Amor mi mosse, che mi fa parlare
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 01.11.2024 – Vik van Brantegem] – Ieri, nel esaustivo articolo Processo ingiusto contro il Cardinal Becciu al Tribunale speciale vaticano che ha perso ogni credibilità [QUI], Ivo Pincara ha offerto un’approfondita nemesi [1] della terribile montatura tramata contro il Cardinale Giovanni Angelo Becciu, un uomo onesto, corretto e innocente, attraverso un perfido sistema di inganno e di mascariamento [2], che ha pervaso l’agire della (in)giustizia vaticana, insieme alla stampa servile calunniatrice.
Riportiamo di seguito l’analisi lucida ed equilibrata, a firma di Mario Becciu, dello scandaloso processo politico al Tribunale speciale vaticano e la strampalata sentenza farcita di falsi, tàdi condanna del suo fratello, il Cardinale Giovanni Angelo Becciu. Una radiografia che mette a nuda la malagiustizia vaticana da scandalo internazionale, che tanta offesa reca a nostra madre Chiesa e viola due dei principi fondamentali sui quali la Chiesa stessa si appoggia e che nel tempo hanno significato il suo radicamento nell’insegnamento del Fondatore Gesù Cristo: il favore per la Verità e la Salvezza delle anime, che è il fondamento non solo del diritto canonico, ma della vita spirituale di ogni battezzato. Questi due concetti sono stati posti a compimento e sintesi di tutto il sistema legislativo canonico, significando quei valori imprescindibili dai quali nessuna norma potrà mai derogare.
Il dito è puntato anche alla copertura servile e cortigiana di Vatican News, ripresa pedissequamente da L’Osservatore Romana, incapace di dar voce alla controparte e quindi insofferente al pluralismo e alla sinodalità. I spacciatori di narrazione da veline avvelenate confondono l’unità con l’uniformità appiattita e vile.
Nel nome della verità e della giustizia, contro la menzogna e la calunnia, risuonano i versi della richiesta di aiuto di Beatrice ne II canto dell’Inferno di Dante: “Amor mi mosse, che mi fa parlare” [3].
Ricordiamo che aggiorniamo l’Indice – Caso 60SA [QUI] e che Andrea Paganini tiene la Rassegna stampa sul Caso Becciu [QUI].
Tutta questa protervia
tipica di stati assoluti…
Una lettura attenta delle motivazioni della sentenza che ha condannato in primo grado il Cardinal Becciu fa emergere che il processo è stato a tutti gli effetti un processo politico. Il documento è farcito di falsità, congetture, illazioni, inferenze in assenza totale di prove fattuali. L’intero apparato giudiziario vaticano ha orientato le indagini, gestito il processo, emesso la strampalata sentenza per eseguire l’ordine di condannare il cardinale.
L’articolo osannante il processo in modo vomitevole, a firma di Andrea Tornielli, già preparato prima ed apparso miracolosamente in contemporanea con la pubblicazione delle motivazioni su Vatican News e riportato su L’Osservatore Romano, narra indirettamente dell’operazione statalista messa in atto per sposare ufficialmente la condanna nonostante si tratti di un primo grado di giudizio.
Tutta questa protervia, tipica di stati assoluti, narra indirettamente che la giustizia in Vaticano non è al servizio della Verità, bensì del potere regnante.
Ma lo stesso Pignatone, esercitando la giustizia in nome del Santo Padre, afferma in modo inoppugnabile alcune verità.
1. Il Cardinal Becciu non è un ladro. Non ha rubato nemmeno un centesimo e non ha mai dato soldi ai fratelli. Lui che poteva disporre di qualsiasi cifra per il ruolo e il potere conferitogli si è sempre comportato in modo onesto. Al Papa hanno presentato su un piatto d’argento la testa del cardinale tramite la colossale calunnia pubblicata da Marco Damilano su L’Espresso.
2. I soldi inviati alla Caritas di Ozieri sono stati elargiti per fini caritativi e non utilizzati dal fratello per fini personali. Al Papa hanno raccontato una ulteriore calunnia con informazioni false, per giunta assunte illegalmente, e dare così veste probante a verità costruite a tavolino.
3. La confessione del testimone Perlasca, su cui si è basato tutto il calvario vissuto dal cardinale, è carta straccia. In compenso, le sue false confessioni costruite in combutta con chi aveva interesse vendicativo, gli sono valse un incarico nel sistema giudiziario vaticano. La forza ricattatoria del testimone vale più della sua inettitudine documentata nella sentenza di primo grado.
3. La condanna sull’investimento londinese evidenzia le acrobazie del giudicante che riesce a dare il ruolo principale al cardinale mentre in tutta evidenza non ha partecipato ad alcuna delle azioni della presunta truffa.
4. La vicenda Marogna nelle motivazioni si basa su una falsità determinante. Negli atti processuali viene dichiarato dall’attuale Sostituto che i Superiori erano informati. Infatti, Peña Parra ordina di inviare il bonifico su richiesta esplicita del Papa. I contatti successivi con la Marogna non possono assumere a ruolo di prova certa per affermare e insinuare la mostruosità della sentenza circa la presunta truffa ordita a danno della Santa Sede.
Che tristezza constatare che nella Chiesa i giudici necessitano di un processo di de-umanizzazione della vittima innocente, per poter giustificare a se stessi e alla propria tacitata coscienza il fatto che, in realtà, la manipolazione di carte e documenti è un giocare terribile con la vita altrui.
Mario Becciu
[1] Modernamente nemesi è intesa come fatale punitrice della tirannide e dell’egocentrismo attraverso le alterne vicende della storia, nell’antichità classica era nome proprio – in greco Νέμεσις e in latino Nemĕsis – la personificazione della giustizia distributiva, in quanto garante di misura e di equilibrio specialmente politico-sociale, e come tale divinizzata, perciò punitrice di quanto, eccedendo la giusta misura, turba l’ordine dell’universo.
[2] Nella lingua siciliana, il termine mascariamento deriva dal verbo mascariare, che significa intenzionalmente tingere qualcuno con il carbone o con composti inorganici che si depositano nei camini come residuo della combustione, e lasciare tracce indelebili.
Nel gergo mafioso mascariamento vuol dire screditare con la delegittimazione morale il lavoro importante fatto da uomini dello Stato nel territorio, degli avversari che combattendo per la legalità. In terra di mafia, l’elenco delle vittime illustri del mascariamento è lungo e sanguinoso, da Pippo Fava a Giovanni Falcone, passando per Peppino Impastato: tutti destinatari, in vita e dopo la morte, di sospetti e insinuazioni seminate ad arte sulla loro condotta pubblica e privata.
Il mascariamento si può esercitare in vari modi e con vari mezzi. Esiste un mezzo vile ed efficace che è lo sparlare alle spalle della persona da mascariare, annerire, sporcare, in modo tale che essa non lo sappia, almeno per un certo tempo, e non si possa difendere. Naturalmente il contenuto della pratica, messa artatamente in atto, è qualcosa di falso che non corrisponde alle idee o alla condotta della vittima da mascariare. Si tratta dell’esasperazione del verosimile, che come è noto non ha nulla a che vedere con il vero.
Anche ignorare la buona fama, frenare, arrestare, stoppare scientemente la diffusione della stessa, come fa la stampa servile e cortigiana, è un mascariamento di complicità, ma pur sempre di mascariamento si tratta, non meno grave del mascariamento originale.
[3] Amor mi mosse, che mi fa parlare di Roberto Domanico: «All’inizio del II canto dell’Inferno, dopo la visione delle tre fiere che simboleggiano la lussuria, l’invidia e l’avarizia e che sbarravano il cammino a Dante, il poeta rimane così atterrito che ormai è deciso a rinunciare ad andare avanti. Si avvicina allora un’ombra, è Virgilio…
A lui Dante rivela tutta la paura che lo aveva assalito e la sua decisione di rinunciare al viaggio nell’aldilà. Ma Virgilio non fa tardare la sua risposta: “…perché tu ti sollevi da questo timore ti spiegherò perché venni da te e intesi la prima volta che mi preoccupai per te”. Inizia, quindi, la spiegazione di quello che è successo a Virgilio prima di incontrarsi con Dante. Il poeta dell’Eneide racconta che venne chiamato da una donna beata e bella.
Ella aveva gli occhi più lucenti di una stella e cominciò a rivolgersi a lui con angelica voce: “Oh anima gentile e onesta mantovana (infatti, Virgilio nacque ad Andes vicino Mantova nel 70 a.C.), la cui fama ancora è viva e durerà finché durerà il mondo, (parole con le quali Beatrice vuole ben disporre il poeta Virgilio ad essere benevolo verso la richiesta che gli farà a breve), il mio amico Dante è impedito nel cammino, tanto che è già tornato indietro per paura, e temo che si sia già smarrito perché sono arrivata troppo tardi a soccorrerlo, dopo che ho udito quello che mi hanno detto di lui in cielo… Ora vai, e con la tua bella arte retorica e con ciò che serva per salvarlo e aiutalo, così che io abbia consolazione. Chi ti fa andare sono io, Beatrice, e vengo dal luogo dove voglio tornare, da dove mi mosse l’amore che mi fa parlare; quando tornerò davanti al mio Signore con lui mi loderò spesso di te”.
Con questi “modi e maniere” di porre la richiesta di aiuto, Beatrice, la donna beata e bella, adotta un linguaggio tale che la voce è come una dolce lama che penetra nel profondo dell’anima. Infatti, solo a leggere e rileggere questi versi si apprezza quanto sia bello comunicare con le altre persone esprimendo, nello stesso tempo, delicatezza e tenerezza, incisività e chiarezza di idee, garbo e sapienza. Nei versi della richiesta di aiuto di Beatrice nel II canto dell’Inferno che trascriviamo in calce, ci si bea nel rendersi consapevole come l’uso delle parole dette al momento giusto smuovano i meandri più reconditi del nostro essere risvegliandoci da quel torpore che il mondo delle chat e degli sms sta facendo pericolosamente svanire nel nulla».
Lucevan li occhi suoi più che la stella;
e cominciommi a dir soave e piana,
con angelica voce, in sua favella:
“O anima cortese mantoana,
di cui la fama ancor nel mondo dura,
e durerà quanto ‘l mondo lontana,
l’amico mio, e non de la ventura,
ne la diserta piaggia è impedito
sì nel cammin, che vòlt’è per paura;
e temo che non sia già sì smarrito,
ch’io mi sia tardi al soccorso levata,
per quel ch’i’ ho di lui nel cielo udito.
Or movi, e con la tua parola ornata,
e con ciò c’ha mestieri al suo campare,
l’aiuta, sì ch’i’ ne sia consolata.
I’ son Beatrice che ti faccio andare;
vegno del loco ove tornar disio:
amor mi mosse, che mi fa parlare.
Quando sarò dinanzi al segnor mio,
di te mi loderò sovente a lui.