Bagnasco: rinverdire e rimotivare la professione giornalistica

Condividi su...

I giornali sono in crisi da tempo… la professione giornalistica vive un certo affanno, e prima ancora che la vendita dei giornali cartacei essa ha bisogno di essere ripensata. Queste le considerazioni del Presidente dei vescovi italiani, mons. Angelo Bagnasco, dettate durante la XVII Assemblea nazionale elettiva della FISC (Federazione Italiana Settimanali Cattolici), svoltasi a Roma in questi giorni. Il tema, “L’etica del giornalista tra la carta stampata e il web”, non è tra i più semplici da svolgere, soprattutto nel contesto attuale dove – tra illazioni, smentite e false verità – è diventato davvero difficile cogliere la differenza tra una notizia attendibile e venti righe di gossip all’americana che servono solo a disorientare (talvolta anche a scandalizzare) il lettore e a spostare l’attenzione verso altro, rispetto alla reale portata della notizia. Vi è – afferma, infatti, il card. Bagnasco – “un uso strumentale e destabilizzante di notizie non verificate allo scopo di sostenere o danneggiare una parte in causa nell’agone pubblico; nel silenzio calato, allo stesso scopo, sulle notizie che romperebbero pregiudizi e che si ha vantaggio a mantenere; in un uso voyeuristico e acritico del ‘diritto di cronaca’, senza nessuna preoccupazione per le parti in causa (come i parenti delle vittime per esempio) o gli effetti sull’opinione pubblica”.

Serve maggiore discernimento “piuttosto che sfamare la curiosità spesso indotta del pubblico”, e citando il recente documento di Papa Francesco, Evangelii Gaudium, Bagnasco ricorda: “Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa” (n. 53).
C’è poi il problema di un certo tipo di linguaggio giornalistico, che tende a produrre slogan e frasi ad effetto costruite a tavolino, talvolta in rigidissima linea con il colore politico abbracciato dalla testata in cui si scrive. “I giornalisti – ricorda l’Arcivescovo di Genova – dovrebbero essere più consapevoli del fatto che le parole non sono mai termini neutri, ma sono finestre sul mondo che ci fanno vedere tanto di più quanto meno sono ristrette e ipersemplificate. Senza contare, poi, che è molto più facile incollare un’etichetta che staccarla, e quella che ci va di mezzo è la vita delle persone. Operazione ancora più scorretta è prendere a prestito le parole dell’etica e usarle in modo strumentale per coprire ben altre intenzioni”.

Quasi il 50% della popolazione italiana – secondo i dati del Censis-Ucsi 2011 – ritiene la categoria dei giornalisti “poco affidabile e poco oggettiva”. Mons. Bagnasco, a tal proposito, cita uno dei maestri della carta stampata, Indro Montanelli, che in uno scritto del 1989 affermava: “La deontologia professionale sta racchiusa in gran parte, se non per intero, in questa semplice e difficile parola: onestà. E’ una parola che non evita gli errori: essi fanno parte del nostro lavoro. Perché è un lavoro che nasce dall’immediato e che dà i suoi risultati a tamburo battente. Ma evita le distorsioni maliziose, quando non addirittura malvagie, le furbe strumentalizzazioni, gli asservimenti e le discipline di fazione o di clan di partito”.

Esiste anche un giornalismo diverso, capace di “resistere alla tentazione del servilismo e del carrierismo, rendendo così un «servizio pubblico», che accresce la qualità democratica”, e che conduce talvolta al sacrificio della vita stessa. Il giornalismo cattolico, s’inserisce secondo Bagnasco in questa particolare ottica di servizio, “tuttavia – prosegue – occorre rinverdire e rimotivare l’impegno per un giornalismo costruttivo e mai polemico, popolare e mai populista, sempre espressione dell’identità culturale e religiosa del nostro popolo e mai di lobby o di ideologica precomprensione”. Passione e amore per la verità, sono questi i termini che il giornalista cattolico – oggi più che mai – è chiamato a coniugare nell’ambito dell’informazione, diventando un testimone capace di superare i desiderata di certe lobby, e trasmettere solo ciò che è vero. Bisogna – afferma il Presidente della Cei – “difendere la verità della notizia, essere capaci di discernere, giustificare le proprie interpretazioni privilegiando sempre i dati oggettivi rispetto alle proprie idee, e ancora sottrarsi alle pressioni dei poteri forti e insieme coniugare competenza, aggiornamento e creatività, sono tutti compiti che aiutano a descrivere oggi la professione del giornalista, di cui la nostra società ha particolarmente bisogno”.

Tra le scelte importanti da condividere, mons. Bagnasco sottolinea l’utilità di fare spazio a giovani e alla loro preparazione professionale. In secondo luogo è necessario “curare la formazione di tutti, sia a livello culturale e professionale che a livello spirituale”. I tempi della comunicazione (grazie all’uso del web) sono notevolmente accelerati rispetto al passato, e anche i linguaggi vanno appresi e integrati per offrire un servizio d’informazione migliore. Per formazione spirituale s’intende – precisa Bagnasco – “la capacità di tenere insieme le proprie convinzioni dentro l’esercizio della professione, non creando mondi separati o peggio giustapposti, ma nutrendo alla luce dei principi le azioni quotidiane”.

Al termine della sua riflessione, il Presidente della Cei ricorda la figura di santità di Manuel Lozano Garrido, un giornalista spagnolo innamorato della vita, che non smise mai di raccontare la verità anche quando fu costretto a vivere su una sedia a rotelle. Nel suo “decalogo del giornalista” – che, precisa Bagnasco, “dovrebbe essere affisso in ogni redazione giornalistica” – Lolo Garrido “raccomanda agli operatori della carta stampata di «pagare con la moneta della franchezza», di «lavorare il pane dell’informazione pulita con il sale dello stile e il lievito dell’eternità» e di non servire «né pasticceria né piatti piccanti, piuttosto il buon boccone della vita pulita e speranzosa»: oltre ad invitare a «tagliare la mano che vuole  imbrattare, perché le macchie nei cervelli sono come quelle ferite che non guariscono mai»”.

151.11.48.50