Accusato dal Supremo Magistrato vaticano, il Cardinal Becciu è stato automaticamente giudicato e condannato. Non c’è verità che tenga

Il Presidente Pignatone e il Cardinal Becciu
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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 03.11.2024 – Vik van Brantegem] – Riportiamo di seguito il commento del decano dei vaticanisti statunitensi John L. Allen Jr. pubblicato oggi su Crux, preceduto dal commento di Andrea Paganini, che riassume perfettamente tutta questa protervia tipica di Stati assoluti, dove la giustizia non è al servizio della verità e dove tribunali speciali celebrano l’opposto di un giusto processo. Inoltre, riportiamo l’articolo Condannato senza prove. Tutti i buchi (e i trucchi) nel processo contro Becciu di Vittori Feltri su Il Giornale e le Osservazioni casuali di Luis Badilla e Robert Calvaresi, sul Processo Becciu e altri pongono delle domande cruciali: «Operazione mediatica in difesa del Tribunale vaticano. Perché? Dove vuole arrivare Papa Francesco con la vicenda del Cardinal Becciu? Cosa, e come, farà per chiudere questo suo mostruoso e imperdonabile errore? Dove vuole arrivare il Papa con questa dolorosa commedia?»

Papa Francesco e Giuseppe Pignatone
Il Supremo Giudice dello Stato della Città del Vaticano si congratula con il suo Presidente del Tribunale.

Processo ingiusto contro il Cardinal Becciu al Tribunale speciale vaticano che ha perso ogni credibilità – 31 ottobre 2024
Il Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede N. 845 del 30 ottobre 2024 ha pubblicato il seguente Comunicato della Sala Stampa della Santa Sede: «In data 29 ottobre sono state depositate presso il Tribunale dello Stato della Città del Vaticano le motivazioni della sentenza relativa al procedimento 45/19, per le condotte illecite relative al cosiddetto “palazzo di Londra” e per numerosi altri reati». Gli Avvocati Fabio Viglione e Maria Concetta Marzo, il collegio difensivo del Cardinale Giovanni Angelo Becciu hanno dichiarato: «Leggeremo con attenzione la sentenza che rispettiamo così come rispettiamo tutte le sentenze. La motivazione che attendevamo da tempo è piuttosto lunga e sarà oggetto di studio e di approfondimento. Certamente, per le conclusioni a cui approda, contrasta con quanto emerso nel corso del processo che ha dimostrato l’assoluta innocenza del Cardinale Becciu». Leggi tutto [QUI]

Amor mi mosse, che mi fa parlare – 1° novembre 2024
Ieri, nel esaustivo articolo Processo ingiusto contro il Cardinal Becciu al Tribunale speciale vaticano che ha perso ogni credibilità, Ivo Pincara ha offerto un’approfondita nemesi della terribile montatura tramata contro il Cardinale Giovanni Angelo Becciu, un uomo onesto, corretto e innocente, attraverso un perfido sistema di inganno e di mascariamento, che ha pervaso l’agire della (in)giustizia vaticana, insieme alla stampa servile calunniatrice. Leggi tutto [QUI]

Indice – Caso 60SA [QUI]

Tutto questa vicenda porta ad una sola conclusione: con la via crucis in cui è incorso il Cardinale Giovanni Angelo Becciu culminata nella ingiusta condanna in primo grado, per potere affermare la verità della sua innocenza, non è sufficiente il ricorso all’appello, ma si rende necessario fare il “processo al processo”. Solo così si viene a conoscenza, che il vero colpevole – che si nasconde nei (per niente sacri) palazzi vaticani – è il mandante delle accuse al Cardinal Becciu nella fase iniziale, con cui fu spinto (conoscendolo bene) Papa Francesco a condannarlo preventivamente, senza possibilità di difesa o di appello.

È stato il caso giudiziario di maggior rilievo mondiale del millennio, un processo-tortura senza regole e basato sul gossip. Tra le righe delle motivazioni della sentenza di condanna a cinque anni e mezzo del Cardinal Becciu, per “peculato senza fini di lucro”, che sono state depositate nei giorni scorsi, si legge che per i giudici del Papa ha rubato, ma non c’è denaro. Questa la sintesi della vicenda presentata in apertura su Il Giornale da Vittorio Feltri, che scrive: «A muovermi era stato l’istinto affinato dalla mia esperienza al processo di Enzo Tortora. Se le televisioni e i media della galassia – atei, laici, vaticani, comunisti, bigotti – sono unanimi nello stracciare le vesti di dosso a un uomo senza che costui abbia potuto pronunciare una sola sillaba a sua difesa, gatta ci cova. Mi colpì la totale mancanza di misericordia, l’assenza di dubbi, la non menzione della presunzione non dico di innocenza, ma almeno di non colpevolezza, del loro fratello in Cristo che accompagnò sui quotidiani editi dal Papa e dai vescovi italiani la notizia dell’estromissione del cardinale dal Conclave, lasciandogli addosso, quasi a maggior scherno, la veste rossa e il titolo di Eminenza, come fece Erode con Gesù Cristo, per schernirlo meglio. (…) Certo, il Papa nella Città del Vaticano in materia penale agisce come legislatore dello Stato. E fin qui sono caratteristiche specifiche di una monarchia assoluta. Ma il «giusto processo» – rivendicato dai giudici – per essere tale esige almeno che ogni legge sia resa pubblica e valga per tutti».

Il commento di Andrea Paganini, il curatore della Rassegna stampa sul “caso Becciu” [QUI]: «Il Cardinal Becciu poteva, realisticamente, essere dichiarato innocente? La risposta è chiara: no, non poteva essere dichiarato innocente, pur essendolo indiscutibilmente! Perché il primo accusatore di Becciu (il primo cronologicamente, conosciuto all’opinione pubblica mondiale) è stato Papa Francesco, che il 24 settembre 2020 lo ha accusato e condannato nel giro di pochi minuti, senza nemmeno che il cardinale potesse conoscere le accuse e quindi difendersi. Ora, il Papa nell’ordinamento legislativo vaticano è il capo supremo dei tre poteri temporali, legislativo, esecutivo e giudiziario; e tutti gli altri magistrati – promotori di giustizia e giudici – sono suoi sottoposti e non possono contraddirlo altrimenti possono essere sanzionati e cacciati di punto in bianco (proprio come un tribunale comune non può contraddire la suprema corte di cassazione in Italia). In pratica, qualunque cittadino dello Stato della Città del Vaticano – e di altri Stati assoluti – che sia accusato dal supremo magistrato è automaticamente anche già giudicato e condannato. Non c’è verità che tenga. Lo esprime molto bene oggi John L. Allen Jr.».

Sulla giustizia penale, rinunciare al potere potrebbe in realtà rafforzare il papato
di John L. Allen Jr.

Crux, 3 novembre 2024
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

Questo articolo è stato pubblicato anche su Catholic Herald, con il titolo: “Processo e prerogativa papale: i problemi del potere assoluto” [QUI]

Martedì scorso, il Tribunale civile del Vaticano ha finalmente rilasciato quelle che in italiano sono note come le motivazioni, per le sue conclusioni del dicembre 2023 nel cosiddetto “Processo del secolo” che si è incentrato su un disastroso acquisto da 400 milioni di dollari di una proprietà di Londra da parte della Segreteria di Stato e che si è concluso con verdetti di colpevolezza per nove imputati, tra cui il Cardinale Giovanni Angelo Becciu.

Le motivazioni rappresentano il ragionamento dettagliato, sia in fatto che in diritto, alla base delle conclusioni della corte. Date le complessità della vicenda di Londra, forse non sorprende che siano arrivate quasi 11 mesi dopo i fatti e siano lunghe ben 819 pagine. Il loro vero significato è che consentono finalmente agli appelli di andare avanti, poiché sono stati congelati finché i pubblici ministeri e gli avvocati difensori non hanno avuto modo di sapere esattamente a cosa si stavano appellando. Tuttavia, per chiunque non sia personalmente coinvolto nel caso, forse la parte più interessante delle motivazioni si trova all’inizio, sotto forma di una risposta dettagliata alle accuse sollevate durante e dopo il processo secondo cui la magistratura vaticana non è indipendente e, pertanto, le sue sentenze non soddisfano gli standard contemporanei del giusto processo.

Sostenere tale indipendenza è, per usare un eufemismo, un’impresa ardua. Per legge, un Papa possiede la suprema autorità esecutiva, legislativa e giudiziaria nella Chiesa Cattolica, il che significa che semplicemente non esiste una separazione dei poteri. Affermare che i Tribunali vaticani sono “indipendenti” è, quindi, un po’ come affermare che il sole gira attorno alla terra.

Tuttavia, le motivazioni fanno uno sforzo notevole. Il caso si basa in gran parte su un Motu proprio emesso da Papa Francesco nel marzo 2020 e modificato nell’aprile 2023, che afferma che “i magistrati sono nominati dal Sommo Pontefice e, nell’esercizio delle loro funzioni, sono soggetti solo alla legge”, così come “i magistrati esercitano i loro poteri con imparzialità, sulla base e nei limiti delle competenze stabilite dalla legge”. Questi sono ideali nobili e, a quanto pare, i giudici del Tribunale vaticano, in particolare il giudice presidente Giuseppe Pignatone, li prendono sul serio. Pignatone è un giurista italiano veterano con una reputazione generalmente stellare, nonostante sia attualmente sotto inchiesta per i sospetti che quarant’anni fa sia stato complice della chiusura illegittima di un’indagine sulla mafia quando era procuratore aggiunto a Palermo, in Sicilia.

Il problema con l’argomento nelle motivazioni, tuttavia, è che gli ideali sono una cosa, le strutture un’altra. Considera i seguenti tre punti strutturali sul sistema giudiziario vaticano.

In primo luogo, il Papa non solo assume i suoi giudici, ma ha anche il potere di licenziarli. Quel Motu proprio del marzo 2020 afferma anche: “Il Sommo Pontefice può dispensare dal servizio, anche temporaneamente, i magistrati che, per comprovata incapacità, non sono in grado di svolgere i loro doveri”. Per la cronaca, spetta al Papa decidere cosa conta come “comprovata incapacità”. Sebbene non ci siano prove che un Papa moderno abbia mai usato quel potere per punire un magistrato per aver deliberato contro i desideri del Papa, resta il fatto che un Papa potrebbe farlo e non c’è nulla che lo impedisca strutturalmente. Mettiamo a confronto, ad esempio, gli Stati Uniti. Mentre un Presidente può nominare giudici federali, non può licenziarli. Ciò richiede un impeachment da parte della Camera dei rappresentanti e una condanna da parte del Senato.

In secondo luogo, come ammettono le motivazioni, la legge fondamentale dello Stato della Città del Vaticano specifica che un Papa può decidere di riassegnare un caso civile o penale a qualsiasi organismo scelga, indipendentemente dalla fase in cui si trovi il caso, senza alcuna possibilità di appello. Ancora una volta, sebbene le motivazioni notino correttamente che nessun Papa ha mai utilizzato tale autorità, ciò non cambia il fatto che la possieda, qualcosa che i giudici vaticani, certamente, devono tenere a mente quando decidono come pronunciarsi, soprattutto in un caso in cui un Papa ha chiarito i suoi desideri.

Terzo, un papa può intervenire in un procedimento penale in qualsiasi momento, modificando le regole a piacimento. Papa Francesco lo ha effettivamente fatto durante il caso di Londra, emanando una serie di quattro rescripta, o “decreti”, che conferiscono al pubblico ministero poteri insolitamente ampi durante la fase di indagine. In un sistema con una vera separazione dei poteri, tali azioni dell’esecutivo sarebbero soggette a revisione giudiziaria. Si considerino, ad esempio, i vari ordini esecutivi emessi dai Presidenti degli Stati Uniti, che sono stati dichiarati incostituzionali dalla Corte Suprema nel corso degli anni. Eppure, come sottolineano le motivazioni, i giudici vaticani non hanno tale potere a causa del chiaro principio stabilito dal canone 1404 del Codice di diritto canonico, che, in latino, afferma: Prima Sedes a nemine iudicatur, ovvero “La prima istanza (cioè il Papa) non è giudicata da nessuno”.

Tutto ciò si riduce a quanto segue: nonostante le migliori intenzioni di tutti i soggetti coinvolti, le realtà strutturali della situazione rendono difficile per un osservatore neutrale prendere sul serio la presunta “indipendenza” del sistema di giustizia penale del Vaticano.

Deve essere per forza così? La risposta breve è “No”.

Teologicamente ed ecclesiologicamente, un Papa è l’autorità suprema sulle questioni spirituali nella Chiesa Cattolica, in particolare fede e morale. Tuttavia, non c’è alcuna ragione teologica per cui un Papa debba anche esercitare un potere assoluto sugli affari temporali, come le controversie sulla responsabilità penale per investimenti falliti.

In effetti, ci sono tutte le ragioni per cui i Papi non dovrebbero esercitare tale autorità, e starebbero meglio se non lo facessero.

La maggior parte delle persone presume che i Papi abbiano perso la loro autorità temporale con la caduta dello Stato Pontificio nel 1870, cosa che hanno fatto per quasi i successivi sessant’anni. È rinata, tuttavia, con i Patti Lateranensi del 1929, che hanno reso ancora una volta il Papa un sovrano assoluto, sebbene su una giurisdizione molto più piccola.

Il fatto che i Papi esercitassero un potere temporale assoluto sul nuovo Stato della Città del Vaticano era in gran parte invisibile sotto una serie di pontefici che raramente ne fecero molto uso. Francesco, tuttavia, vuole davvero che il sistema di giustizia penale del Vaticano funzioni, un obiettivo del tutto lodevole, ma che significa anche che deve affrontare la questione attesa da tempo su come rendere il sistema credibile rispetto ai moderni concetti di giusto processo.

In altre parole, aiuterebbe Francesco (o qualsiasi Papa) a raggiungere una vera responsabilità se rinunciasse volontariamente al controllo della magistratura civile del Vaticano, introducendo una vera separazione dei poteri per questioni che non coinvolgono la fede. Si potrebbe sostenere che farlo sarebbe il culmine naturale di ciò che San Paolo VI disse nel 1970, nel 100° anniversario della caduta di Roma alle forze di un’Italia appena unita, quando definì la perdita del potere temporale “provvidenziale”. Per Francesco, che ha canonizzato Paolo VI nel 2018, completare l’eredità del defunto pontefice in questo senso sembrerebbe una mossa particolarmente appropriata.

Finché non si verificherà una riforma del genere, è probabilmente inevitabile che molti osservatori troveranno il genere di argomenti presentati nelle motivazioni, per quanto espressi in modo abile o sincero, un po’ difficili da digerire.

Il caso in Vaticano. Condannato senza prove
Tutti i buchi (e i trucchi) nel processo contro Becciu
di Vittorio Feltri
Il Giornale, 3 novembre 2023

Per me, è innocente. Nonostante i ghirigori giuridichesi, alla fine lo confessano anche i giudici. Ammettono che il Cardinale Becciu non ha rubato un centesimo, per poi giungere alla conclusione, con un salto logico ed etimologico da saltimbanchi del diritto, che è colpevole di peculato, una parola che viene da pecunia, cioè denaro. Nessuno, tra i mille giuristi e vaticanisti, ecclesiastici o no, ha mosso obiezioni. Lo ritengo una indecenza. Mi spiego.

Nei giorni scorsi sono state pubblicate le motivazioni della sentenza di condanna a cinque anni e mezzo contro il Cardinale Angelo Becciu per peculato e truffa. È stato il caso giudiziario di maggior rilievo mondiale del millennio. Il braccio destro del Papa, il 24 settembre del 2020, era stato quietamente convocato a una udienza di routine con il Numero 1, e si trovò davanti a un Papa furibondo che a freddo lo accusò di avergli rubato i soldi delle elemosine per arricchire i fratelli sardi, con la scusa di aiutare la Caritas diocesana di Ozieri.

Francesco sventolò quel giorno, sotto il naso del principe della Chiesa una copia-pilota, cioè non ancora uscita in edicola, dell’Espresso con questo titolo su Becciu: «Soldi dei poveri al fratello e offshore». Una tesi impugnata come verità rivelata da Bergoglio quasi fosse un’aggiunta tardiva al Vangelo ma pur sempre infallibile. Il porporato fu trasformato in statua di sale dalla veemenza del “Dolce Cristo in Terra” (copyright di Caterina da Siena), e seduta stante si ritrovò condannato alla “crocefissione cautelare” ed esposto pendente davanti all’universo nei panni disgraziati del “cattivo ladrone”.

Il giudizio del Tribunale vaticano fu pronunciato il 16 dicembre 2023, il 30 ottobre sono state diffuse circa 800 pagine con le motivazioni. Vi si dice: non ha rubato, ma è colpevole lo stesso di peculato. I giudici ammettono che non esiste alcun bottino: non hanno trovato un euro nelle tasche di porpora della piccola eminenza di Pattada, e neppure se ne sono appropriati i suoi parenti. No, ma è reo comunque. E per che cosa? Per aver dato il via, quando monsignor Angelo era “sostituto segretario di Stato”, a un “azzardo”, un affare i cui esiti sono stati rovinosi per le casse della Chiesa, con una perdita finale valutata dal Tribunale in duecento milioni. Il palazzo di Londra non andava acquistato, permettendo a manager di arricchirsi con truffa ed estorsione del portafoglio della Santa Sede.

Un attimo: Becciu decise tutto autorizzato dai superiori, e non a voce, ma per iscritto, e non è affatto detto che se il successore avesse adempiute certe buone pratiche, interrotte con la promozione cardinalizia del prelato sardo, l’affare sarebbe stato vantaggiosissimo. Sul tema è ancora in corso, e sta giungendo a sentenza, un processo parallelo a Londra, dove di affari se ne intendono di più.

Non sto abbandonandomi all’emozione. E mi ri-spiego. Il ricordo dei miei articoli non è di precetto neppure per i miei 25 amati lettori, per cui reputo necessario segnalare che ho dedicato sin dal 2020 a questa vicenda una inchiesta che condussi su Libero, firmando e coordinando decine di articoli. A muovermi era stato l’istinto affinato dalla mia esperienza al processo di Enzo Tortora. Se le televisioni e i media della galassia – atei, laici, vaticani, comunisti, bigotti – sono unanimi nello stracciare le vesti di dosso a un uomo senza che costui abbia potuto pronunciare una sola sillaba a sua difesa, gatta ci cova. Mi colpì la totale mancanza di misericordia, l’assenza di dubbi, la non menzione della presunzione non dico di innocenza, ma almeno di non colpevolezza, del loro fratello in Cristo che accompagnò sui quotidiani editi dal Papa e dai vescovi italiani la notizia dell’estromissione del cardinale dal Conclave, lasciandogli addosso, quasi a maggior scherno, la veste rossa e il titolo di eminenza, come fece Erode con Gesù Cristo, per schernirlo meglio.

Studiai personalmente la pratica e misi al lavoro una piccola squadra. Appurammo – qui mi spiccio nel sintetizzare almeno trecento pagine di Libero – che la copia dell’Espresso a disposizione del Papa era stata posata sulla sua scrivania prima ancora che il cartaceo arrivasse fisicamente alla redazione dell’Espresso; che la notizia delle dimissioni imposte dal Papa a Becciu era già stata scritta nel sito internet del settimanale (in una pagina tenuta pronta per essere divulgata) ben 7 ore e 48 minuti prima che il Papa gli revocasse le prerogative di cardinale.

L’autore dei servizi, Massimiliano Coccia, un reincarnato profeta Elia, scopriamo che un po’ svela, un po’ nasconde. Avvalora la propria inchiesta citando “le carte che abbiamo visionato”. E qui il primo elemento oggettivo che mi ha fatto pensare a un piano ordito alle spalle non solo di Becciu, per farlo fuori dal Conclave, ma del Papa stesso: chi ha messo a disposizione documenti coperti da segreto istruttorio da dentro il Vaticano, e perché? Su questi reati nei Sacri palazzi si è severi: per Vatileaks si procedette contro il povero maggiordomo Paolo Gabriele (è defunto) e in seguito contro Francesca Chaouqui e un monsignore. In questo caso si lascia correre, ed anzi si è premiato il direttore Marco Damilano, che si è vantato del merito di aver lasciato mano libera a Coccia, eleggendolo relatore davanti al Papa del Sinodo di Roma giusto un paio di settimane fa.

Cosa nasconde il cronista amato da Damilano e Roberto Saviano? Nel novembre del 2020 apprendo da un redattore di Radio Radicale, Enrico Rufi, che Coccia fingendosi sacerdote si era spacciato per segretario privato del Papa con il nome di Don Andrea Andreani, giocando con il dolore di un Rufi che aveva perso la figlia proprio durante la Giornata Mondiale della Gioventù in Polonia, e desiderava udienza da Francesco. “Sciacallaggio”, mi disse Rufi allora. La denuncia, presentata presso il Promotore di Giustizia (pm) del Vaticano dall’Avvocato Laura Sgrò per conto di Rufi, giace lì da anni. Inevasa. Chiesa delle nebbie?

In realtà è tutto l’impianto processuale e il sistema giudiziario a essere per forza di cose una macchina della tortura. È venuto alla luce che nel corso del processo sono state cambiate le regole della procedura penale, su richiesta dei pm, per quattro volte. È bastata la firma del Papa. E, senza che nessuno fosse informato, gli inquirenti hanno avuto il permesso di adottare procedimenti di intercettazione e di procedere ad arresti senza passare da giudici terzi. Leggi valevoli solo per questo processo.

Certo, il Papa nella Città del Vaticano in materia penale agisce come legislatore dello Stato, e fin qui sono caratteristiche specifiche di una monarchia assoluta. Ma il “giusto processo” – rivendicato dai giudici – per essere tale esige almeno che ogni legge sia resa pubblica e valga per tutti. Un’altra perla di plastica? Si sostiene in sentenza che gli atti di amministrazione di beni ecclesiastici che presentino qualche rischio costituiscono una violazione del canone 1284 (quello del “buon padre di famiglia”): insomma, sono peculato. Peccato che ogni investimento (e anche mettere i soldi sotto il materasso) includa un rischio. In questa logica, dovrebbero essere immediatamente inquisiti per peculato tutti gli economi delle curie e delle congregazioni religiose.

C’è una parte della sentenza che mi ha fatto venire il prurito nervoso. È quando a proposito dei finanziamenti attribuiti a Cecilia Marogna in quanto accreditata dai servizi segreti italiani (stiamo freschi, povero Becciu) per liberare una suora e usati anche per gingilli di lusso, i giudici si buttano sul gossip, sostenendo ci sia troppa “familiarità” e dunque complicità tra la signora e il cardinale. Un bel modo, il più classico, per sfregiare il cardinale. Il quale ha sempre negato e fornito testimoni sulla falsità delle illazioni. Niente da fare: se Marogna fosse stata un uomo, magari un fraticello, ho il sospetto, vista la “troppa frociaggine” (Francesco dixit) dell’ambiente, si sarebbe glissato.

P.S. Mi ha molto colpito l’editoriale di Andrea Tornielli – Direttore editoriale e di fatto ministro dell’informazione – pubblicato immediatamente sul sito Vatican News e su L’Osservatore Romano, entrambi di proprietà pontificia. L’ottimo Tornielli – tant’è che lo assunsi al Giornale quand’era disoccupato- sostiene che il “processo è stato giusto”, “i diritti della difesa” pienamente salvaguardati. Non dice mai che la sentenza è di primo grado, e che pertanto Becciu è “presunto innocente”. Brutto affare per Becciu: la condanna è marchiata in modo indelebile.

Dove vuole arrivare Papa Francesco con la vicenda del Cardinal Becciu?
di Luis Badilla e Robert Calvaresi
Osservazioni casuali N° 41 (26 ottobre – 2 novembre 2024)

(…) Ci vuole tempo e competenza per leggere e capire bene le motivazioni delle sentenze del processo “Becciu + 8”. Soffermandosi però nella lettura delle prime analisi di alcuni esperti, da subito si conferma quanto è stato scritto dall’inizio di questa ancora strana e singolare vicenda del pontificato di Papa Bergoglio: una procedura ingiusta e non trasparente. E forse non è un caso che i media vaticani, divulgando testi illustrativi di queste motivazioni – chiaramente prodotti da persone vicine al processo – facciano di tutto per sottolineare il contrario: si è trattato di un processo giusto e trasparente.

Nonostante ciò, resta tutta in piedi però la realtà di sempre: è un processo farsa, preparato e allestito ad arte, per di più in un sistema giudiziario monarchico dove il sovrano è tutto e si fa sempre come lui vuole. Non a caso fra le tante opacità e manipolazioni di questo processo ci sono i Rescriptum di Papa Francesco con alcuni dei quali la “legge” è stata adeguata a posteriori al proprio arbitrio.

L’intero percorso di questo processo – e parliamo sempre della situazione del Cardinale Angelo Becciu – appare come una sorta di “Lego” giudiziario nel quale tutto è montabile e smontabile come in un giochetto le cui le regole si stabiliscono in base ai desideri del regnante (il Papa) che poi può cambiare anche le carte sul tavolo quando vuole.

Dove si andrà a finire?

Il futuro prossimo appare chiaro: l’appello del porporato sarà rifiutato e il Tribunale supremo, che alla fin fine è sempre il Papa, confermerà sostanzialmente le sentenze comminate a nome del Papa così come le motivazioni sono state rese pubbliche in nome di Sua Santità Francesco.

Si sa, perché lo ha detto lui stesso, che il Cardinale Becciu non chiederà la grazia. Il Pontefice invece concederà di motu proprio questa grazia (non richiesta), come fece Papa Ratzinger nel caso di Paolo Gabriele, il “maggiordomo di Vatileaks” (1996 – 2020).

Le situazioni però potrebbero essere diverse. Il Cardinale Becciu potrebbe essere condannato definitivamente al carcere (in Vaticano) e perdere quindi il titolo cardinalizio anche perché un porporato condannato in via definitiva non potrebbe mai essere elettore in un Conclave.

E dopo, allora, cosa succederà? Le incognite sono molte e così come gli scenari possibili dirimenti per il futuro della Chiesa.

Intanto, la domanda che gira anche nelle alte gerarchie vaticane è diretta: dove vuole arrivare Papa Francesco con la vicenda del Cardinale Becciu? Cosa, e come farà, per chiudere questo suo mostruoso e imperdonabile errore?

Foto di copertina: il Presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, e il Cardinale Giovanni Angelo Becciu.