vuole capire come Dio realizzerà la sua volontà in Lei, per disporsi alla sua azione. La speranza si apre al “come avverrà”. Maria sa bene che, secondo la legge mosaica, una ragazza che non fosse stata trovata in stato di verginità il giorno delle nozze sarebbe stata immediatamente lapidata davanti alla porta della casa paterna. Il suo atto di fede è improntato a grande fiducia, perciò si abbandona liberamente e totalmente all’Amore. Maria non deve “fare” perché è lo Spirito Santo che opera in lei.
Turbamento e interrogativo rendono visibile l’infinita distanza tra la creatura e il suo Creatore. La fede è dono dall’alto, ma proprio per questo è anche fatica di entrare nel mistero della volontà divina; ma ecco la garanzia: Nulla è impossibile a Dio. Catturata dal Mistero, Maria canta la sua disponibilità umile e fiduciosa e la sua accettazione cosciente, responsabile ed entusiasta e con la sua vita celebra in anticipo i contenuti del Padre nostro. Una Donna ribalta le sorti dell’umanità distrutta dalla prima donna e così Maria si affida pienamente al suo “Dio possibile”: Avvenga di me quello che hai detto. L’Ecce della disponibilità piena e cosciente e il Fiat dell’accettazione gioiosa e totale uniscono, in un connubio d’indissolubile energia, il Dono divino e l’accoglienza umana. L’infinita distanza tra l’onnipotenza di Dio e la fragilità della sua creatura è così colmata dalla potenza dello Spirito Santo, Artefice dell’Alleanza d’Amore consumata tra il Verbo e l’umanità.
Lo Spirito, Effusione d’Amore del Padre, assume e feconda la Vergine intatta: è questa la prima Pentecoste in cui si esprime la “pienezza del tempo” che è “pienezza del Verbo”. Lo Spirito Santo, quale Nube imperscrutabile della Gloria divina, scende su Lei come sul suo prezioso Santuario: E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità (Gv 1,14). Maria, la nuova dimora di Dio fra gli uomini, ci invita a fare nostro il suo Fiat perché come Lei, anche noi, saremo capaci di essere “casa per Dio” e fare spazio all’Emmanuele, il Dio con noi.
L’Avvento di speranza avrà il suo compimento nella povertà della grotta di Betlemme. Il gesto d’interrogare Dio nella fatica del discernimento e il decidersi per Lui nel radicalismo dell’obbedienza all’Amore, rende la Donna di Nazareth la Madre del Verbo Incarnato.
Dal Fiat dell’annunciazione inizia l’itinerario di fede di Maria che dal grembo materno va verso il grembo della tomba, lì dove la Vita sepolta esplode in risurrezione e glorificazione. L’attesa della Madre di Dio si contempla nel suo stupore, che non è momentaneo e passeggero, ma si estende nell’adorazione di quel Magnificat che si prolunga per tutta l’eternità.
C’è un tempo e c’è un inizio che si colloca all’interno della storia. Esiste un luogo chiamato Nazareth, che è lo spazio della quotidianità, religiosamente e umanamente insignificante. Il luogo della speranza è lì dove ognuno vive la propria realtà e la propria quotidianità. Dio entra nel luogo e nel tempo dell’uomo, si fa suo contemporaneo e gli dona il suo “tempo senza tempo” dell’eterno.
Gabriele significa “forza di Dio” e la forza di Dio è la sua Parola. Dio parla con la parola che è elemento apparentemente debole. Quando uno parla, si comunica e si rivela all’altro che può ascoltarlo e può anche rifiutarlo. Dio si fa debole perché parla per primo. La speranza entra con una Parola donata. Dio accolto è la sola speranza. La fede rompe i limiti di ogni incapacità umana e rende l’uomo capace di Dio. E la speranza nasce nel vivere di fede la quotidianità. La risposta di Dio ai turbamenti dell’uomo ha un imperativo: non temere. Abbiamo paura forse perché temiamo di non essere all’altezza della chiamata o di dover fare tutto da noi. La differenza tra Davide e Maria sta nel fatto che il primo vuole fare qualcosa per Dio, Maria, invece, lascia che Dio faccia tutto per lei e, in lei, per noi. La fede sta tutta qui: mettere da parte i progetti personali, anche i più nobili e santi, e permettere a Dio di essere quel Dio che compie in noi le grandi cose meravigliose.
Proprio perché ascolta la Parola e la custodisce nel suo cuore, Maria può rispondere come i Patriarchi e i Profeti. L’Ecce e il Fiat di Maria trovano compimento nell’attesa di Dio. Quell’Amore da sempre respinto, ora si sente pienamente accolto: dall’eternità Dio aveva atteso questo momento per riempire la sua creatura della sua divinità. Questa parola si compie ogni giorno quando, ascoltando la Parola, ci si rende disponibili nella reciprocità dell’amore che non ha paura di dire: “Eccomi, sono tua!”
Maria è l’immagine di ciò che Dio compie in chi a Lui si affida. Maria è la donna nuova che ha accolto senza riserve la Parola di Dio, facendola diventare carne della nostra umana natura per la salvezza dell’uomo. La Lumen Gentium afferma: “All’annuncio dell’angelo la Vergine Maria accolse nel cuore e nel corpo il Verbo di Dio” (LG 53). “Nel cuore e nel corpo”: Maria è Discepola e Madre del Verbo. “Discepola” perché si è messa in ascolto della Parola conservandola sempre nel cuore. “Madre”, perché offre il suo grembo alla Parola, e la custodisce per nove mesi nello scrigno del corpo con ineffabile amore.