Alle prese con un sistema al collasso

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 17.02.2025 – Andrea Gagliarducci] – La decisione del Presidente Donald Trump di chiudere l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) o almeno di congelarla in attesa di un esame approfondito e di una rivalutazione ha creato un grande panico tra molte delle ONG mondiali che ci contavano.

Secondo una logica iniziata dopo la Seconda Guerra Mondiale (ricordate il Piano Marshall?), gli Stati Uniti hanno creato un’agenzia che poteva distribuire aiuti per conto del popolo statunitense, ed era anche un’espressione di soft power. Nel tempo, come spesso accade, il sistema è diventato anche un modo di esprimersi politicamente. A seconda del governo, USAID ha sostenuto progetti che, in altri momenti, non l’avrebbero ricevuto. Ciò che preoccupa di più Trump e il suo gruppo di riformatori, tuttavia, sono le spese che USAID ha diretto da sola, senza molta disciplina o supervisione.

Una buona parte dei fondi USAID è andata a progetti che forse non erano veramente salvavita e ad attività che avevano principalmente, o addirittura esclusivamente, uno scopo socio-politico. È giusto dire, che non è sempre così. Anzi, raramente lo è. Tra i beneficiari degli aiuti statunitensi ci sono molte ONG Cattoliche, il cui lavoro sul campo è indiscutibile, e tra queste c’è anche Caritas Internationalis, la Confederazione di tutte le Caritas Cattoliche nel mondo, che – non a caso – ha rilasciato una dura dichiarazione la scorsa settimana, sottolineando come la decisione del governo Trump metta in pericolo la vita di milioni di persone [QUI].

La dichiarazione di Caritas Internationalis è vera in senso fattuale. Tuttavia, è necessaria una riflessione più ampia che tocchi il pontificato di Papa Francesco.

Nei secoli, la Chiesa Cattolica ha sempre lavorato per garantire la propria indipendenza da qualsiasi aiuto statale. La Chiesa ha creato la sua sovranità con uno Stato, un Corpo Diplomatico e un’organizzazione che parte dalle Diaconie della città di Roma – oggi ricordate nella struttura dei cardinali diaconi – e che diventa la Curia romana, le fondazioni pontificie, l’autonomia finanziaria di Propaganda Fide affinché le missioni possano essere aiutate in modo indipendente. La Santa Sede ha persino un sistema economico autonomo con una quasi-banca (l’Istituto per le Opere di Religione) creata per poter trasferire denaro in modo sicuro.

Questo sistema ha avuto i suoi alti e bassi.

Quando l’Italia invase lo Stato Pontificio, l’intero apparato statale che consentiva un’equa distribuzione della ricchezza andò perduto. L’Obolo di San Pietro divenne quindi il modo in cui i Cattolici di tutto il mondo sostenevano la Chiesa [QUI], anche nella sua struttura organizzativa, in modo che non ponesse fine all’opera di carità e unità che l’aveva sempre contraddistinta. Quando la Santa Sede ottenne la riconciliazione con l’Italia nel 1929 e ottenne di nuovo un territorio, utilizzò i soldi della compensazione per riavviare il sistema economico. In quel periodo fu istituito lo IOR, furono create fondazioni e società all’estero per acquistare e investire in immobili e furono riorganizzati i patrimoni immobiliari.

Tutto ciò servì a due scopi: consentire a coloro che lavoravano in Vaticano di vivere dignitosamente, con affitti accessibili e supermercati più economici; e consentire alla Santa Sede di realizzare profitti, sostenendo la struttura che consentiva tutto ciò e distribuendo parte dei profitti in aiuti ai poveri. L’Internationalis in Caritas Internationalis, voluta da Papa Benedetto XVI, era intesa per essere letta anche in questo senso [QUI]. Di fronte a una Caritas che sembrava trasformarsi sempre più in un’organizzazione di raccolta fondi occidentale, tanto che si rischiava di accogliere nella Confederazione anche organizzazioni pro-aborto, Papa Benedetto XVI pose la Confederazione sotto la tutela del Pontificio Consiglio Cor Unum [QUI]. Diede precise indicazioni su come gestire gli aiuti e creò una nuova gestione prima di tutto Cattolica, poi pratica. Insomma, c’era una nuova filosofia da seguire.

Chi proveniva dalla precedente gestione ed era rimasto in Caritas non era d’accordo, né contento. Il lavoro di transizione fu lungo. E poi accadde che, nel momento in cui i membri della Confederazione provenienti dai Paesi del Terzo Mondo resistettero alle pressioni dei membri del Primo Mondo ed espressero un Segretario Generale, questo malcontento esplose [QUI].

Ci vorrebbe molto tempo per raccontare le ragioni del dibattito interno alla Caritas Internationalis senza nuocere a nessuno. Alla fine, Papa Francesco ha deciso per un commissariamento – gestito dallo stesso Commissario che ha ristrutturato Giustizia e Pace – e poi ha creato nuovi statuti, che hanno dato origine a una nuova gestione, che ha rimesso al centro la questione puramente economica. Caritas Internationalis sembra essere diventata una sorta di grande impresa umanitaria, in termini filosofici, e l’idea di un approccio manageriale, per quanto necessario, è diventata più potente dell’idea di un approccio Cattolico. Questo è il grande rischio della mondanità, che Papa Benedetto XVI ha evidenziato molto chiaramente nel suo incontro con le associazioni Cattoliche in Germania nel 2012 [QUI]. Questo sembrava essere uno straordinario punto di contatto tra il pontificato di Papa Francesco e quello di Papa Benedetto XVI.

Al di là delle parole e dell’idea di una Chiesa povera per i poveri, negli ultimi anni abbiamo assistito a due tendenze opposte.

Da una parte, lo smantellamento delle strutture che creavano ricchezza per distribuire denaro alle persone in povertà, iniziato con il controverso processo a due alti dirigenti dello IOR, la cui gestione ha portato 86,6 milioni di euro di utili, una cifra mai più raggiunta.

Dall’altra, la valutazione di politiche sempre più speculative, con la dismissione di vecchi investimenti, ha portato la Santa Sede ad assumersi rischi eccezionalmente elevati.

E sono questi errori, nati più dalla volontà di cambiare il sistema, che da una vera e propria strategia, ad aver portato la Santa Sede a perdere la sua indipendenza. C’è una via di mezzo tra l’idea di Vatican Asset Management [1], lanciata dal Cardinale George Pell e mai realizzata, e la totale dismissione delle strutture e il loro “appalto” a società esterne.

C’è una via interna all’outsourcing [2], che ha caratterizzato anche tutto questo pontificato: all’inizio le Commissioni, poi le costose consulenze, oggi è la consulenza a risolvere i danni della consulenza.

Da una parte, Papa Francesco sta proseguendo sulla strada intrapresa dai suoi predecessori: sta rivedendo la legge finanziaria, varando la legge sugli appalti richiesta dalla Convenzione di Merida, aprendo un ufficio anticorruzione e un ufficio per le questioni riservate. Dall’altra, però, sta mettendo a rischio le sue stesse leggi con un approccio a volte troppo rigido e a volte troppo personalistico.

Infine, il Papa ha attuato un blocco delle assunzioni all’inizio del suo pontificato. Ora, si parla di un possibile blocco del fondo pensioni. Nel frattempo, ha chiesto ai cardinali di trovare donazioni personali e ha accettato che la grande struttura finanziaria vaticana venisse esternalizzata. Ed è qui che ci imbattiamo nel problema USAID.

Finché le strutture della Chiesa dovranno fare affidamento interamente su un fondo sovrano di un altro Stato, la sovranità della Chiesa sarà messa a rischio.

Le ONG solide hanno potuto trasferire il personale in attesa che passasse la notte e hanno preso strade alternative per realizzare i progetti. Il problema è che la Santa Sede non è coinvolta in questi aiuti. La Santa Sede non è il soggetto, ma l’oggetto degli aiuti. Quindi, questa situazione mette a repentaglio l’indipendenza della Santa Sede. Il caso USAID, per quanto brutale, ha evidenziato i difetti del sistema. Papa Francesco ha permesso al sistema di trovarsi in questa situazione. Negli ultimi anni, ha accettato i rischi. Si è fidato di chi prometteva speculazioni e aiuti. Si è comportato, in sostanza, come l’amministratore delegato di una grande azienda [QUI].

Oggi, a cosa ha portato questo comportamento?

La Santa Sede non è più finanziariamente indipendente; c’è persino un dicastero della Santa Sede i cui stipendi sono pagati interamente da donazioni esterne. Quanto tempo ci vorrà prima che questo influenzi gli interventi del Papa stesso? Come fa a non essere un ricatto?

Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stato pubblicato dall’autore in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI].

[1] Asset Management è un termine inglese (che letteralmente significa “gestione delle risorse”) usato per definire l’attività dedicata alla selezione e al mantenimento nel tempo di strumenti finanziari quotati e non quotati, con l’obiettivo di ricavare il migliore rendimento possibile per un certo livello di rischio. Si fonda da un lato sulla diversificazione per asset (azioni, obbligazioni, strumenti monetari, liquidità, eccetera) e per aree geografiche, dall’altro sulle scelte dei tempi, cioè sulla capacità di modificare dinamicamente la composizione del portafoglio.

[2] Outsourcing è un termine inglese (che letteralmente significa “approvvigionamento esterno”) usato per definire l’esternalizzazione dei servizi, e consiste nel ricorso, da parte di imprese o di enti pubblici, ad altre imprese per lo svolgimento di alcune parti dei propri processi di produzione o di gestione, o di alcune fasi dei processi di supporto.

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