Asia Bibi: da 5 anni in carcere perché cristiana

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Il 19 giugno sono trascorsi 5 anni, 1825 giorni, dall’arresto di Asia Bibi per presunte offese nei confronti del profeta dell’Islam Maometto. Ed è ancora in carcere senza un processo; nel novembre 2010, in prima istanza, è stata condannata a morte. Da allora attende l’avvio del processo d’appello, più volte rinviato dall’Alta Corte di Lahore, competente per il territorio, e ora persino neanche più calendarizzato.

Infatti il 27 maggio il suo caso è stato tolto dal calendario delle udienze dell’Alta Corte di Lahore dopo una serie di rinvii. La donna, detenuta in isolamento per preservarne l’incolumità, prosegue così il suo personale calvario che la tiene separata dal marito e dai cinque figli. Padre James Channan, già provinciale dei Domenicani, direttore del Centro per la Pace di Lahore, ha confermato alle agenzie di stampa: “Devono essere tempi molto duri per lei, aggravati dalla constatazione che l’impegno a livello nazionale e internazionale non le sono stati di nessun aiuto concreto…

Importante ricordare che, come per i condannati in base alla legge antiblasfemia, almeno fino a una sentenza assolutoria finale che è la norma nei casi simili a quelli di Asia Bibi finora giudicati, anche chi ne prende le difese espone a persecuzione non solo se stesso, ma l’intera comunità di appartenenza… Le accuse ammesse dalla legge antiblasfemia sono diventate molto comuni e il loro uso ha privato di volontà di reazione i cristiani.

Da un lato un cristiano rischia perché accusato ingiustamente (finora tute le accuse sono state dimostrate false nei gradi superiori di giudizio), dall’altro l’intera comunità di cui fa parte soffre e finisce sotto attacco”. Nonostante queste ‘sofferenze’, padre Channan invita a ‘lasciare aperte le porte al dialogo con i musulmani’, unico modo per promuovere ‘una cultura della guarigione, dalla tolleranza, del rispetto e della pace’.

Il caso di Asia Bibi è ‘troppo sensibile’, dice Sardar Mushtaq Gill, avvocato cristiano a capo di un team in difesa dell’imputato, che ha tentato invano di avere una spiegazione dettagliata della High Court sul blocco del ricorso del suo cliente: “La legge sulla blasfemia è diventato uno strumento di persecuzione, compresi per quelli che difendono l’imputato…

Siamo preoccupati perché a causa di una paralisi della giustizia, molte vittime innocenti, come Asia Bibi o Sawan Masih, languendo in prigione, solo a causa della loro fede; e nel frattempo, gli estremisti che hanno incendiato case e chiese cristiane restano impuniti… Stiamo vivendo uno dei momenti peggiori nella storia del paese: vediamo livelli senza precedenti di emarginazione e violenza contro le minoranze religiose.

Come possiamo parlare di libertà religiosa, libertà di pensiero e di espressione, se la legge non è garanzia per tutti, se non esiste un equo processo e se è diffusa una ingiusta detenzione solo a causa della differenza di fede? Siamo tutti liberi e uguali solo sulla carta, ma la realtà è ben diversa.

Chiediamo uno stato laico in cui tutti possiamo godere di pari diritti e di essere trattati allo stesso modo davanti alla legge. Le minoranze desiderano promuovere la pace e l’armonia religiosa in Pakistan”.  All’inizio del mese scorso, l’organizzazione Pakistan Christian Congress (Pcc) ha lanciato un nuovo campagna internazionale per la liberazione di Asia Bibi e l’abrogazione della legge sulla blasfemia.

Petizioni sono state depositate dal Congresso degli Stati Uniti, l’Unione Europea, il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite e dalle ONG come Amnesty International e Human Rights Watch, chiedendo loro di ‘fare pressione su il governo pakistano per la giustizia di recuperare i propri diritti nel paese’.

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